Fiera Milano, aspettando lo sciopero precario..

 

Oggi si è tenuto uno sciopero di 4 ore in Fiera indetto dai sindacati confederali contro l’ormai certo licenziamento dei lavoratori lasciati in cassa integrazione nell’ottobre scorso.

Uno sciopero tardivo, fatto nel momento sbagliato (perché non farlo durante manifestazioni fieristiche più grandi, come ad esempio, il macef) con uno scarso coinvolgimento dei lavoratori, i quali si sono visti scaricati dai sindacati che avevano spacciato per una vittoria il fatto di essere riusciti ad impedire 150 esuberi in cambio della cassa integrazione per 80 lavoratori (senza neanche la rotazione), quando già allora si sapeva quale sarebbe stato l’epilogo di questa vicenda. E con il passare del tempo il quadro è diventato sempre più nitido: relazioni di bilancio, acquisizioni di altri operatori fieristici, operazioni di fusione, il piano industriale presentato dall’AD Pazzali, lasciavano intendere in maniera neanche troppo velata che Fiera non era in crisi, ma semplicemente si stava (e si sta) riorganizzando sulla pelle dei lavoratori. E, con molta probabilità, dopo questi licenziamenti ne seguiranno degli altri, il tutto in clima di terrore generalizzato che regna nel quartiere espositivo e nell’inerzia dei sindacati che quando avrebbero dovuto non hanno mosso un dito.
Del resto, quella dei dipendenti di Fiera Milano è solo una delle facce della precarietà che regna all’interno del polo fieristico. Oltre a loro, ci sono i lavoratori in nero assunti dai caporali per pochi euro davanti all’ingresso Cargo 1 e alla fermata della metro per il montaggio e lo smontaggio degli stand, oppure i lavoratori di tutte le società che gestiscono servizi all’interno dei padiglioni fieristici – dalla ristorazione, alla vigilanza, agli ingressi. È questo il modello che verrà utilizzato per Expo 2015, un sistema dove la precarietà è il modus operandi con cui l’azienda genera valore e accumula profitto.
Lo sciopero di oggi non è sufficiente, è un’“arma spuntata”. Per strappare qualcosa alla Fiera bisogna colpirla là dove fa più male e cioè colpire i flussi materiali e immateriali che l’attraversano e generano precarietà. Quello che serve, quindi, è uno sciopero precario che sia in grado di muoversi su questo terreno di scontro. In altre parole, scioperare in Fiera vuol dire bloccare le manifestazioni fieristiche sia per quanto riguarda l’accesso dei visitatori, sia anche (forse, soprattutto) per quanto riguarda l’immaginario creato intorno ad esse e intorno al brand Fiera Milano. E da questo punto di vista, quello di oggi è stata l’ennesima sconfitta dei sindacati confederali.

 

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