Riflessioni sul Sacro - sull'opuscolo Commitment for Life

...a proposito di un opuscolo intitolato 'A Commitment for Life'

Ho qui tra le mani l'opuscolo 'A Commitment for Life', benefit Terra Selvaggia, realizzato da alcuni compagni a scopo informativo sulla cultura e le ragioni della scelta straightedge. L'ho letto con molta attenzione e mi ha dato materia su cui riflettere: il testo che segue è il frutto di questa mia riflessione. Uno scritto polemico, portavoce di una visione del mondo contrastante, ma ispirato dal desiderio di veder crescere l'informazione, la sensibilità e il dibattito su questioni che sono troppo spesso trascurate dal movimento anarchico o comunque lasciate in secondo piano a causa di lotte più urgenti. Una critica all'idea di sacralità della vita, al senso del sacrificio in tutte le sue forme, alla stessa categoria del sacro, mi sembra utile e necessaria per individuare collettivamente possibili percorsi di liberazione, e scartarne altri. Questa pubblicazione non vuole essere una condanna ma un semplice contributo al dibattito. Non rientra nella mie intenzioni interferire con scelte di vita altrui che sono personali e comunque legittime. Diffondo questo scritto con la sola speranza di proseguire il confronto e vedere tutti attraverso di esso reciprocamente arricchiti, nell'obiettivo comune di un mondo libero dal dominio e da ogni genere di gabbia.

Lumine Michele, Torino giugno 2007

“E tu che ti lasci colmare e guidare da questo essere sacro, ne vieni santificato tu stesso. Ma il sacro non è fatto per i tuoi sensi e in quanto essere sensibile non potresti mai scoprire le sue tracce: il sacro si rivolge alla tua fede o, ancora più precisamente, al tuo spirito: infatti esso stesso è spirituale, è uno spirito, è spirito per lo spirito.”
“Tutto ciò per cui provate rispetto o venerazione merita il nome di sacro; infatti voi stessi dite che vi prende un 'sacro timore' alla sua presenza.”
“Gerarchia è dominio dei pensieri, dominio dello spirito!”
Max Stirner – L'unico e la sua proprietà

