Nel mucchio

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Qua dentro tutto è regolato dal capriccio. Secondino, capoposto o brigadiere decidono cosa sia concesso al detenuto o cosa sia invece negato, quali comportamenti consentiti e quali tollerati.
Il regolamento, come noto, si presta alle più varie interpretazioni di convenienza. Per fare il buono e cattivo tempo senza intralci, i portachiavi hanno bisogno di dividere i detenuti e metterli gli uni contro gli altri. Sarebbe un bel guaio se anche solo un’intera sezione, compatta e di comune accordo, puntasse i piedi contro ogni torto e abuso.
Per evitare noie occorre quindi correre ai ripari e seminare discordia. Vi descriviamo tre episodi che riflettono chiaramente questo rozzo sotterfugio..
Sono tutti avvenuti nelle ultime settimane, in un’unica sezione del carcere di Quarto d’Asti. Un giorno come gli altri a mezzogiorno arriva il carrello, ma nel vassoio che contiene le patatine fredde e mollicce viene trovato un mozzicone di sigaretta. Non è la prima volta che il vitto è condito da insolite guarnizioni, dato che pochi giorni prima al posto del mozzicone c’era una mosca. La reazione è subito accesa. Si rispedisce il carrello indietro in men che non si dica e si pretende di parlare con un responsabile. L’ispettore che interviene ha una risposta già pronta per placare le lagnanze: un bel rapporto disciplinare ai lavoranti della cucina e un ordine di cibo dall’esterno a loro spese! Tutti respingono la proposta ma il messaggio è ben chiaro: se protesti vai a discapito di altri detenuti, quindi è meglio lasciar correre… un ricatto bello e buono.
Qualche giorno dopo arriva una disposizione in base alla quale non si possono tenere in cella bombolette del gas di riserva, ma soltanto quella in uso nel fornello. Ogni volta che svuoti una bomboletta devi riconsegnarla per ottenere in cambio una piena dalla tua scorta. Il lavorante incaricato a raccogliere e custodire le bombolette in esubero è minacciato di rapporto disciplinare per ogni bomboletta di troppo trovata durante eventuali perquisizioni. In questo modo, per non danneggiare il lavorante, nessuno si mette in testa di infrangere la regola.
L’ultimo caso è di sicuro il più eclatante. Mentre la maggior parte dei detenuti è all’aria qualcuno apostrofa il secondino di turno con un insulto piuttosto colorito. Quest’ultimo non riesce a capire da quale cella provenga la sua voce e va a piangere dal capoposto il suo orgoglio ferito.
Quando poi tutti sono tornati dal passeggio minaccia un rapporto a carico dell’intera sezione, assenti compresi, se non gli viene riferito il nome del colpevole.
Tra le proteste e un momentaneo rifiuto di rientrare in cella, il rapporto viene ritirato senza che alcun nome venga fuori.
Puntualmente l’indomani mattina arrivano le perquisizioni. Una perquisizione locale dovrebbe avvenire per “motivi di ordini e sicurezza” (D.P.R., n°23 del 1999, art.42, comma I, n°8), ma nessuno fa mistero che in ogni caso si tratta di una ripicca. Rifiutarsi di fare la spia e di incolparsi l’un l’altro in carcere è una scelta punita. Non per questo è meno onorevole.

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