Sul Movimento Straight Edge

Introduzione.
Queste righe vogliono essere una risposta alla critica mossa da Michele Lumine riguardo all’opuscolo A commitment for life.
Innanzitutto ci tengo a precisare alcune cose di fondamentale importanza per capire lo scritto che segue. In primo luogo sono stato molto felice di notare che l’opuscolo al quale ho contribuito non è passato inosservato all’interno della “scena” ma ha invece dato spunti di discussione e di riflessione; ritengo il semplice fatto che ora io mi trovi qui a scrivere questa risposta come un elemento importantissimo e il raggiungimento di uno degli obiettivi che ci si era implicitamente prefissi nello scrivere l’opuscolo.

In secondo luogo voglio sottolineare una cosa che ho notato immediatamente nel leggere la critica di Michele che ritengo possa essere stato un grosso fraintendimento. L’opuscolo in questione non è stato scritto (almeno per quanto mi riguarda) con la pretesa di essere un trattato di filosofia né tantomeno un documento unificatore del movimento straight edge animalista-ecologista attuale. Sono e resterò sempre del parere che sebbene esistano alcuni concetti attorno ai quali la maggior parte degli straight edge si ritrovano non si possa mai parlare di un movimento straight edge come di un insieme di persone completamente concordi sulla loro morale di vita. Ogni singolo aspetto dello straight edge ha una fortissima componente personale e ogni persona che decide di seguire questa scelta ha personali motivi o convinzioni per farlo.
Con A commitment for life si è cercato di dare una spiegazione generale del pensiero straight edge ma per farlo si sono dovuti lasciare aperti molti spunti per eventuali critiche, spunti che possono essere chiusi solo quando si dialoga tra due persone e non tra un gruppo di persone (che come già detto può avere lievi discrepanze sui vari temi) e una critica esterna.
Per questo motivo a differenza della parte che ho scritto sull’opuscolo che è stata posta in termini generali,Queste righe saranno una spiegazione personale dei punti che mi hanno maggiormente colpito della critica di Michele.

