La posta in gioco

E’ molto pro­ba­bile che que­sto scio­pero non sarà “gene­rale” anche se ci si aspetta che diversi milioni di per­sone scen­dano in piazza. La situa­zione è ancora con­fusa. Molti lavo­ra­tori (ma anche i disoc­cu­pati, i gio­vani, ecc..) non hanno espe­rienza di autoor­ga­niz­za­zione e si fidano sem­pre meno dei sin­da­cati uffi­ciali. Il qua­dro vede, poi, CISL e UIL appiat­tite sulle mano­vre della poli­tica, in attesa che il governo tratti una qual­che norma meno ingiu­sta. Illusi, come illuso è il PD che vor­rebbe un ruolo subal­terno del movi­mento dei lavo­ra­tori alle bat­ta­glie par­la­men­tari. Pre­oc­cu­pato è il governo che ha tro­vato nella FIOM il capro espia­to­rio di pos­si­bili disor­dini sociali. Il ver­tici della FIOM, parte in com­me­dia, hanno rila­sciato dichia­ra­zioni paracule.

La posta in gioco
Nei pros­simi due anni, lacrime e san­gue. Dei 100 miliardi di euro della mano­vra (quella di giu­gno e que­sta di set­tem­bre) abbiamo una ripar­ti­zione di que­sto tipo: 45% taglio dei ser­vizi; 25% aumento delle tasse (non per i diri­genti, i par­la­men­tari, gli eva­sori, etc): dalle addi­zio­nali all’IVA, dai tic­ket alle accise; 10% licen­zia­menti (il così detto taglio della “poli­tica”); 20% rapina su salari e pen­sioni.
Tutto il resto è fumo negli occhi degli italiani.

Le cause in sin­tesi
Nel 2004 si è preso nota che la pro­du­zione mon­diale di beni e ser­vizi ecce­deva abbon­dan­te­mente le neces­sità dell’intera popo­la­zione mon­diale. Non che tutti stiano “bene”, per noi è evi­dente, visti i pri­vi­legi di pochi e lo sfrut­ta­mento di molti ma se la distri­bu­zione dei beni e ser­vizi fosse equa ciò che si pro­duce potrebbe bastare a sod­di­sfare le neces­sità di tutte/i. Dal 2004 al 2007 per finan­ziare la “guerra al ter­ro­ri­smo” si è gene­rato debito; visto che la guerra non ha dato gli esiti spe­rati (sostan­zial­mente senza vinti e vin­ci­tori) la bolla del debito è esplosa, pro­du­cendo nel 2007 la crisi dei “deri­vati”. Sic­come gli esiti della guerra e la crisi finan­zia­ria minac­cia­vano la sta­bi­lità dei governi que­sti si sono affret­tati a “coprire il buco” stan­ziando circa 7000 miliardi di euro per sal­vare le prin­ci­pali ban­che mon­diali e con­ti­nuando a stam­pare moneta con una pro­spet­tiva infla­zio­ni­stica che avrebbe ammor­tiz­zato “l’investimento”. Ma se non c’è espan­sione della pro­du­zione e del con­sumo di beni e ser­vizi non ci può essere infla­zione; ecco che la crisi di sovrap­pro­du­zione ha fatto nuo­va­mente capo­lino e messo in crisi le inge­gne­rie finan­zia­rie e fiscali.
A que­sto punto crolla l’ultimo baluardo del capi­ta­li­smo: i debiti “sovrani”.
Le mano­vre di que­sti mesi (in Por­to­gallo, in Gre­cia, in Spa­gna, in Ita­lia) ser­vono a fare le ”flebo” ad un sistema mori­bondo. Que­sto è un buon motivo per dire che “noi la vostra crisi non la paghiamo”.
Scri­ve­vamo, in occa­sione dello scio­pero dei metal­mec­ca­nici del 27 gen­naio scorso: «[…]Il movi­mento dei lavo­ra­tori deve ripren­dere il mano il pro­prio destino e lo può fare con­tando solo su sé stesso. Non ci sono aree poli­ti­che, non ci sono governi “amici” che pos­sano sosti­tuire l’autonoma ini­zia­tiva delle lavo­ra­trici e dei lavo­ra­tori. Un nuovo movi­mento “dal basso” deve ripar­tire per aggre­gare attorno a sé tutta la società degli sfrut­tati e degli oppressi, aprendo una nuova sta­gione di lotta che sap­pia dare un futuro a chi oggi un futuro non ce l’ha.[…] »
Così come non c’è nel qua­dro attuale nessun’altro “sog­getto” che possa affron­tare que­sta crisi.
Lo sbocco a que­sta crisi è la rivo­lu­zione: la defi­ni­tiva messa al bando del capi­ta­li­smo e del suo tutore, lo stato.
Un altro mondo non è solo pos­si­bile, diventa, giorno dopo giorno, urgente, impel­lente, necessario.

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