RIFLESSIONI SUL SACRO

L'osso sacro, posto al termine della schiena, ricava questo nome dal fatto che gli antichi fossero soliti sacrificare agli dei le frazioni terminali della colonna vertebrale dopo averle asportate dalla vittima. C'è un profondo significato dietro questo antico costume e insieme una fondamentale lezione da imparare: l'uomo che vuole farsi amica la potenza della divinità deve per questo rinunciare a ciò che vi è in esso di animale terrestre, e bruciare nel fuoco le ultime testimonianze di quella che un tempo era un'appendice caudale. Suggestioni letterarie a parte, è indubbio il significato di ciò che tutti intendiamo quando parliamo di sacro. Etimologicamente sacro significa 'separato': attraverso questa categoria il soggetto dell'esperienza religiosa opera una distinzione fondamentale tra il mondo profano e il dominio inviolabile del divino. Quando i primi uomini scoprirono quest'uso della ragione avevano già da tempo perso le loro code da scimmia, camminavano ormai in posizione eretta e indossavano indumenti, ma si rifugiavano ancora nelle caverne come le belve. E' il progenitore più prossimo alla nostra specie, l'uomo di Neanderthal, lo scopritore del sacro, il primo seppellitore di cadaveri ad inventare il culto dei morti e ad esprimere con esso il proprio bisogno di aldilà. Sono abbastanza note le attenzioni delle componenti più radicali dell'anarchismo verde nei confronti delle società umane primitive. Ciò di cui tuttavia ancora non riesco a capacitarmi è la più totale mancanza di fiuto di questi compagni di fronte alle possibili derive animistiche e misticheggianti a cui sovente l'ecologismo per sua natura si espone. L'opuscolo 'A Commitment for Life' ne costituisce un esempio evidente: cercherò dunque di ricavarne e commentarne gli elementi che mi sembrano di maggiore rilevanza etica per dimostrare come vari aspetti della cultura straight edge si trovino spesso in aperta contraddizione con le nostre più elementari aspirazioni di libertà. La prima cosa che salta all'occhio, fin dalla prefazione dell'opuscolo, è la continua e ossessiva presa di distanze del movimento straight edge da ogni genere di religione. “Troppe persone ne parlano e troppo si è detto senza conoscere le radici e le motivazioni che spingono a fare di una scelta uno stile di vita”. L'opuscolo in questione dunque “non vuole essere una bibbia dello sxe, non è una delle tante religioni come molti sostengono, e non ha nulla a che fare con nessuna di esse”. Eppure influenze e punti di contatto con le religioni fanno parte della storia di questo movimento, si pensi al movimento Hardline, di cui proprio il suddetto opuscolo offre una interessante ricostruzione, e al fatto che i Vegan Reich alla fine siano diventati musulmani. Non c'è bisogno di ricordarne le posizioni in tema di omosessualità e aborto. Ad ogni modo, non si può fare di tutta un'erba un fascio e non sarebbe lecito respingere per un caso particolare tutta una cultura generale. Nella cultura straight edge, come è probabile che sia in ogni dove, ci sono spunti di riflessione interessanti e vengono poste questioni tuttora irrisolte dai movimenti: la migliore raccomandazione è sempre quella di documentarsi e interpretare personalmente le cose. Personalmente mi sentirei di aderire con tutta tranquillità all'affermazione che lo straight edge non è una religione, ma dire che non abbia nulla a che fare con nessuna di esse mi sembra francamente un po' forzato. La preoccupazione dei compagni di distinguersi dalle religioni dogmatiche è lecita e tutto sommato onesta: come anarchici tutti noi rifiutiamo le religioni positive, perché per esservi un dogma ci deve essere un magistero o una qualche forma di autorità costituita inscindibile dall'esistenza di una casta sacerdotale. L'errore nel quale tuttavia non dobbiamo incorrere è quello di legittimare, magari proprio in funzione rivoluzionaria, forme altre di utilizzo del sacro, che poi è l'essenza di tutte le religioni. Quattro dicotomie, quattro giudizi di valore saranno al centro della mia attenzione nel muovere questa critica al gusto per il sacro.

LUCIDITA' / EBBREZZA (Don't Drink Don't Smoke)

Il rifiuto delle droghe, dell'alcool e delle sigarette come sostanze nocive, vizi consumistici, oltre che strumenti di controllo in mano alle grandi multinazionali è una conseguenza diretta del clima entro il quale la cultura straight edge nasce. Gli anni '80 sono anni di cambiamento all'interno del movimento punk e hardcore, prende piede “l'idea che punk non significasse rispondere allo stato di cose vigente con un nichilismo senza capo né coda che il più delle volte si accompagnava ad una tendenza all'autodistruzione e all'annullamento di sè”. Di qui la retorica sulla lucidità, l'assennatezza, il rispetto verso se stessi. E' importante notare come questa decisione di astensione dall'uso di certe sostanze nasca in stretta connessione con le esigenze di attivismo di un movimento in aperto conflitto con le logiche del sistema sociale. Ciò su cui tuttavia mi sembra più interessante ritornare, a proposito di nichilismo, è una distinzione fatta più di un secolo fa dal filosofo F.Nietzsche tra due costanti dell'esistenza umana che egli chiamò l'apollineo e il dionisiaco. Ecco, la cultura straight edge ha fatto propria questa separazione tra ragione e istinto, chiarezza ed ebbrezza, lucidità ed oblio, ma disconoscendone la fondamentale polarità e complicità per issare la sua bandiera dalla parte del primo termine della coppia contro il secondo. Operare una dicotomia in questa maniera, escludendo dal proprio stile di vita l'intera dimensione dionisiaca, è una forma di ascetismo e fanatismo della ragione, è uno sposalizio dell'antropologia teologica di tutti i tempi. Vizi di questo genere possono essere una catena che ci lega al sistema ma possono essere anche un'irrinunciabile scelta all'interno di una gestione complessiva del sé. Non c'è alcun motivo di non essere ubriachi nell'ozio se poi siamo capaci di essere lucidi nell'azione. La vita contempla anche le possibilità del sonno e della stanchezza, della superficialità e dell'ebbrezza. La ragione stessa si affina e si rafforza mediante queste molteplici esperienze. L'autodistruzione e l'astinenza sono entrambi eccessi nella stessa misura nocivi e la forza di un individuo viene semmai dall'armonia che questi riesce a stabilire tra le proprie esigenze fisiologiche. Ci sarebbero tante cose da dire su questo argomento, ma poiché non mi sembra particolarmente importante di fronte agli altri che seguono, voglio fermarmi qui e passare a questioni più rilevanti.