La Non filosofia Straight Edge
Lo straight edge nasce negli anni ottanta dal movimento punk hardcore; non nell’ottocento né tantomeno da dei pensatori eruditi. Pertanto è molto facile da parte di qualcuno che voglia criticarlo tirare fuori concetti filosofici che possono in qualche modo calzare in linea generale con i concetti base del pensiero straight edge ma facendo questo ci si distacca da una componente fondamentale di tutto questo complesso di valori, la realtà locale specifica. Se vogliamo andare alle origini del movimento e pensare alle situazioni nelle quali lo SxE è nato mi salta immediatamente alla mente un’immagine. Un concerto hardcore in uno scantinato buio pieno di gente e un gruppo di esagitati che urla in un microfono. In questo contesto mi immagino decine di ragazzi poco più che adolescenti mezzi ubriachi o intenti a cercare il modo più semplice ed efficace per sballare, un po’perché per dieci anni i gruppi punk non hanno fatto altro che dare questa immagine di gente distrutta e un po’ perché la realtà degli anni ’80 non fornisce molte opportunità facendo dilagare il nichilismo autodistruttivo. È anche facilmente capibile come alcune bands abbiano deciso di dare una diversa immagine di sé e rifiutare questo andamento che sembrava non poter portare a nulla di concreto ma solo ad un annullamento dell’individuo che non poteva fare altro che favorire l’avanzata del sistema di sfruttamento globale. Ai giorni nostri la realtà è differente e i motivi per cui le droghe e l’alcol continuano a circolare sono in parte mutati anche se il fine per il quale gli viene concesso di proliferare è lo stesso, l’annullamento dell’individuo. Concedere qualcosa che gratifica nell’immediato ma che serve poi come strumento di controllo è stata la più grande vittoria dei governi e dei poteri conservatori. Le droghe, l’alcol, il voto, la TV, l’intrattenimento informatico e mille altre attività che ci vengono passate come “esercizio della libertà” non sono altro che subdoli strumenti di coercizione e controllo delle pulsioni umane che se non impegnate in queste attività potrebbero nuocere al potere dominante.
Rifiutare queste attività o cercare di escluderle il più possibile dalla propria vita non va inteso come un rifiuto della componente dionisiaca ma come un’astensione utilitaristica da attività che possono nuocere alla causa per la quale ci battiamo. Sono straight edge ma non per questo trascorro le mie giornate o le mie serate a rimuginare su come gli altri siano asserviti alla cultura imperante o a denigrare ogni aspetto irrazionale della vita. La questione principale è sottolineare come possano esserci momenti di convivialità e divertimento anche senza dover essere ebbri o allucinati e come la realtà e l’ambiente naturale possano essere nei luoghi e nei momenti giusti la migliore gratificazione per la mente e per il corpo. Una droga o la TV per esempio possono farti divertire in un luogo che altrimenti risulterebbe deprimente (come il sobborgo urbano o anche la cella di una prigione) ma se ci trovassimo in un ambiente meno ostile e meno avvilente magari circondati da persone amiche ecco che non vi sarebbe più la necessità di ricorrere a simili artifici per trascorrere piacevolmente il nostro tempo. Questo è il dionisiaco che voglio. Volti amici attorno ad un fuoco sulle rocce di un fiume di montagna, trasportati dalle risate e coccolati dal rumore dell’acqua e dal frinire dei grilli. Non vi sarà mai nessuna droga, trasmissione televisiva o allucinazione che potrà sostituire simili sensazioni. Questo non è fanatismo della razionalità, è ricercare momenti di svago diversi da quelli nei quali vogliono incanalare le nostre energie.
L’intrattenimento finto delle droghe può servire a chi non conosce queste sensazioni per evadere momentaneamente dallo stesso sistema che gliele ha tenute nascoste. Io ho avuto la fortuna di sentire questa incredibile forza di libertà scorrermi dentro e non ci potrà mai essere nulla di artificioso che mi farà tornare indietro.
“L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, l’autorità costituita..[…]”

Tornando al testo in questione voglio citare una frase di questa critica che mi è parsa fraintendere molto il messaggio che ho cercato di trasmettere nell’opuscolo.
L'autodistruzione e l'astinenza sono entrambi eccessi nella stessa misura nocivi e la forza di un individuo viene semmai dall'armonia che questi riesce a stabilire tra le proprie esigenze fisiologiche.
Innanzitutto non ritengo che l’astinenza da droghe o alcol possa in qualche maniera essere nociva ma questa affermazione se non supportata da dati (cosa che mi guardo bene del fare in questa sede) rientra nell’ambito delle opinioni personali e quindi non vale la pena di dilungarsi. Mi preme invece evidenziare un passo che mi sembra alquanto esemplificativo. Si parla di armonia tra le esigenze fisiologiche… Sarò forse io ad essere differente dalla maggior parte della gente ma non ritengo l’alcol, le altre droghe o tutte le altre sostanze o attività che evito nel mio stile di vita come esigenze fisiologiche. Se così fossero vorrebbe dire che o sto andando contro l’istinto naturale oppure che la cultura distruttiva in cui viviamo mi ha talmente posseduto da inculcarmi all’interno dei desideri fisiologici alieni dalla condizione di animale umano e potenzialmente dannosi. Ci tengo soprattutto a sottolineare che la mia astensione da determinate sostanze e abitudini non è una rinuncia nel senso di abnegazione. Non vi è nessun sacrificio in me (ad esempio) nel non bere alcolici, non rinuncio perché una “regola del movimento” me lo vieta ma perché non ne sento la necessità. Sarebbe per me una forzatura agire in maniera contraria.

