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L'omicidio di Mariano Lupo

Sono le dieci di sera del 25 agosto del 1972, una calda serata di agosto. Mariano Lupo, detto Mario, con altri suoi compagni, si avvia verso il cinema Roma, dove aveva un appuntamento. Mario non è solo ma va con fare non spensierato perchè già dal pomeriggio era stato minacciato da alcuni neofascisti che militavano nella locale sezione del Msi-Dn di Parma.

 

All'improvviso, da una siepe del lungo viale, una squadra di fascisti si scaglia violentemente contro il piccolo gruppetto. Mario cade sull'asfalto ancora bollente raggiunto da una coltellata al cuore. E' riverso al suolo e la sua camicia bianca risalta tra il nero dei lunghi capelli e il rosso del suo sangue.

Ha vent'anni Mario. Immigrato dalla Sicilia, approda a Parma dopo aver lavorato in Germania.

Di lavoro fa il piastrellista e milita in Lotta Continua che rispecchia le sue passioni e la voglia di cambiamento ed emancipazione che in quegli anni anima la vita e le speranze di tanti coetanei.

 

Da tempo Lotta Continua di Parma denunciava la pericolosità di un gruppo ben coeso e organizzato di neofascisti gravitanti attorno alla sede missina locale ma con rapporti con il gruppo veneto di Ordine Nuovo. Il gruppo di destra, pochi giorni prima dell'omicidio, aveva deciso di occupare la locale sede del Msi da loro ritenuta troppo morbida nella linea politica e decisamente volta a conquistare l'elettorato moderato. Un occhio all'ordinovismo e l' altro rivolto al capo Almirante nella sua versione legge ed ordine, quella di Firenze dove nell'infuocata campagna elettorale per le politiche del 1972 invitava i neofascisti a "surrogare lo Stato" se questo non fosse stato in grado di fermare le proteste che dilagavano da nord a sud dell'Italia. Proteste di studenti, operai, femministe per l'affermazione dei diritti civili e dei diritti sul lavoro e allo studio.

 

A Parma tra il 1969 e il 1972 si formò un gruppo di fascisti preparato e unito protagonista di numerose azioni violente verso simboli della Resistenza e dell'antifascismo. Non esitarono a ferire alcuni operai che protestavano per le condizioni lavorative precarie e le minacce e le aggressioni ripetute a militanti della sinistra e dell'area sindacale furono riportate da molti giornalisti e soprattutto in un piccolo dossier ciclostilato redatto da Lotta Continua dove vennero elencate cronologicamente le azioni squadriste che vedevano cioinvolte il "solito gruppo di Parma" che si distingueva anche fuori la città ducale.

Un escalation di azioni che sfuggiva solamente alla federazione del Pci locale, sezione Problemi dello Stato, che di contro teneva un diario sui fatti violenti dove su un centinaio di pagine ben ottanta erano dedicate alla sinistra extraparlamentare. Sottovalutazione di un fenomeno con conseguenze ben precise in una città dove il potere politico-amministrativo era saldamente nelle mani del Pci-Psi.

 

Dopo tanti campanelli d'allarme suonati a denunciare il pericolo neofascista che faceva "palestra politica" in una città "rossa e antifascista" che aveva visto, anni prima, arretrare i fascisti di Balbo, sotto i colpi dell'Oltretorrente barricadiero, arrivò il morto. Siamo nell'anno cruciale per il Msi che vede dalla fine del 1971, assorbito il piccolo partito monarchico, con un seguito di quasi tre milioni di voti, pari all’8,7%, con 55 deputati e 26 senatori, la sua forza crescere. Con Almirante si schierarono l’ammiraglio Gino Birindelli,

già comandante della Nato nel Mediterraneo, e il generale Giovanni De Lorenzo.

Per i missini di Parma l'arrivo di fondi disponibili per "non meglio precisate azioni a suon di manganellate" da Londra, dove risiedeva un noto camerata della provincia. C’erano anche i soldi del Soccorso Tricolore che venivano raccolti dal settimanale “Il Borghese”, diretto da Mario Tedeschi, apertamente vicino alla galassia dell’estrema destra, per essere inviati alle vittime della “violenza rossa” quale risarcimento di presunti danni subiti. Dei soldi furono consegnati a chi accompagnò il commando nero che assalì a Colorno, nella bassa parmense, con tute mimetiche, pistole lanciarazzi, caschi ed armi improprie, gli studenti di Medicina che occupavano il locale manicomio per protestare contro l'internazione dei malati psichiatrici seguendo le teorie del prof. Basaglia che svariate volte collaborò con Parma.