NATURA / UOMO (Scelta Ecologica)

La scelta ecologica è motivata in modo sufficientemente chiaro: “Lo stile di vita occidentale è l'unico responsabile del terribile stato in cui versa l'ambiente di tutto il globo e dobbiamo sentirci in dovere, in quanto parte (volente o nolente) di questo stile di vita, di adottare un'etica di consumo il meno possibile d'impatto”. Messaggio che mi sentirei di sottoscrivere se non fosse per il fatto che un'etica di tal genere viene presentata come un dovere e un problema di coscienza più che come un'opportunità di emancipazione. Io per primo boicotto i prodotti di alcune multinazionali e seguo uno stile di vita più o meno vegan, ma nel mio rifiuto della carne e della coca cola non c'è la preoccupazione per le mie personali responsabilità ma un consolidato disinteresse per pratiche e modi di vivere che non hanno più nulla di buono da offrirmi. Complici del sistema di sfruttamento che avversiamo lo siamo tutti e comunque, finché non ci ribelliamo. Il messaggio ecologista, posto in questi termini, sembra sortire più l'effetto di colpevolizzare l'uomo per le sue intromissioni nella natura piuttosto che liberarne le capacità rivoluzionarie e trasformatrici. Il problema è sempre il “modo in cui l'uomo si pone nei confronti della Natura, vista sempre come qualcosa di non autosufficiente e subordinata al volere umano, qualcosa da sfruttare o da salvare”. A proposito di questa svalorizzazione dell'uomo e di questa idealizzazione della natura ha già espresso un'opinione da me condivisa M.Passamani in un articolo di due anni fa intitolato 'Note su aborto, diritti e natura', recensione critica del libro di S.Guerini 'Aborto, spunti critici di riflessione'. Non c'è alcun bisogno di affermare diritti naturali per combattere il diritto statale, noi possiamo benissimo trarre tutto il diritto che ci serve da noi stessi, senza ricorrere a concetti astratti, vaghi e arbitrari come quello di natura, che in sé vuol dire tutto e non vuol dire niente. Tentazioni giusnaturalistiche non sono d'altra parte nuove in seno all'anarchismo: basti ricordare il pensatore classico in cui questo aspetto si fa più evidente, ovvero P.Kropotkin e il suo tentativo di fondare positivisticamente una morale anarchica. Tesi come quella che vorrebbe ristabilire un certo ordine naturale corrotto dall'uomo si prestano facilmente a rafforzamento di pregiudizi morali di matrice religiosa. La concezione di una qualche forma di sacralità emerge non solo dall'esplicito desiderio di “fare alcuni lunghi passi indietro per avvicinarsi un po' di più allo stato di natura” ma anche dalla tendenza continua ad animare la materia con nomi scritti in maiuscolo (Natura, Terra, Pianeta) e appellativi antropomorfici come quello di Madre Terra che tradiscono una certa volontà di adorazione e riverenza. Il culto di una dea madre è molto diffuso e su di esso i cristiani hanno fondato e costruito la stessa immagine della madonna. Il viaggio in Turchia del papa, e specialmente ad Efeso, è servito tra le altre cose a rafforzare e incrementare il culto mariano seguito anche da alcune donne musulmane che trovano nella madonna una risposta ad un vuoto religioso che la religione islamica non si è mai preoccupata di colmare: l'utilizzabilità di fenomeni di questo tipo a fini di soggezione e controllo politico è chiara ed evidente. La libertà dell'individuo è inconciliabile tanto con l'idea di un Dio Padre quanto con quella di una Terra Madre: essa può scaturire solo dal più completo abbandono di tutti i pregiudizi morali e le eteronomie intellettuali che saremo in grado di individuare e superare.