In conclusione la mia visione del movimento straight edge non è come di un qualche pensiero filosofico al quale aderire ma bensì come la naturale progressione individuale di una persona che ha deciso di allontanarsi sempre di più da un sistema di abitudini, valori e credenze che non condivido e che ritengo responsabili della totale distruzione degli ambienti e degli istinti naturali.

Natura o natura, Umano e Sacro
Arrivo dunque a parlare del concetto di spiritualità che tanto si denigra nella critica mossa al nostro opuscolo.
Nel paragrafo della critica che tratta di Natura e Uomo riferendosi al capitolo dell’opuscolo Scelta Ecologica emerge un concetto in maniera differente da quella che intendevo comunicare. L’idea di emancipazione dell’individuo attraverso la rinuncia di certe attività (come il consumo di carne e derivati animali o di prodotti industriali -o perché no di tutti i prodotti!-) ritenevo che fosse stata espressa in maniera abbastanza chiara ma anche messa in stretta relazione con la componente di coscienza etica mentre invece pare che solo questo secondo elemento sia affiorato e di questo mi dispiaccio.
In questo paragrafo si parla anche di un altro concetto estremamente abusato ma non per questo da escludere dalle trattazioni. Il concetto di natura.
È evidente come sia praticamente impossibile definire in termini generali il concetto di stato di natura per le insormontabili difficoltà che insorgono nel definire come e quando questa condizione umana sia esistita e sia terminata e persino quali caratteristiche questa potesse avere. Esiste però un dato incontrovertibile. Attualmente le attività umane sono completamente differenti da quelle di tutte le altre specie naturali e quindi deviate rispetto all’andamento della natura stessa. Ne è una dimostrazione il fatto che queste attività stanno portando la specie umana e l’intero sistema del vivente alla distruzione. Questo mi basta per auspicare che la mia vita possa evolversi in una direzione più naturale di quella nella quale il resto del mondo sta andando, verso una più completa armonia con ogni altro aspetto del vivente.
E a mio parere la chiave di lettura della perifrasi “stato di natura” sta proprio in questa parola, armonia. Vivere senza creare squilibri nelle attività globali delle altre specie animali e vegetali.
Dobbiamo tenere a mente che non è importante dare una definizione universale al concetto di natura, è molto più urgente cercare di rallentare se non invertire la direzione verso cui la nostra società si sta lanciando che sicuramente è quella opposta alla natura. Mentre la filosofia perde tempo a cercare questa definizione la possibilità di salvezza del complesso del vivente sfuggono sempre di più.

