Francia così vicina, così lontana

14 giugno, la Francia torna a bloccarsi. La lotta di classe bussa nel cuore d’Europa. Ancora di più degli avvenimenti greci e spagnoli, questo movimento può influenzare la coscienza dei lavoratori italiani. Ciò che ci appare lontano della Francia è in verità tremendamente vicino. Ciò che è realmente lontano, va in tutti modi a noi avvicinato. Alcuni punti e appunti sul dibattito che si sta svolgendo in Italia.
  1. 1. “Gli italiani non sono come i francesi”. “I francesi hanno gli attributi, gli italiani sono pecore” Con questo genere di frasi si prova a liquidare l’incredibile distanza tra l’attuale livello di mobilitazione sociale in Francia e la relativa pace sociale in Italia. Si tratta di frasi da bar. Classiche. E facilmente smontabili. Queste frasi sì che echeggiano una cultura tipicamente italiana: la cultura della classe dominante italiana, abituata a colmare il ritardo storico rispetto ad altre borghesie internazionali con un orgoglio nazionalista da operetta o viceversa con un eterno complesso di inferiorità “esterofila”. Tale cultura dominante si riverbera a cerchi concentrici fino all’ultimo elemento del popolino, trasformandosi in un miscuglio di luoghi comuni indigeribili: italiani brava gente, gli italiani lo fanno meglio, in Germania se ti trovano in divieto di sosta ti mettono in prigione e buttano la chiave, negli Usa c’è la meritocrazia mentre da noi…ecc. ecc.
  1. La cosa incredibile in questo caso è che simile approccio venga declinato e assunto nello spiegare la distanza tra il ciclo della lotta di classe in Francia e in Italia. Non solo nelle analisi più grezze, ma anche in quelle apparentemente più raffinate. L’accento viene posto, ad esempio, sulla differenza tra il tessuto sociale italiano e quello francese, sulla struttura della Cgt e quella della Cgil, sulla debolezza dei sindacati francesi rispetto a quelli italiani ecc. ecc.
  1. Si tratta di analisi che colgono elementi di verità, spesso anche interessanti. Del resto se si vuole esercitarsi nell’individuare le differenze tra Italia e Francia, si avrà gioco facile nel trovarne numerose: di natura storica, economica, sociale ecc. Potremmo aggiungerne noi stessi: il capitalismo italiano viene da un lento declino che ha soffocato gradualmente le aspettative dei lavoratori italiani. Il capitalismo francese cerca in continuazione di rivivere in continuazione la grandezza del tempo che fu, lanciandosi in un nuovo interventismo in Africa e in Asia, generando ancora più squilibri interni. Ma nessuna di queste differenze però ha impedito che negli ultimi decenni Italia e Francia vivessero momenti di lotta o di pace sociale.
  1. Ognuna di queste analisi, suo malgrado e nonostante le migliori intenzioni, ricade nello stesso identico fatalismo: la Francia è la Francia, l’Italia e l’Italia. L’accento viene posto così sul movimento francese come prodotto di specificità nazionali di tradizione, composizione sociale o economica.
  1. Un approccio che Landini non fatica a fare proprio, dichiarando al Fatto Quotidiano: “In Francia c’è una tradizione diversa, un’attenzione ai diritti sociali storicamente molto forte. Il Jobs Act francese peraltro riguarda questioni fondamentali (…) Oltre a quello che le dicevo – cioè che il governo Valls sta minacciando uno Stato sociale che ha un una tradizione storica e un livello di consenso superiori ai nostri – le ragioni riguardano principalmente i rapporti economici e la condizioni materiali del lavoro. In Francia la protesta è nata dai giovani precari, i sindacati si sono uniti in un secondo momento. In Italia, il livello di disoccupazione e frammentazione del lavoro, soprattutto giovanile, è praticamente senza paragoni. Questo ha reso tutto molto più difficile”. Torniamo sempre lì: la Francia è la Francia, l’Italia è l’Italia.
  1. Un simile approccio “oggettivista” è funzionale a nascondere in verità ogni responsabilità soggettiva. Azzera completamente il piano politico, il quale poi rappresenta ad oggi la vera peculiarità italiana. Innanzitutto con la nascita del Pd, la borghesia italiana è riuscita a inglobare le strutture di massa ereditate dalla parabola Pci-Pds-Ds in un partito come il Pd che è oggi lo strumento diretto della borghesia stessa. La Cgil è stata letteralmente investita da questa contraddizione. Durante il movimento contro il Jobs Act, la Camusso ammetteva candidamente che la rottura con il Pd non veniva “metabolizzata” dai quadri intermedi e locali del sindacato.
  1. Per quanto poi la situazione della sinistra radicale francese non sia rosea, non ha paragoni con lo stato di frammentazione, disgregazione, confusione e marginalità in cui sono piombate le organizzazioni politiche della classe italiana dal 2008 in poi. Ed è questo stato di debolezza numerica e di incredibile confusione politica a costituire forse uno dei fattori principali nel ritardo italiano rispetto al resto d’Europa. Le lotte non sono in verità mancate, ma non hanno sedimentato canali attraverso cui la nostra classe potesse esprimere, anche solo in forma distorta, una propria visione, una propria pressione generale.
  1. L’analisi “oggettivista” vede quindi differenze dove ci sono in verità analogie. E non coglie le differenze su cui bisognerebbe al contrario intervenire.