EMOTIVITA' / FISICITA' (Don't Fuck Around)

La terza dicotomia, quel pregiudizio morale che scinde la componente fisica da quella emotiva, ci porta nell'ambito dell'etica sessuale. Mi piace credere alle migliori intenzioni degli editori nel non voler fare moralismi a nessuno ma, devo essere onesto, il linguaggio utilizzato a volte sa un po' di chiesa. Per cogliere il paragone, si veda ad esempio l'enciclica 'Deus Caritas Est' di Benedetto XVI in cui il nostro maledetto pontefice si appresta a distinguere l'agape, l'amore cristiano, la carità, dall'eros, l'amore greco, per sacrificare il secondo a vantaggio del primo. Spero che le mie critiche possano servire se non altro a fare qualche riflessione su facili distinzioni concettuali che ereditiamo dalla nostra cristianissima tradizione culturale senza chiederci se sia questo il modo migliore di catalogare i tanti modi d'essere dell'amore. Per entrare nel merito della questione, io credo che l'odierna leggerezza nei costumi sessuali non sia del tutto un fatto negativo ma un segno di salute e di emancipazione dalla morale. Gli editori definiscono questa dicotomia dicendo: “Per noi il sesso è una componente essenziale in un rapporto di coppia, ma non è l'unica. Se così fosse riterremmo un tale rapporto come vuoto”. In questo modo non si fa che ripetere in un certo senso il luogo comune per cui l'amore è meglio del freddo rapporto sessuale. Non che ci volesse molto a capirlo, ma ciò che non si capisce è per quale ragione scindere la sfera emotiva da quella corporea debba significare “mercificare il nostro e l'altrui corpo, utilizzandoli solo come mezzi il cui fine ultimo è il piacere”. Di qui si ricavano critiche assurde alla prostituzione volontaria ed alla pornografia, pratiche ricondotte sbrigativamente a logiche di sfruttamento del capitalismo, mentre il sesso come valvola di sfogo delle frustrazioni non è una conseguenza del capitalismo ma la più elementare delle attività vitali. E persino i nostri più nobili sentimenti cosa sono se non istinti spiritualizzati, e cioè alleati di tutte le più affabulatorie ragioni? Lo scopo è sempre il medesimo, il piacere. Certo che “l'altro non è solo colui/colei che ci fa godere, ma è una persona con la propria individualità, unicità e continuità”, ma verso questi suoi attributi non proviamo forse rispetto per il godimento che ci procurano? Personalmente non sono un cultore del genere porno ma mi si rizzano i peli quando sento dire che tramite esso “uno dei due è ridotto a semplice oggetto del piacere dell'altro con cui non c'è confronto ma semplicemente uso e abuso”. Ancora: “la pornografia è profondamente maschilista e non fa che riproporre sul registro sessuale la dominanza dell'uomo sulla donna, dell'attivo sul passivo”. Mi sembrano giudizi preconcetti. La pornografia, e cioè la registrazione video e diffusione pubblica di rapporti sessuali, per quanto asservita come tutte le arti e tutti i generi cinematografici alla morale della sopraffazione e della violenza, non è per questo da rigettarsi in sè. Lo stesso discorso vale per la prostituzione che, quando è consapevole e volontaria, può non piacere ma rientra nell'ambito dei liberi accordi che degli individui adulti decidono di stipulare tra loro. Se nei costumi sessuali, nei rapporti facili, nel sesso a pagamento e nella pornografia ci sono abusi e violenze l'indice andrebbe puntato non contro le prostitute e i porno ma contro gli abusatori e i violentatori, e contro chi li protegge. Andiamoli a cercare a San Pietro, sono certo che lì ne troveremo parecchi. La tendenza ad una sessualità vissuta in modo autoritario, allo stupro ed al gusto per la violenza fisica andrebbero combattuti combattendo le istituzioni sessiste, per esempio i tribunali che assolvono o riconoscono troppo facilmente le attenuanti agli stupratori. Non ci sono valide ragioni per sferrare una tale condanna contro gli istinti del corpo a meno che non si voglia legittimare un solo tipo di istinto, quello che contempla una coppia duratura, quello che porta ai figli. Se crediamo che le nostre azioni non siano guidate da un insensato finalismo naturale non possiamo che arrenderci e riconoscere che solo il desiderio guida donne e uomini, che da questo punto di vista il desiderio di maternità o paternità e il desiderio di godimento fisico sono moralmente equivalenti. Infine, la migliore risposta che possiamo dare oggi all'aggressività cattolica in tema di etica sessuale è solo un rilancio di quella 'libertà anarchica' che proprio J.Ratzinger all'inizio del suo pontificato ha individuato nel relativismo etico.