Fino ad adesso ho però rimandato la trattazione del nocciolo centrale della critica perché era necessario chiarire prima alcuni aspetti del mio modo di pensare a agire. A questo punto mi sembra doveroso spiegare una sostanziale differenza di pensiero tra il mio modo di vedere le cose e quello dell’autore della critica in questione.
Per Michele il problema principale è il prendere le distanze da ogni sacralità sia essa dogmatica o no.
“Per quel che mi riguarda penso che essere anarchici significhi prima di tutto essere sempre irrimediabilmente dissacranti.”
Sebbene nella trattazione dell’opuscolo avessimo anticipatamente chiarito come lo straight edge fosse distante da ogni religione sembra quasi che ogni argomentazione in questo senso non sia mai sufficientemente esaustiva. Forse risulta difficile per gente abituata storicamente ad una netta contrapposizione tra anarchismo e cattolicesimo capire che esistono anche altri motivi, ben più condivisibili, oltre a quelli propagandati in maniera dogmatica dalle varie religioni per rifiutare alcune attività proprie della cultura dominante.
In particolare riguardo all’aborto mi sembra che la maggior parte dei sostenitori della cosiddetta “libertà” di scelta sia più impegnata a prendere la posizione opposta a quella del clero piuttosto che a pensare autonomamente al nocciolo della questione. Non sono ancora riuscito a fare una discussione sull’aborto che non tirasse in ballo la religione. Non è di religione che si deve parlare ma della possibilità di una persona di negare una vita. Pare invece che riguardo all’aborto esistano due schieramenti, quello filocattolico e quello anticlericale entrambi troppo impegnati a darsi addosso per pensare al reale problema.
Io dal canto mio preferisco pensare con la mia testa e rifiutare entrambe le posizioni. Ho i miei motivi per pensare che sia sbagliato far uccidere il proprio figlio e non mi interessa se ci sono dei cattolici che la pensano allo stesso modo, hanno differenti motivi e quindi nulla a che vedere con me.
Da notare che ho sottolineato il FAR UCCIDERE perché troppo spesso viene tirato in ballo il fatto che anche gli animali abbandonano o uccidono la prole per esigenze di sopravvivenza. Nel mondo degli umani invece è omicidio uccidere un neonato che prova sostanzialmente le stesse sensazioni di un feto ma è legale delegare la sua uccisione ad un medico.
Un altro concetto che sembra proprio non essere digerito dalla componente pro-choice è la questione del divieto. Ancora una volta mi trovo a scontrarmi con dichiarazioni di questo tipo: “[…]non escluso sulla base di un divieto.” Ancora una volta mi trovo a ribadire che non credo nella legge e soprattutto non auspico nessuna legge tantomeno una che si interessi di questioni tanto personali come la procreazione. Il divieto se così vi piace chiamarlo non deve essere una imposizione da parte di una entità superiore (sia essa lo stato, la chiesa, la famiglia o chissà che altro) ma una convinzione morale che considera ogni vita innocente degna di essere vissuta indipendentemente da quanto fastidio questa vita possa arrecare alle nostre abitudini personali.

Riguardo alla vita innocente vengono poi fatte anche asserzioni criticabili ma che offrono un valido spunto di dialogo. “[…]quante minuscole forme di vita innocente uccidiamo quotidianamente senza nemmeno accorgercene?”
Questa affermazione rientra nel campo della volontarietà. Se l’uccisione di forme di vita è volontaria è doppiamente condannabile se consapevole ma difficilmente evitabile è solamente criticabile.
In effetti ci si dichiara molto facilmente antispecisti ma si continua ad utilizzare l’automobile per gli spostamenti pulendo di tanto in tanto il parabrezza dalle migliaia di insetti che terminano la loro vita per un nostro vezzo. Tuttavia questa critica per quanto sensata non ha un vero e proprio fine, viene usata come in questo caso per argomentare delle tesi che poco centrano e che altrimenti avrebbero ben poche possibilità di essere sostenute. Non si può equiparare l’uccisione di queste vite innocenti all’aborto non per specismo (per quanto mi renda conto dello specismo insito nella sufficienza con la quale vengono abitualmente trattate queste morti) ma per il semplice fatto che utilizziamo un’attività sbagliata della quale tutti siamo colpevoli per giustificarne un’altra ugualmente sbagliata. Continuando la catena si potrebbe arrivare a giustificare ogni sorta di abuso sugli altri esseri viventi. Il fatto che non siamo ancora disposti a rinunciare ad attività dannose e distruttive non ci dovrebbe spronare a sostenerne altre altrettanto distruttive ma al contrario a impegnarci ancora di più per diminuire queste attività dalle nostre abitudini.

Sempre riguardo all’aborto si accusa di dare più importanza alla vita prenatale che a quella post partum ma se si legge con attenzione il testo ci si può rendere conto che più volte è ribadito il concetto che la vita di un feto è considerata al pari di quella di un essere già nato. E non capisco proprio come si possa associare questo concetto descritto in un opuscolo sullo straight edge e sull’ecologismo con i preti e la religione.
Ancora una volta dalle pagine della critica filtra un astio probabilmente dovuto ad esperienze personali dell’autore nei confronti del clero che tende a soffocare ogni elucubrazione raziocinante per lasciare posto all’attacco frontale e mal motivato. Con questo non voglio però in alcun modo difendere le religioni e i loro sacerdoti, responsabili quanto tutti gli altri organi di dominio della misera condizione in cui versa il pianeta ma bensì sottolineare nuovamente quanto alcune volte si tenda a perdere di vista il discorso di base derivando in attacchi più o meno motivati verso categorie o situazioni che centrano marginalmente con l’argomento trattato.