  1. La base economica del processo è internazionale e spingerà prima o poi l’Italia verso una situazione simile a quella francese. Stessa la crisi, stessa la rabbia, stessi gli attacchi portati dalla classe dominante. Sono impressionanti le analogie tra la legge El-Khomri e il Jobs Act o l’articolo 8 “Sacconi”. Il capitale dovunque mostra il conto, con le stesse direttrici programmatiche: legare i salari alla produttività, scardinare la contrattazione nazionale a favore di quella aziendale, liberalizzare i licenziamenti, allungare l’orario lavorativo sia giornaliero sia settimanale. Che pena ripensare ai comizi di una Camusso o di un Landini contro il Jobs Act dove si chiedevano con stupore provinciale “cosa hanno fatto i lavoratori a Renzi per meritare tanto!”. Renzi non è altro che un rappresentante politico, per altro storicamente transitorio e puntualmente grottesco, del capitalismo. Il quale ha il proprio funzionamento e le proprie tendenze immanenti. E internazionali.
  1. Il fatalismo produce inevitabilmente il suo contrario: il volontarismo. Così come non si comprende la dinamica del movimento di massa in Francia, si pensa che esso possa essere riprodotto in Italia con un puro appello. Appello a fare le “notti in bianco” anche in Italia, appello a lanciare cortei o presidi per “fare come in Francia”. Si tratta di iniziative generose e condivisibili nella misura in cui sono consapevoli di avere una natura puramente informativa e propagandistica. La consegna “fare come in Francia” è corretta, se si comprende che non è di per sé sufficiente, soprattutto se lanciata nel vuoto. Un movimento di massa non puà essere evocato. Ha la propria dinamica che dipende da una molteplicità di fattori. Se esiste una “ferita” in cui oggi potrebbe inserirsi il contagio, in Italia questa si paleserà probabilmente in autunno: sul terreno della mobilitazione giovanile o nello scontro sul modello contrattuale che investe oggi settori come grande distribuzione e metalmeccanici.
  1. Arriviamo invece a ciò che non vogliamo vedere della dinamica assunta dal movimento di massa in Francia. I lavoratori francesi hanno ripreso la propria lotta partendo da dove l’avevano lasciata. Nelle precedenti ondate di mobilitazione 1995, 2003, 2006, 2010 si era già assistito in misura maggiore o minore a forme di “sciopero ad oltranza” votato di volta in volta dalle assemblee di lavoratori, alla saldatura tra radicalità del movimento studentesco e lotte operaie, con l’obiettivo del blocco fino al ritiro delle misure contestate.
  1. Unità tra studenti e lavoratori con il movimento giovanile che lancia le proprie date di mobilitazione insieme a quelle sindacali, pur mantenendo piattaforme diverse e le proprie critiche. Coordinamenti intersindacali che lanciano giornate di lotta unitarie pur nell’autonomia di proposta delle diverse sigle sindacali. Un movimento che si da la parola d’ordine chiara della lotta fino al ritiro della controriforma e che la pratica attraverso le assemblee di azienda e di delegati, con la discussione e con il voto. Pratiche e tattiche che non sono solo un libro chiuso per le direzioni burocratiche della Cgil ma anche per tanta sinistra radicale italiana che pure oggi dice di essere ispirata o fascinata da quanto succede in Francia.
  1. Il movimento Nuit Debout ha dato un canale di espressione a settori sociali non direttamente proletari o non sindacalizzati, a studenti, disoccupati o semplicemente ai battaglioni “leggeri” della classe. Ha mutuato le forme del movimento di Piazza Tahrir o degli Indignados in Spagna. Ha aiutato a mettere in difficoltà le direzioni burocratiche dei sindacati ponendo il tema della continuazione ad oltranza della lotta. Eppure non sarebbe stato nulla se puntualmente non fosse riemersa da marzo in poi la centralità del conflitto di classe attorno a cui il movimento ha di volta in volta ritrovato il proprio slancio. Altro che concezioni “moltitudinarie” che contrappongono le “nuove” forme di protesta al conflitto capitale-lavoro. Senza quest’ultimo il movimento Nuit Debut sarebbe evaporato lentamente come semplice movimento d’opinione, affogato nel proprio stesso assemblearismo e nella mancanza di sbocchi.
  1. In Francia, infine, ancora una volta un movimento di massa ha attraversato, travolto, coinvolto, costretto alla lotta un sindacato di massa: la Cgt. E’ incredibile che pur di non ammettere questo fatto, in Italia si preferisca indorare la natura dei vertici della Cgt. No, compagni, non scherziamo. Per quanto si possano cogliere una serie di differenze, i vertici della Cgt sono sempre i soliti burocrati riformisti, con la loro grigia natura servile. Il fatto è che la loro funzione “di freno” di fronte a un “irrefrenabile” scoppio di massa deve essere esercitata cavalcando il movimento, nel tentativo di farlo scemare. Esattamente come farebbe un fantino che cerca di riprendere dolcemente il controllo in sella a un cavallo imbizzarrito.
  1. E infine la profondità e la natura di questo movimento non si misurerà solo nella capacità di sconfiggere il Governo Valls ma anche in termini di ricaduta politica, nella capacità di sedimentare coscienza politica di classe fuori e dentro le organizzazioni di sinistra esistenti. Ed il nodo torna ad essere sempre quello, l’unico che possiamo affrontare con il nostro intervento soggettivo: le organizzazioni politiche della classe, il loro programma e la loro natura. E non abbiamo dubbi che il movimento francese contribuisca più di mille costituenti a porre questo tema su un terreno più avanzato, in Francia come in Italia. La sinistra radicale italiana non può perdersi in analisi, pur interessanti e raffinate, salvo poi eludere questo nodo: quello dell’organizzazione politica della classe. Per trovarsi magari poi ad entusiasmarsi e a correre dietro al De Magistris di turno. Se non ti poni il problema, il problema infatti si pone a te.

Tratto da: http://www.laragione.org

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