VITA / MORTE (Aborto)

E veniamo a parlare dell'argomento più delicato, quello dell'aborto. Va detto subito che gli editori dell'opuscolo si sono presi la premura di presentare due posizioni differenti sul tema, lasciando a intendere che all'interno dello stesso fenomeno straight edge il tema ha sempre suscitato forti discussioni e spaccature. L'argomento cosiddetto pro-choice mi sembra molto sensato e ben argomentato, pertanto non c'è bisogno di commentarlo e mi limiterò a citarne un paio di passaggi significativi. “Uno dei 'diritti' fondamentali della donna è la possibilità di scegliere se avere o meno dei figli. La libertà di scelta è un requisito fondamentale per l'affermazione di un individuo, minarla alla base con il divieto assoluto di abortire non solo presuppone un chiaro concetto di matrice 'autoritaria', ma non si addice chiaramente, nel suo intento di 'proibizione', a principi di ispirazione anarchica o libertaria”. “Il concetto che il feto abbia più 'potere' sulla donna che lo porta in grembo non ha senso di esistere, bisogna considerare il fatto che la maturità situazionale e lo stato emotivo della donna per l'eventuale gravidanza indesiderata abbiano altrettanta importanza quanto la vita stessa”. Questo modo di ragionare è conseguente ad un'etica della qualità della vita, che non considera la vita prenatale inviolabile e l'aborto un assassinio. La qualità della vita è un metro dell'etica utilitaristica, che nella storia non si è certo astenuta dal legittimare ideologie autoritarie, in primis la stessa democrazia, ma se non altro giudica le azioni umane sulla base delle loro conseguenze in termini di vita pratica e non sulla base di precetti assoluti stabiliti a priori, in sé moralmente buoni o cattivi. Io non condivido certo quell'utilitarismo che fa del benessere della maggioranza un criterio di giudizio in mano ad una élite di rappresentanti del popolo, perché non ritengo ogni cittadino uguale agli altri davanti allo stato e rifiuto l'inevitabile dittatura delle maggioranze, ma credo che un'etica che miri al miglioramento qualitativo della vita, da stabilirsi soggettivamente e a posteriori, sia comunque più affine alle teorie antiautoritarie di quanto possa esserlo ogni concezione metafisica del sacro. Una posizione diametralmente opposta, conseguente ad un'etica della sacralità della vita, è quella che emerge invece dalla sezione 'critica all'aborto' con ampi estratti dal già citato libro di S.Guerini. Il testo si apre con una definizione, “Anarchica – Contro ogni forma di specismo e una creazione di scale gerarchiche tra esseri viventi”, che riassume molto bene tale concezione dell'anarchismo, un anarchismo che a priori mette sullo stesso piano ogni creatura vivente e a priori considera autoritaria ogni azione sacrilega sulla vita. “Un totale superamento dello specismo è considerare la vita, sotto qualsiasi forma si manifesti, sacra (...) e inviolabile, non ponendo gerarchie tra vite: ogni vita è pari ad un'altra”. Un'attenzione particolare merita la definizione di sacro: “Il termine 'sacro' lo dissocio dalla sua valenza religiosa per rimandarlo al suo significato originale e letterale di riverenza e quindi nel senso di profondo rispetto verso qualcosa che non appartiene a noi”. Non voglio mettermi qui a fare sofisticate discussioni sull'etimo delle parole, mi basterà evidenziare una contraddizione palese: da una parte si dissocia il concetto di sacro dalla sua valenza religiosa e dall'altro lo si definisce come riverenza per qualcosa di altro da sé. Ancora una volta, la preoccupazione è solo quella di discostarsi dalle religioni dogmatiche e istituzionali, non da tutte le religioni, dalla religiosità. Questo altro da sé è considerato come un principio numinoso a tutti gli effetti, qualcosa che non ci appartiene ma cui noi apparteniamo per natura, un principio animistico. Con queste premesse non stupisce poi leggere che “l'aborto, all'interno di una cornice anarchica, è il dominio di chi è già nato”. La vita prenatale, naturalmente