In particolare sulle varie influenze che le religioni possono aver avuto sullo straight edge la materia è alquanto complicata. Dal mio personale punto di vista non avendo mai avuto nessuna fede religiosa posso tranquillamente affermare che le motivazioni che ho per essere SxE trascendono completamente dalla religione ma pure ammesso che potessero negli anni esserci state interferenze non bisogna dimenticare che è possibile estrapolare dai vari comportamenti che sono propri degli straight edge moltissime argomentazioni al di fuori di ogni precetto religioso. Come ho già sostenuto essere in accordo con persone che disprezziamo su qualche tematica non significa avere qualcosa in comune con esse poiché sono differenti i motivi che ci portano a compiere scelte simili. Un esempio calzante può essere il boicottaggio che molti fascisti compiono a danno di multinazionali americane. La scelta di non consumare certi prodotti viene fatta da persone di orientamento politico diametralmente opposto per differenti motivi e poco importa se poi la scelta è la stessa. Non avremo mai nulla a che spartire con loro né mai potranno essere utili alla nostra lotta.

Alcune cose non ci appartengono
Un importante punto di discrepanza tra il mio modo di pensare e quello dell’autore della critica è evidente riguardo alla considerazione del sacro. Ovviamente il mio utilizzo del termine sacro non ha nulla a che vedere con il termine cattolico e religioso della morale comune e sebbene nella lettura dell’opuscolo mi sembrava evidente deve essere stato ampiamente travisato da chi ha scritto la critica in questione.
Anzitutto non credo in un potere arbitrario superiore che possa influenzare le vite e le morti degli umani e delle altre specie viventi come non credo in nessuna volontà creatrice. Questo è però ben differente dal dichiarare di non possedere alcun tipo di spiritualità. L’idea di sacro è intesa come riguardante quelle cose che non dovrebbero essere di competenza umana e in particolar modo la vita. La vita in questione non è da me intesa come un’anima immortale o qualche genere di entità soprannaturale astratta ma come l’insieme delle specie viventi all’interno di un armonioso ambiente adatto al loro sostentamento. E per sacralità di questo concetto intendo che qualora l’uomo con l’esercizio della ragione andasse a minare questo equilibrio e questa armonia sarebbe come commettere un crimine verso tutti gli esseri viventi.
Per quanto mi sia sforzato di coglierlo non sono riuscito a trovare nessun valido argomento sul quale basare una condanna di ogni tipo di spiritualità a parte forse uno che però se devo essere sincero non filtra affatto dalle righe di questa critica. La non naturalità della spiritualità umana.

In effetti se prendiamo l’uomo nel suo contesto di specie animale non civilizzata (e non voglio stare a stabilire il se e quando questa condizione si sia verificata ma solo basarmi sul modello ideale della scimmia antropomorfa non ancora capace di un linguaggio articolato e non ancora stanziale) come tutti gli animali non si poneva il problema del “chi siamo, da dove veniamo e dove andremo”. Dal momento che ha iniziato a sviluppare le caratteristiche fisiche e morali per porsi queste domande possiamo dire che le basi per la situazione attuale erano state fondate. Tuttavia allo stato attuale delle cose si può fare ben poco per ovviare a questo problema, bisogna invece prendere atto del fatto che ormai l’uomo c’è e ha purtroppo tutte le caratteristiche per porsi ogni tipo di domanda sulla sua genesi e sul senso della vita. E quindi se è indubbio che i poteri di ogni tempo abbiano cercato di indirizzare la tendenza (ormai possiamo dire naturale in quanto insita in ogni essere umano raziocinante) a porsi queste domande verso una logica di controllo sociale e di gratificazione ultraterrena per i meriti (o i demeriti) della vita terrena è anche vero che non è più possibile impedire all’essere umano di rimuginare continuamente sul suo destino. Sarebbe bello che smettesse di farlo ma non lo farà mai.

