Se ti racconto cos’è il carcere…

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Non puoi capire! Se non ci sei mai stato ti prende una malinconia a vedere sorgere il sole da dietro le quinte. Adesso mi rendo conto cosa vuol dire essere detenuto. Quando ero libero chi lo avrebbe mai pensato che un giorno sarei finito qui. Da non credere, fuori mi sentivo un dritto, ora mi sento un relitto. Ma una cosa qui dentro ho imparato, c’è più dignità di tanta gente che ci condanna e che si crede di avere questa qualità.
Nessuno vede!Nessuno parla!Nessuno sente!
Eppure è un continuo parlare, inutilmente. Un continuo sentire, senza ascoltare ma soprattutto vedere solo ciò che fa comodo, solo per andare avanti. Volti pungenti da odio razziale, lieti solo nel proprio bianco-pelle senza inchiostro.
Politici discutere di vuote ideologie frantumate nell’universo dell’ipocrisia, una società sempre più smaltata da nero consunto. Il cuore pulsa pulsando il tempo, l’assente non ascolta l’epicedio che si espande per migliaia di chilometri intorno al dolore. Dolore rinchiuso in una cella di tre metri per due distesi su una branda, si attende.
Si attende il processo “nel nome del popolo italiano”, ma sarebbe meglio dire “nel nome e umore del giudice di turno”. Si attende il colloquio, beneficio concesso fino a sei volte al mese “forse”.
Il carcere è un luogo dove tutto si fa difficile, non esiste “ora e subito”, ma “dopo e forse”, si attende qualunque cosa!
Un luogo dove hai solo il tuo cognome, dove il tuo nome è dimenticato e il più delle volte sei solo un numero.
Qui spesso si pensa che, anziché l’angelo custode, ci sia stato affiancato il genio del male. Gli agenti urlano il loro umore, mentre ti aprono la cella per darti la possibilità di accedere alle docce, greggi che aspettano il pastore, attendiamo un loro assenso per poter uscire dalla cella e recarci in luoghi consentiti.
Qui i giorni sono tutti gli stessi giorni, gli anni tutti lo stesso anno. Qui il debole deve essere forte e lasciare che il forte diventi debole. Qui le separazioni sono causa di dolore ed anche un palmo oltre la cerchia delle persone care diventa una distanza immensa. Qui bisogna avere pazienza, è tutta un’attesa, si aspetta sempre qualcosa e ci si logora nell’aspettare per poche ore al giorno. L’aria!
Una grossa piscina svuotata, nulla fa dimenticare dove ci si trova, i discorsi sempre uguali, ripetuti, senza ormai più badare che sono gli stessi: discorsi di speranza, amnistia, condono, alternative al carcere, la colazione, il pranzo, la cena, la socialità, la doccia. È tutto maledettamente uguale, così con questi pensieri passano gli anni. Domani, il solito giorno uguale a ieri, ci attende. I dubbi ci assalgono implacabili ogni momento, ogni ora, ogni giorno. A volte ci illudiamo che tutto possa cambiare, ci si illude pur sapendo di illudersi. Se dovessi urlare che cos’è il pianeta carcere direi : cimitero per i vivi, deposito di resi umani, separazione legale dalla vita, scuola di annullamento.
Se dovessi parlarne direi: non cedere amico, non perderti fratello, guarda me ed impara. Io? Abbattermi? Non ci penso nemmeno! Sarebbe inutile, insensato, sì il mio corpo è ostaggio, ma non la mia anima. Il mio essere è eternamente libero, forte e vivo. Non possono ammanettarlo ed il mio pensiero è un “esperto evasore” di felicità.

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