innocente e indifesa, assume in questa dicotomia un valore e una dignità decisamente superiori a quelli della vita mondana, sociale, tanto che si arriva persino a dire che “è una logica aberrante, razzista e autoritaria quella di arrogarsi il potere di decidere quale vita sia più degna di essere vissuta”. Secondo me invece arrogarsi il potere di decidere la dignità della vita, di ogni singola vita, non risponde a logiche efficientistiche del capitalismo ma è il più basilare esercizio di libertà. Le vite non sono tutte uguali ma siamo noi liberi di dar loro il valore che meritano e possiamo anche decidere che un figlio, se non è desiderato, se non ci sono le condizioni affinché possa crescere sano e felice, è meglio che non nasca. E' noto come anche in natura molti animali abbandonino o sopprimano i cuccioli quando nascono malati o quando ci sono troppe bocche da sfamare. Ma il vero punto è che se anche l'interruzione di una gravidanza avanzata arrecasse dolore al feto o comportasse a tutti gli effetti l'omicidio di un essere senziente nascituro, questo omicidio deve essere considerato comunque una possibilità e non escluso sulla base di un divieto. D'altra parte non abbiamo mai esitato a celebrare gli anarchici che uccidono i tiranni e i partigiani che sparano ai fascisti: uccidere è lecito, il pacifismo ci disgusta. Si obietterà che i dittatori non sono innocenti, ma allora quante minuscole forme di vita innocente uccidiamo quotidianamente senza nemmeno accorgercene? La libertà ha una componente anche di crudeltà, di drammaticità, e se bisogna a tutti i costi dare dell'autoritario a qualcuno diremo che autoritaria è proprio la natura che ci mette in queste condizioni. Mi rendo conto del fatto che a qualcuno potrà suonare eccessivo ma io credo ancora che la nascita dal grembo materno segni una trasformazione fondamentale e l'inizio reale di una nuova vita, che forse non resterà ugualmente innocente, ma che ora è organicamente autosufficiente e socialmente riconoscibile come una persona nuova. Il nascituro invece non è ancora nato, prova emozioni elementari ma non ancora mondane, solo dopo il parto è realmente nato e a dirla tutta la maggior parte degli esseri umani, schiavi di questa civiltà del sacro e del dominio, non nasce mai nell'arco di una vita. Al nascituro manca l'elemento indispensabile per entrare all'interno di una qualsivoglia comunità morale, e cioè la libertà, che è un tipo di relazione sociale. Dal mio punto di vista è molto più degna di valore la vita di un qualsiasi animale non umano nato che quella di un animale umano mai nato, e se c'è qualcuno che più di noi tutti merita di stabilirne il valore questa è l'unica persona che possa in un qualche modo rivendicare di avere una relazione con lui, e questa è la madre. Per finire mi sembra doveroso dire che a proposito di aborto e specialmente in gravidanza inoltrata si dovrebbero discutere molto di più i problemi che un intervento così invasivo può causare alla donna piuttosto che perdersi in insondabili astrazioni filosofiche sullo status ontologico del feto nelle varie fasi della gravidanza. J.Ratzinger ha di recente abolito il limbo proprio per riconoscere alle vittime di aborto l'innocenza degna del paradiso, smentendo la tradizionale assegnazione dei bimbi mai nati ad un oscuro reame di anime tragicamente neutrali a causa della loro ovvia ingiudicabilità. Dare più valore alla vita prenatale è una strategia per impoverire di valore la vita mondana, è un mondo filosofico costruito dietro il mondo reale, quello sociale, ma molto più materiale, più umano, moderno di tutti i retromondi che siano mai stati inventati dai cristiani. Ogni concezione della sacralità della vita è uno strumento da preti e un pericolo per il corpo delle donne. Si dice: “L'aborto porta con sé una logica assurda di possesso e proprietà”: rispondo che pensare che ci siano cose che non ci possono appartenere, nemmeno quelle più nostre, nemmeno quelle organicamente nostre, è un furto operato su di noi ad opera di preti.