Un pensiero primitivista e antitecnologico che voglia essere anche attuale e potenzialmente attuabile dovrebbe tener conto di questa ormai irrinunciabile condizione dell’essere umano e ragionare di conseguenza. Scagliarsi a priori contro ogni tipo di spiritualità oltre che una lotta fallimentare è anche un grosso errore dal punto di vista tattico e di consenso.
Tuttavia non voglio certo essere io a tracciare le linee guida per una trattazione propagandistica di un presunto movimento primitivista, in primo luogo perché non ho affatto fiducia nel cambiamento su larga scala e in secondo luogo perché non ho nemmeno le basi intellettuali per una argomentazione di tale portata.

Verso la parte conclusiva della critica si possono leggere alcune frasi che ritengo siano state scritte appunto oltre che per una impostazione tendenzialmente antisacrale a priori anche per una cattiva interpretazione dei termini utilizzati nella scrittura dell’opuscolo.
“La vera cultura di morte è la cultura del sacro perché è cultura del sacrificio.”
Per quanto mi sia sforzato di ricercare da quale passo dell’opuscolo possa aver tratto questa conclusione non sono riuscito a scoprirlo e in effetti non mi sembra di aver mai visto accostare il termine sacro a sacrificio. Si può avere venerazione verso qualcosa che si considera al di fuori della propria competenza poichè infinitamente più perfetto (perdonate l’errore) anche senza doversi sottomettere ad esso.
Faccio un esempio, io provo infinita meraviglia nell’osservare la perfezione con la quale certe specie vegetali e animali siano in rapporto simbiotico tra loro o come alcune piante si adattino incredibilmente al luogo in cui sono cresciute. Queste situazioni vanno ben oltre la mia comprensione e non ho né pretesa di comprenderle a fondo né volontà di modificarle in alcun modo. Questi rapporti che io ritengo in qualche modo sacri, poiché superiori a tutto quello che io potrò mai fare nel corso della mia vita non mi intimidiscono e non mi spingono al sacrificio o alla sottomissione ma al rispetto totale.
Se ci fosse modo per tutti gli umani di osservare da vicino alcuni incredibili cicli naturali e compararli con il nostro modo di comportarci negli ambienti in cui viviamo potrebbe esserci un differente approccio e una diversa concezione delle specie non umane.

Nella critica vi sono infine quattro dichiarazioni che sembrano essere completamente scollegate dalle argomentazioni che per più di 70 pagine si sono susseguite nell’opuscolo al quale ho collaborato.

“Con l'analisi di questa quarta dicotomia, ho messo in luce quattro differenti, ma correlati, usi della categoria del sacro e quattro conseguenti sacrifici. La cultura straight edge sembra aver fatto proprie queste quattro separazioni teoriche, quattro idealizzazioni che rompono l'intima complicità delle parti che compongono l'esistenza. L'idealizzazione della lucidità, che poi altro non è che un'idealizzazione della razionalità, si fonda sul sacrificio dell'ebbrezza. L'idealizzazione della natura si fonda sul sacrificio dell'uomo. L'idealizzazione dell'amore maturo e responsabile si fonda sul sacrificio della sessualità fisica. L'idealizzazione della vita, ed in particolar modo la vita innocente, intatta del feto, è infine il vero sacrificio della vita mondana. Queste quattro coppie di valori e disvalori ci vogliono lasciar intendere che ciò che vi può essere di meglio nell'uomo è proprio quel modello di razionalità che è sempre stato pretesto per distinguere l'animale uomo dagli animali non umani. Ogni concezione della sacralità della vita, ben lungi dal costituire “un totale superamento dello specismo” è una tipica espressione della cultura umanistica ed antropocentrica che, proprio in quanto animalisti, avversiamo.”

