La crisi del capitalismo Russo

La crisi del capitalismo Russo
Spesso accade di leggere o di ascoltare commenti a dir poco entusiasti sulla saggezza e sulla forza di Vladimir Putin, sul successo delle politiche del presidente russo, ma poco si conosce della profonda crisi del capitalismo russo, travolto dal crollo del prezzo del petrolio e delle materie prime, e, di conseguenza, dalla svalutazione del rublo.

 Questi processi, ampiamente prevedibili già nella seconda metà del 2013, hanno subito un’accelerazione notevole nel biennio 2014-2015, con momenti di vero e proprio panico tra il dicembre 2014 e il gennaio 2015. Per dare alcuni esempi, il valore del rublo rispetto all’euro è diminuito esponenzialmente: secondo i dati della Banca centrale russa da 43,14 rubli per 1 euro al 01.10.2013, siamo passati agli 86,57 del 5 febbraio 2016, esattamente il doppio.

Andamento del rublo dal 01/10/2013 al 05/02/2016, grafico della Banca centrale russa.

 

Questa svalutazione ha prodotto un innalzamento del costo della vita mai conosciuto nei sedici anni di Putin al potere: al 23/10/2015 l’Istituto statistico russo ha fornito dei dati abbastanza preoccupanti, secondo cui i prodotti alimentari sono aumentati 33 volte rispetto alla dinamica dei paesi UE, con aumenti del 7,7% delle carni, 5,2% di uova e latticini, 20,1% nel settore dolciario, 19,2% nell’ittica, 16,5% nell’olio.1 Per avere un’idea, nello stesso periodo nell’Unione Europea si è registrato – 0,9% nelle carni, – 2,9% latticini e uova, + 0,9% per ittica e dolci, e + 2,7% olii. Il fenomeno più impressionante è in quei settori che meno dovrebbero risentire delle sanzioni europee, vista la ricchezza del patrimonio ittico russo, e la presenza di numerose aziende estere nel mercato con proprie filiali (ad esempio, la Ferrero ha un proprio stabilimento nella regione di Vladimir, nella Russia centrale). Sempre secondo Rosstat (l’Istituto statistico russo), il pane è aumentato a dicembre 2015 del 10,2% rispetto al prezzo di un anno prima, e per quest’anno ci sono stime di una possibile crescita del prezzo in una forbice che va dal 10 al 15%. 2

Il crollo del prezzo delle materie prime crea profondi buchi nel bilancio russo, e le speranze in un ritorno del costo del barile sopra i 40$ vengono aumentate anche ad arte, ma si tratta di un fenomeno troppo dipendente da variabili politiche e di estrazioni, e i negoziati tra Mosca e l’OPEC non sembrano poter risolvere immediatamente la situazione.3 Bisogna far notare come l’indebolimento del rublo, lasciato fluttuare a fine 2014 e a più riprese nel corso del 2015, sia servito a mantenere più o meno stabili le entrate nelle casse statali, senza però avere riflessi positivi sulla situazione sociale ed economica.

L’aumento della povertà è un fenomeno che non vede precedenti negli ultimi 15 anni, rispetto anche alla crisi del 2008-09, e colpisce specialmente i pensionati, da sempre costretti a lavorare anche quando già percepiscono sussidi: la pensione media è di 12900 rubli, ovvero 149,01 euro, una somma misera anche per i più remoti villaggi degli Urali o della Siberia. Il grano saraceno, alimento base della cucina povera russa, è aumentato nell’ultimo anno dell’80%, e a cifre simili si avvicina la crescita del riso, del grano e della pasta.

Non è un caso che Russia Unita, il partito di Putin, ha discusso nell’ultimo congresso un programma aggressivo verso il KPRF, agitando lo spauracchio comunista: i putiniani sono consci del fatto che, malgrado la debolezza e l’incapacità della leadership comunista di costruire un’alternativa antisistema e anticapitalista, gli elettori possano votare il partito di Zyuganov per manifestare il proprio dissenso verso i tagli, i licenziamenti e la crisi. È da registrare anche come la cosiddetta “opposizione fuori dal sistema”, ovvero i liberali e i nazionalisti anti-Putin raccolti attorno ad Alexey Navalny, non sono in grado di fornire risposte concrete, oltre alle denunce contro l’enorme corruzione del governo e delle amministrazioni locali. I problemi economici si riflettono ancor di più nelle regioni e nelle repubbliche, che si trovano in difficoltà forti, come dimostra la crescita della retorica aggressiva di Ramzan Kadyrov, il presidente ceceno, la cui repubblica vive grazie alle dotazioni di Mosca, fondi che però vengono distribuiti a piacimento dal leader: in questo momento l’uomo forte di Grozny sta alzando la posta in gioco, schierandosi al fianco del Cremlino ma creando enormi contraddizioni nell’equilibrio delicato del Caucaso settentrionale.

Ma la classe operaia dov’è? Ufficialmente, sono registrati un milione di disoccupati, ma Rosstat ritiene ce ne siano in realtà 4,4 milioni. Solo nella settimana dal 20 al 27 gennaio c’è stata un’impennata del 3,5%.4 631.000 lavoratori, secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico, rischiano di perdere il proprio impiego,5 e nel settore automobilistico gli stabilimenti di Pietroburgo e di Obninsk si trovano in forte crisi, con ondate di licenziamenti.6 Per ora, la reazione dei lavoratori è sparsa e vittima dello shock collettivo.

Si apre una nuova stagione nella storia della Russia post-sovietica, e non sarà all’insegna della stabilità: la crisi per ora è la prima preoccupazione quotidiana per milioni di lavoratori e per quella piccola borghesia caduta rovinosamente in questi mesi, ma seguiranno inevitabilmente nuovi scontri e nuove lotte. E l’immagine mitizzata di un Putin al fianco dei lavoratori, così propagandata in Italia, non riuscirà a rispondere alle esigenze delle masse.

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