 

Pur non essendosi distinto in modo particolare nella militanza, Mario Lupo era comunque noto agli squadristi che quella sera d’agosto, a mezzo secolo esatto dall’insurrezione antifascista di Parma, dove si erano appena concluse le celebrazioni dello storico anniversario, lo avevano riconosciuto e aggredito, nell’ormai consolidata prassi del branco contro uno.

L’omicidio, di chiara matrice politica, benchè la stampa, soprattutto locale, tentò depistaggi e falsificazioni, lasciò la città sbigottita e commossa, ma al tempo stesso suscitò un profondo sentimento di rabbia e di sdegno. Parma, teatro di molte lotte contro il nemico nazifascista, stava rivivendo tristi ricordi e ritornavano alla mente le azioni delle squadracce fasciste, che, respinte dai padri e dai nonni, tornavano ora drammaticamente a colpire i figli.

 

Il giorno successivo all’assassinio, presso il Palazzo Comunale, venne allestita la camera ardente dove migliaia di cittadini, militanti, ex partigiani e delegazioni ufficiali resero omaggio al militante comunista.

Intanto telegrammi e riconoscimenti pubblici arrivarono da tutta Italia soprattutto dai consigli di fabbrica, dalle Anpi, dai partiti antifascisti. In molte realtà locali vennero indetti scioperi spontanei come a Genova dove i portuali si fermarono per un ora in segno di lutto. Cordoglio e striscioni alla Breda e alla Pirelli.

 

All'uccisione del giovane Lupo due manifestazioni in un certo senso si contrapposero. La prima dei partiti e delle istituzioni cittadine organizzata il 26 agosto e la seconda indetta dai gruppi della Nuova Sinistra.

Secondo Lotta Continua antifascismo militante significava «eliminare i fascisti da Parma, non solo togliere loro spazio politico ma anche spazio fisico».

Con queste parole d’ordine veniva indetto un comizio per la sera del 27 agosto, al quale aderirono Il Manifesto, il Pcd’I(m-l), il Pc (m-l), la sezione Gramsci del Pci e, a titolo personale, tanti militanti comunisti, socialisti e appartenenti al sindacato.

Era evidente che le parole e i richiami ad un antifascismo puramente verbale non erano sufficienti ad arginare un fenomeno che, con la complicità di apparati dello Stato e di settori politici, stava dilagando. «Solo la mobilitazione e l’organizzazione saprà vendicare il compagno Lupo» era il richiamo condiviso dalla piazza.

A tenere l'orazione Gino Vermicelli, già commissario politico della Brigata Garibaldi, comandante partigiano e membro del direttivo nazionale del Manifesto. Le sue parole non lasciano dubbi:

 

"ci hanno ucciso un compagno, un altro, non ricordiamo più tutti quelli che sono caduti. Il questore dice che Lupo era un delinquente: Lupo era un operaio, un piastrellista e non ci

sono delinquenti operai piastrellisti, i delinquenti fanno altri mestieri, frequentano altri ambienti, hanno altri protettori… il fascismo rialza la testa perché gli si lascia spazio. Almirante serve al governo per la teoria degli opposti estremisti, per la repressione contro la lotta operaia. Lo Stato neutrale è una balla, avanza in realtà una involuzione autoritaria di cui Almirante è lo strumento: è questo il segno del delitto di Parma. Il fascismo è un fatto di classe, non di teppismo. In questa piazza ci sono centinaia e centinaia di operai e lavoratori, militanti del Pci, del Psi, delle forze della sinistra tradizionale. Hanno fatto bene, hanno scelto giusto: hanno sbagliato i loro dirigenti a venirci con la Dc. Noi non amiamo la violenza, ma respingiamo la violenza dell’avversario di classe, dei padroni e dei fascisti e la respingiamo con la lotta e quindi con la forza. A Parma, a combattere le squadracce, sono stati lasciati gruppi di giovani: dietro la parola d’ordine -isolare l’ultrasinistra- è passata la condiscendenza, l’inerzia di fronte ai fascisti. Sì, dunque, all’unità antifascista, e la più larga possibile, ma l’unità di classe, di lotta, e di combattimento".

