Bergamo – Il nuovo Rettore dell’Università, Remo Morzenti Pellegrini, sembra partire con il piede sbagliato nel rapporto con i lavoratori e le lavoratrici dell’Ateneo bergamasco. Le RSU dell’Università di Bergamo hanno dichiarato lo stato di agitazione del personale, dopo il pronunciamento unanime dei lavoratori, riunitisi in assemblea mercoledì 21 ottobre, pronti questa volta ad arrivare anche allo sciopero.
Oggetti del contendere sono il riconoscimento degli scatti stipendiali, la carenza di organico e un nuovo sistema di valutazione interno, ritenuto inaccettabile perché totalmente discrezionale.
Dopo un anno e mezzo di trattativa, il nuovo Rettore ha fatto marcia indietro rispetto alle aperture dimostrate dal suo predecessore Stefano Paleari. Secondo il Direttore Generale, i Revisori dei Conti impedirebbero di aumentare il fondo di 240.000 € per poter riconoscere gli scatti stipendiali a tutto il personale. L’aumento medio a persona non sarebbe una cifra insostenibile, in quanto si tratta di 30-40 € circa a lavoratore: non proprio un problema irrisolvibile per un’Università che figura al primo posto per capacità di intercettare studenti e soldi dal Ministero (5 milioni in più ogni anno). Grazie proprio a questa attitudine, solo nel 2014 l’Università ha dichiarato risparmi per 15 milioni di €.
I conti sono a posto, insomma. E va a gonfie vele anche l’attività nel suo complesso: l’Università di Bergamo è in cima alle classifiche per quanto riguarda la valutazione della ricerca e i fondi di attrazione Ministeriali. I brillanti risultati, si legge nella mozione dei lavoratori, sono stati raggiunti proprio grazie all’impegno dei lavoratori stessi. La beffa però consiste nel fatto che parte di quei risparmi sono stati fatti proprio dai tagli ad alcune voci stipendiali dei lavoratori stessi. Mentre appare evidente che il grosso dei risparmi avviene su un livello dei servizi che lascia molto a desiderare. Da più parti gli studenti segnalano problemi con le aule, l’organizzazione delle lezioni e un servizio scadente di alcuni servizi, a partire dalle mense.
La notizia delle mancate concessioni è arrivata nel corso di un incontro di contrattazione, il 13 ottobre. I delegati sindacali denunciano che la legge di stabilità del 2015 aveva sbloccato gli stipendi del personale tecnico e amministrativo dell’Università, ormai fermi da sei anni. Ora la doccia fredda: il Rettore ha dichiarato che i risparmi di 240.000 € non verranno dati ai lavoratori: i Revisori dei Conti permetterebbero di stanziare solo 80.000 €, arrivando così a un aumento salariale irrisorio e svilente.
Inaccettabile per i lavoratori è anche il nuovo sistema di valutazione sulla base del quale sarebbero distribuiti questi pochi soldi. Si tratta di criteri “comportamentali”, sulla falsariga di quanto aveva provato, per il momento senza successo, a introdurre Brunetta per tutto il pubblico impiego. Ciò che è uscito dalla porta rientrerebbe però dalla finestra dell’Ateneo di via Salvecchio. Grazie a criteri non trasparenti né verificabili, proprio perché basati su presunti “comportamenti” del lavoratore, si permetterebbe a capi e capetti di premiare alcuni e di punire altri. Più che riconoscere il “merito”- come tanto va di moda dire-dei lavoratori, si rischia di demotivare gli sforzi dell’intero gruppo lavorativo, producendo solo una sterile divisione e un’inutile caccia a “chi lavora meno”. Quello del merito è un vero e proprio “cavallo di battaglia” del “nuovo che avanza”. Che porta però spesso a risultati paradossali. A differenza del comparto privato, nel pubblico impiego gli scatti (che qui vanno sotto il nome di “progressioni orizzontali”) non sono automatici e legati al rinnovo contrattuale. Sono considerati infatti come un premio per i “meritevoli”. Come a dire, “alcuni diritti che nel privato ci sono, qui te li devi guadagnare, perché i soldi per tutti non bastano”. Con buona pace della retorica anti-fannulloni …
Tutto questo avviene in uno degli Atenei che ha il minor numero di lavoratori rispetto ai docenti e rispetto agli studenti: si tratta di circa 100 lavoratori in meno su un totale di 200 attualmente assunti. L’Università ha possibilità di assumere qualche decina di lavoratori ogni anno, ma concentra tutte le risorse per permettere i passaggi di carriera ai professori universitari. La legge obbligherebbe ad assorbire il personale in esubero della Provincia: circa 200 lavoratori rischiano infatti il posto di lavoro decorsi i termini della mobilità. Ma l’Università sembra far finta di niente. E’ solo la dichiarata necessità di concentrarsi sui passaggi di carriera dei docenti a scapito dei servizi oppure c’è sotto qualcosa d’altro? Il destino di tanti servizi di fronte alle mancate assunzioni è infatti già segnato: esternalizzazioni, ricorso a precari o a personale in appalto sottopagato e inquadrato con i nuovi contratti in stile Jobs Act, seguendo le orme di tutti i comparti della pubblica amministrazione.
Tra pochi giorni scadrà il termine ultimo per l’incontro i Prefettura tra i delegati sindacali e il nuovo rettore Morzenti Pellegrini con il direttore generale Giuseppe Giovanelli. In caso di esito negativo dell’incontro i lavoratori, affiancati dai sindacati Fcl-Cgil e Cub-Sur, hanno dichiarato di voler continuare lo stato d’agitazione e di ricorrere allo sciopero fino al raggiungimento di un effettivo cambiamento che riporti dignità e riconoscimenti equi al loro mestiere.
Le acque si fanno agitate e il Governo sta facendo la sua parte per ingarbugliare la situazione. Il rinnovo contrattuale previsto in Finanziaria sarà di quattro caffè al mese per tutti i dipendenti pubblici. In arrivo anche una ulteriore stretta sulle assunzioni e un nuovo blocco dei fondi integrativi su cui si fa la contrattazione di secondo livello. Un’ennesima “doccia fredda” insomma per i lavoratori del pubblico impiego, di cui anche l’Università fa parte. Ma anche una condizione che rende inevitabile per i lavoratori la mobilitazione in caso di risposte negative: a gennaio potrebbe essere troppo tardi.