Una sanità che ci è privata: come cambia il SSN sotto l’attacco dei privati
Qui la versione in Pdf, completa, del nostro ultimo opuscolo. Di seguito un estratto e la possibilità di sfogliarlo online su Issuu.
Il diritto alla salute: una fotografia drammatica
L’accesso al sistema sanitario in Italia è sempre meno equo, sempre più caro, sempre meno universalistico. Non c’è uno studio che contraddica questa tendenza.
Le famiglie che non riescono ad accedere a cure mediche sono sempre più numerose. Nel 2013, secondo il Rapporto Istat, sono state due milioni e mezzo le persone che, impoverite dalla crisi economica, hanno dichiarato di doversi privare di esami e terapie1. Nel 2015, la rinuncia ha riguardato il 9,5% della popolazione (più di 11 milioni di persone), con punte più alte al meridione (13.5%)2. Sei povero e non ti curi o diventi povero per curarti.
Proprio al meridione c’è la maggiore concentrazione di famiglie in condizioni di disagio economico a causa delle eccessive spese sanitarie. (Tabella 1)
Aumenta la mortalità e cala l’aspettativa di vita, più marcatamente nel centro-sud, tra popolazione immigrata o tra settori della popolazione meno istruita3. (Tabella 2)
Parallelamente cresce la spesa sanitaria privata delle famiglie, quella affrontata al di fuori del Servizio Sanitario Nazionale (d’ora in poi “SSN”).
Sono le così dette spese “Out of Pocket” (OOP), sostenute) rivolgendosi direttamente a strutture private senza neppure la intermediazione di fondi sanitari o polizze assicurative4. Nel 2014, il 77% delle famiglie ha avuto spese sanitarie OOP.
Nel 2013 erano state il 58%5. Un aumento di 1 miliardo di euro in un solo anno, che grava in maniera maggiore sulle famiglie con presenza di persone disabili. Più del 40% di queste, infatti, hanno dovuto sostenere spese mediche private superiori ai 400 euro nel 20156. (Tabella 3). A fronte di una spesa sanitaria pubblica tra le più basse dei paesi dell’area occidentale, la spesa OOP italiana è inferiore soltanto a quella degli USA.
Dal 2000 al 2009 si sono tagliati il 17% dei posti letto pubblici. La politica della riduzione dei posti le o si è giustificata con la necessità di potenziare l’assistenza territoriale: molti ricoveri, si a erma, potrebbero evitarsi se sul territorio ci fosse una rete di servizi capaci di far fronte alle esigenze di alcuni se ori di malati, come quelli a e i da mala ie croniche. Ma questo potenziamento non è mai avvenuto. L’Italia, già fanalino di coda in Europa, è passata così ad avere 3,3 posti le o per 1000 abitanti, a fronte di una media europea di 5,5. Contemporaneamente spariscono molti servizi domiciliari, si chiudono consultori e piccoli presidi, obbligando la popolazione ad andare in zone sempre più distanti dalla residenza C’è poi il problema del diritto all’accesso alle prestazioni. L’articolo 5 del Piano Casa di Renzi (Decreto Lupi) sancisce il rifiuto della residenza per chi non ha un regolare domicilio. Non hanno più diritto alla residenza, ad esempio, coloro che hanno il permesso di soggiorno scaduto, o gli abitanti di case occupate. Nessuna residenza significa impossibilità ad iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale. La conseguenza è che mezzo milione di persone è privo di medico di famiglia o pediatra e quindi di una regolare assistenza sanitaria7.
Allo stesso tempo, diminuisce il numero di medici di famiglia e di pediatri e peggiora il loro rapporto con gli assistiti. Secondo il Rapporto Pit Salute del 2016, intitolato “SSN, accesso di lusso” e che si basa su decine di migliaia di segnalazioni di cittadini su tutto il territorio nazionale, sempre più pazienti lamentano il rifiuto di prescrizioni da parte dei medici curanti8.
Un altro drammatico problema che emerge dalle analisi del Sistema Sanitario è quello dei lunghi tempi di attesa per accedere alle prestazioni tramite il servizio pubblico. Una ricerca del Censis-RBM Sanità mostra chiaramente il confronto nei tempi medi di attesa tra struttura pubbliche con pagamento del ticket e strutture private con pagamento per intero della prestazione. (Tabella 4).
Mentre i tempi di attesa nelle strutture pubbliche si allungano inesorabilmente di anno in anno, i centri privati e del terzo settore sono sempre più concorrenziali. Per chi può, pagare diventa l’unico modo per accedere alle prestazioni in tempi ragionevoli. Ma c’è di più.
A fronte dell’aumento dei ticket, la spesa per le prestazioni private è cresciuta molto più lievemente. (Tabella 5) Per chi non ha esenzioni il divario tra SSN o strutture esterne, si riduce e, in alcuni casi, sparisce. Per esempio, a Firenze, una ecografia all’addome per un non esente appartenete alla fascia di reddito più bassa9 costa 48 euro. Circa 50 euro è anche il costo dello stesso esame effettuabile tramite una struttura della rete Pas (ex Humanitas) o in una Misericordia, senza ricetta e pagando per intero. E’ soprattutto il mercato sociale privato, il cosiddetto “terzo settore”, ad avvantaggiarsi dei tagli al SSN.
Sono significative, a tal proposito, le parole del coordinatore del tribunale dei diritti del malato di cittadinanza attiva, Tonino Aceti, che afferma:
“Se lo scorso anno abbiamo denunciato che si stavano abituando i cittadini a considerare il privato e l’intramoenia come prima scelta, ora ne abbiamo la prova: le persone sono state abituate a farlo per le prestazioni a più basso costo (ecografie, esami del sangue, etc.). Non perché non vogliano usufruire del SSN, ma perché vivono ogni giorno un assurdo: per tempi e peso dei ticket, a conti fatti, si fa prima ad andare in intramoenia o nel privato. E il SSN, in particolare sulle prestazioni meno complesse, e forse anche più “redditizie”, ha di fatto scelto di non essere la prima opzione per i cittadini.”
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