Vale la pena di analizzarle singolarmente anche se si finirà per ripetere nuovamente alcuni concetti che ritenevo già assodati.

      1.L'idealizzazione della lucidità, che poi altro non è che un'idealizzazione della razionalità, si fonda sul sacrificio dell'ebbrezza. La rinuncia ad un certo tipo di sostanze ha, come ho già più volte argomentato, ragioni specifiche che si calano all’interno della società in cui ci vediamo costretti a vivere e pertanto, fino a quando questo stile di vita continuerà ad esistere non ho nulla da obiettare riguardo ad un sacrificio dell’ebbrezza che anzi mi sembra per il momento necessario visto che vi sono questioni di importanza maggiore.
      2.L'idealizzazione della natura si fonda sul sacrificio dell'uomo. Volenti o nolenti l’uomo fa parte della natura. Per quanto le sue attività si discostino come grado di impatto da quelle delle altre specie animali egli è comunque appartenente all’insieme del vivente e quindi alla natura. L’estinzione dell’uomo sarebbe da considerarsi, al pari dell’estinzione di qualsiasi altra specie animale o vegetale, come una perdita inestimabile del patrimonio del vivente. L’idealizzazione della natura serve però come esempio da imitare. L’uomo non deve essere cancellato dal mondo per punizione dei suoi crimini contro gli altri esseri viventi ma invece dovrebbe rientrare entro i limiti naturali che ogni specie rispetta.
      3.L'idealizzazione dell'amore maturo e responsabile si fonda sul sacrificio della sessualità fisica. La sessualità responsabile va intesa come un rispetto per la persona con il quale si pratica questa attività e verso la persona che potrebbe potenzialmente nascere da questa unione. Non intendo negare la componente fisica dei rapporti sessuali ma nemmeno relegare il rapporto che fa avvicinare due persone al solo istinto sessuale. Questa è comunque una deviazione rispetto alle attività riproduttive di tutti gli altri animali ma per il complesso di valori e di emozioni che l’essere umano è in grado di provare adesso sarebbe sbagliato ragionare solo in termini di sessualità fine alla procreazione. Riguardo alla prostituzione più o meno consapevole mi sembra strano che qualcuno non convenga sull’evidente realtà che essa è frutto del maschilismo e di una società incentrata sul dominio dell’uomo sulla donna…
      4.L'idealizzazione della vita, ed in particolar modo la vita innocente, intatta del feto, è infine il vero sacrificio della vita mondana. Non credo di aver ben inteso il senso che si vuole dare al termine “mondana” ad ogni modo nel testo sembra apparire il significato di vita post natale in contrapposizione con la vita del feto (pre natale). Qui per ragioni culturali vi sono due grosse differenze di pensiero. Io ritengo che la vita innocente sia da salvaguardare dal momento che non trovo giusto per nessun umano decidere della libertà e della vita di un altro essere vivente ma sembra che questi valori non siano condivisi da chi ha scritto questa critica e si capisce in particolare da questo passo: “Secondo me invece arrogarsi il potere di decidere la dignità della vita, di ogni singola vita, non risponde a logiche efficientistiche del capitalismo ma è il più basilare esercizio di libertà. Le vite non sono tutte uguali ma siamo noi liberi di dar loro il valore che meritano e possiamo anche decidere che un figlio, se non è desiderato, se non ci sono le condizioni affinché possa crescere sano e felice, è meglio che non nasca.” In particolare mi preme far notare che viene sottolineata una questione di meriti “dar loro il valore che meritano” come se un feto potesse aver qualche genere di colpa per la quale al sua vita possa essere considerata meno meritevole di un’altra. Non dobbiamo soprattutto dimenticare che per quanto un figlio possa nascere in condizione misere può spesso bastare il sincero amore dei genitori perché la sua vita sia felice e comunque in ogni caso la vita di un umano non è la vita dei suoi genitori e se pure dovesse trascorrere i suoi primi anni nella peggiore delle condizioni raggiungendo l’età adulta potrebbe in ogni caso vivere una PROPRIA vita autonoma e felice e non è diritto nemmeno dei genitori negargli questa possibilità. Comunque riallacciandosi al punto precedente mi sembra che troppo spesso la questione dell’aborto venga affrontata sempre senza tener conto delle condizioni che portano a dover fare questa scelta. Il problema dell’aborto viene alla luce quando una coppia non utilizza i metodi adatti ad evitare che avvenga il concepimento o quando non è pronta ad avere un figlio. È su questi fattori che bisognerebbe intervenire, invece come si usa fin troppo spesso nella morale comune i problemi anziché andare alla radice vengono affrontati in ritardo quando ormai ogni possibile soluzione crea altri problemi.
      Tornando invece alla dicotomia iniziale voglio sottolineare che sebbene esistano esseri umani che si macchiano dei crimini più abietti non è corretto credere che le argomentazioni antiabortiste tendano a privilegiare la considerazione che si ha della vita prenatale rispetto alla vita post natale e non capisco come questa possibilità possa essere stata colta dalla lettura dell’opuscolo.