CONCLUSIONE

Una critica così aperta alla “cultura di morte” del capitalismo utilizza argomentazioni, concetti e parole che si trovano anche in tutte le opere di Giovanni Paolo II. Questa insistenza sulle affinità di una tale concezione con l'antiabortismo cattolico non è un accostamento felice, me ne rendo conto, ma non può altresì essere taciuta a causa dei cambiamenti culturali che la nostra epoca dovrà presto o tardi necessariamente compiere fino in fondo. Alludo al lento spegnersi della passione religiosa, alla decadenza morale e materiale della tradizione cristiana ed alle trasformazioni cui essa ricorre per prolungare il proprio tramonto. Da quando dio è morto infatti i teologi non si occupano più della sua unità e trinità ma si interessano di morale e di bioetica. Il cristianesimo dopo la secolarizzazione e l'affermazione dello scientismo borghese si configura sempre di più come una religione etica. All'interno della lotta tutta italiana che si sta riaccendendo tra cattolici e laici, se il razionalismo scientista ha trovato un nuovo idolo nello stato laico, ogni forma di spiritualismo è un'alleata naturale della religione organizzata e delle sue battaglie culturali. Il progresso tecnoscientifico dunque non richiede un supplemento d'anima ma è esso stesso conseguenza della morale religiosa. Ciò che vorrei tutti i compagni capissero è che il nemico non è la cultura della morte ma l'autorità, l'alienazione, il sacro. Da questo punto di vista l'anticlericalismo laicista della borghesia sinistrorsa e la morale antiscientifica dei preti e dei mistici sembrano equivalersi. La vera cultura di morte è la cultura del sacro perché è cultura del sacrificio. La cosa migliore da farsi, per degli anarchici, sarebbe accrescere questo scontro tra stato e chiesa, per raccogliere infine i resti di entrambi, e non scagliarsi acriticamente contro l'ideologia capitalistica e il sistema di morte che comporta come se l'economia fosse l'unica causa dei mali di tutte le anime della terra. Con l'analisi di questa quarta dicotomia, ho messo in luce quattro differenti, ma correlati, usi della categoria del sacro e quattro conseguenti sacrifici. La cultura straight edge sembra aver fatto proprie queste quattro separazioni teoriche, quattro idealizzazioni che rompono l'intima complicità delle parti che compongono l'esistenza. L'idealizzazione della lucidità, che poi altro non è che un'idealizzazione della razionalità, si fonda sul sacrificio dell'ebbrezza. L'idealizzazione della natura si fonda sul sacrificio dell'uomo. L'idealizzazione dell'amore maturo e responsabile si fonda sul sacrificio della sessualità fisica. L'idealizzazione della vita, ed in particolar modo la vita innocente, intatta del feto, è infine il vero sacrificio della vita mondana. Queste quattro coppie di valori e disvalori ci vogliono lasciar intendere che ciò che vi può essere di meglio nell'uomo è proprio quel modello di razionalità che è sempre stato pretesto per distinguere l'animale uomo dagli animali non umani. Ogni concezione della sacralità della vita, ben lungi dal costituire “un totale superamento dello specismo” è una tipica espressione della cultura umanistica ed antropocentrica che, proprio in quanto animalisti, avversiamo. Temprare il proprio spirito con ferri di questo tipo significa dimenticare proprio ciò che in noi vi è di più immediato, istintivo, bestiale, è un eterno sacrificio di ossa sacre. Il sacrificio, si sa, può essere un modo per preparare il coraggio di fronte alla guerra, ma ve ne sono anche altri. Forza e coraggio si ottengono anche da uno spirito libero e audace, che affronta il suo nemico senza diritti né pretese. Anche nella leggerezza vi può essere una grande forza. Per quel che mi riguarda penso che essere anarchici significhi prima di tutto essere sempre irrimediabilmente dissacranti.

Mar, 12/06/2007 – 14:28
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