 

Il corteo rabbioso passò per le vie del centro e un imponente servizio d'ordine raggiunse e distrusse la sede del Msi. Le forze dell'ordine non opposero resistenza sia per la determinatezza del corteo che per un probabile calcolo della Questura volto a circoscrivere gli scontri in un ambito certo e determinato.

Dagli slogan gridati per tutto il corteo chiaramente emerge la lettura della sinistra extraparlamentare, Lotta Continua in testa, circa il clima di forte tensione sociale e di continui attacchi squadristi su tutto il territorio nazionale: «Andreotti è il mandante/ il killer è Almirante» e «Compagno Lupo sarai vendicato/ dalla giustizia del proletariato», saranno gridati e scritti su molti manifesti e volantini affissi per la città ad indicare il complice atteggiamento della Democrazia Cristiana nel reprimere energicamente i movimenti di studenti e lavoratori mentre numerose squadre fasciste, sotto la regia più o meno palese di Almirante, agivano indisturbate.

 

Parma era scossa e il funerale si tenne in forma ufficiale il 28 agosto con un oceanico corteo di migliaia di persone che da piazza Garibaldi si mosse, attraverso il popolare quartiere Oltretorrente, verso piazzale Picelli dove a tenere l’orazione funebre fu il comandante partigiano e vecchio sindaco comunista Giacomo Ferrari. La bara fu portata in spalla dai compagni del giovane e da operai comunali del Pci in un commosso silenzio che fermò l’aria. A seguire il feretro migliaia di persone. La città era ferma, silenziosa, e dalle finestre e dai lati della strada centinaia di pugni chiusi e bandiere rosse al vento si alzarono al cielo a salutare per l’ultima volta Mariano.

Le parole di Giacomo Ferrari, il partigiano "Arta", furono chiare e immediate: "...la storia non ha avuto la sua conclusione, le forze potenti l’hanno deviata su un binario di interessi non leciti e non onesti, la Carta Costituzionale è stata fermata, svuotata di spirito e di sostanza. Non si è voluto e non si vuole mettere al bando forze malvagie che hanno compiuto i più orrendi misfatti e le più atroci crudeltà..."

 

Le vicende processuali si conclusero con la sentenza del 1976 quando a decidere spetterà alla Corte d’Assise d’Appello di Ancona, città nella quale il processo fu spostato per legittima suspicione, come richiesto e ottenuto dalla difesa durante le udienze di rito del 1974. Dopo un lungo e minuzioso lavoro di ricostruzione storica delle vicende e dopo un primo giudizio che escluse la volontarietà dell'omicidio che suscitò grande esultanza delle compagini neofasciste, la Corte ritenne che l'omicidio fu volontario e preordinato. A

testimonianza dell'importanza del processo grandi nomi del foro e della politica italiana si schierarono sia con la difesa che con l'accusa. Ad affiancare l'infaticabile avvocato Decio Bozzini, per la parte di Lupo e della sua famiglia, arrivò Umberto Terracini, senatore del Pci e padre costituente. Dalla pare della difesa l'avvocato Marcantonio Bezicheri, notabile missino e difensore di Franco Freda.

 

Una lapide posta di fianco al cinema “Roma” nel luogo dell’attentato, tutt’oggi luogo di commemorazione e passaggio obbligato di cortei celebrativi e di protesta, lo ricorda con queste parole:

 

«Mario operaio immigrato comunista, ucciso dall’odio e dalla violenza dei fascisti. La giustizia proletaria ti vendicherà. 25 agosto 1972».

 

La lapide, più di una volta fatta oggetto di sfregi e ingiurie da parte di ignoti, fu voluta dal Comitato Antifascista M. Lupo, sorto dopo l’omicidio, a pochi mesi dalla morte, in occasione della ricorrenza del 25 aprile del 1973.

Soprattutto dal 2001, anno dell'assassinio di Carlo Giuliani, e non è un caso, dopo un certo silenzio negli anni ottanta, tanti giovani e meno giovani si trovano li davanti a ricordare Mario Lupo e tenere vivo il ricordo e l'attualità dell'antifascismo militante.

In città, in particolar modo negli anni più bui per la memoria collettiva, il nome di Mario Lupo risultò legato al Centro Sociale che prese il suo nome, sgomberato nel 2007 dalla prima giunta di destra che Parma ebbe dal dopoguerra.

 

Piermichele Pollutri (Piero)

 

 

 

(Articolo pubblicato su "Le Barricate di Parma" supplemento a Lotta Continua, mensile, anno I, n. 3, maggio-giugno 2012)

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