Infine intendo considerare una frase che mi ha particolarmente colpito. “Ogni concezione della sacralità della vita, ben lungi dal costituire “un totale superamento dello specismo” è una tipica espressione della cultura umanistica ed antropocentrica che, proprio in quanto animalisti, avversiamo.” Contrariamente a quanto si afferma ritengo che sia proprio il considerare la vita innocente come qualcosa di superiore e di intoccabile che si riesce ad allontanarsi dalla considerazione dell’uomo come specie principe dell’universo.
Dal momento infatti che tutti gli animali in quanto privi di razionalità e di sadismo sono da considerarsi al di fuori di ogni giudizio di merito è proprio l’uomo ad essere invece relegato a specie dannosa (almeno nella sua situazione attuale) e quindi allontanato dalla considerazione di specie prediletta.
In quanto esseri umani in effetti tendiamo a considerare le altre specie viventi dal Nostro punto di vista ma ritengo che non sia questo il problema. Diventa un problema solo quando si pone la specie umana al di sopra delle altre in base alla nostra appartenenza ad essa. Il semplice punto di vista è un semplice effetto del nostro essere appartenenti ad una determinata specie.

Concludendo posso dire di aver notato un sentimento di fondo che mirava a contrapporsi a priori ad ogni tipo di sacralità e spero che con queste pagine io sia riuscito a spiegare i modi e i termini entro i quali mi sento di criticare questo atteggiamento. Resto profondamente convinto che queste situazioni di confronto possano servire sia a chi scrive per chiarire meglio non solo agli altri le proprie convinzioni sia per chi legge che può farsi un’idea della situazione avendo ancora più elementi di spunto sui quali ragionare.

Essere straight edge è dal mio punto di vista un modo per rendere ancora più completo lo stile di vita vegan ma ritengo che non sia come non lo è il veganesimo un punto di arrivo. La cultura in cui viviamo permea con i suoi tentacoli distruttivi ogni aspetto della vita delle specie viventi e pertanto ogni forma di allontanamento da essa richiede un lungo e difficile percorso reso ancora più insidioso dai continui nuovi impulsi dell’apparato tecnoscientifico.
Non credo che basterà una vita per emanciparsi completamente da questo sistema distruttivo né sono sicuro che qualcuno mai riuscirà a farcela ma coltivo la speranza che se non i miei figli almeno i miei nipoti possano vivere senza che ogni loro azione comporti la morte e la segregazione di altre creature viventi.

Stefano Belacchi
Ravenna 12 giugno 2007

Mar, 19/06/2007 – 13:38
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