Bergamo – Erano più di cento i lavoratori e le lavoratrici (tra addetti alla logistica, alle biblioteche, alla segreteria e ad altri servizi) presenti ieri all’assemblea indetta dalle RSU dell’università di Bergamo. Numerosi sono stati gli interventi, anche da parte di alcuni docenti che hanno dimostrato solidarietà all’iniziativa, e palpabile era lo sdegno dei lavoratori che già il 13 ottobre avevano esposto le loro ragioni e indetto dunque lo stato d’agitazione in università, visto il mancato dialogo con il neo-rettore Morzenti.
Le richieste sono sempre le stesse, ormai da un anno e mezzo a questa parte: le dovute progressioni economiche, bloccate dalla legge Brunetta del 2008 per tutto il comparto statale, ma attuabili ricorrendo al “fondo di secondo livello”, una sorta di cassa di risparmio dell’università, che ad oggi è ben rimpinguata dai milioni arrivati dal ministero. Il rettore ha definito il personale come “la spina dorsale dell’ateneo”: effettivamente, nonostante l’organico sottodimensionato, il 97% degli obiettivi prefissati dall’università è stato raggiunto, grazie soprattutto allo sforzo smisurato proprio dei dipendenti. È da escludersi quindi qualsiasi insinuazione di scarso rendimento lavorativo: i problemi sono reali e riguardano soprattutto un’organizzazione sbagliata del lavoro. Da sei anni, oltre agli stipendi bloccati, non vengono più coperte le assenze lunghe e c’è un’evidente carenza di personale: per mantenere i servizi al meglio, dovrebbe essere assunto circa un centinaio di lavoratori in più rispetto ai duecento attuali.
Quanto alle risorse economiche, ben 15 milioni di euro sono stati risparmiati nel 2014 dall’università grazie anche al duro lavoro del personale e altri 9 milioni sono stanziati dal ministero all’ateneo, che ha condotto egregiamente il suo compito; viene dunque spontaneo pensare a degli investimenti che ridonerebbero a lavoratori e lavoratrici dignità e garantirebbero a studenti e a docenti servizi migliori e ora più che mai necessari, viste le numerose nuove iscrizioni. Ma questi soldi non verranno dati ai dipendenti: Morzenti non sembra voler scendere a compromessi, nascondendosi dietro l’apparente responso negativo dei Revisori dei conti. L’unica offerta dell’amministrazione, ritenuta inaccettabile dal personale, è di destinare all’aumento di stipendi 80000 euro una volta per tutte, invece dei 240000 euro all’anno richiesti. Inoltre, i pochi soldi che si vorrebbero dare sarebbero distribuiti in base a una valutazione tutt’altro che oggettiva, basata al 70% sulla condotta e criteri comportamentali, che per ovvie ragioni non possono essere esenti da discrezionalità.
Ieri è stato rilanciato lo sciopero del 10 novembre dalle 8.30 alle 12.30, al quale tutti sono stati sollecitati a partecipare attivamente: al momento, dunque, resta solo da vedere se il rettore Morzenti deciderà di aprire un dialogo con il personale o procedere con la linea dura, inimicandosi una parte così fondamentale dell’università proprio all’inizio del suo mandato.