Bergamo – Mercoledì il sindacato degli inquilini AsIA ha incontrato l’assessore ai servizi demografici Angeloni e Marcella, responsabile dell’Anagrafe, per chiedere il riconoscimento delle residenze, negate per ben due volte (sia dalla giunta Tentorio che da quella di Gori) a chi abita in occupazione in via Monte Grigna a Celadina. Il comune si è però trincerato dietro difficoltà tecniche, impegnandosi solo a far mantenere la residenza nel comune di provenienza, in cui però queste persone non vivono da più di un anno.
L’articolo 5 del piano Casa, affermando che “chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”, sembrava negare la possibilità dell’iscrizione anagrafica per chi vive in stabili occupati: molte persone però avevano ravvisato una palese incostituzionalità in una legge che cancella un diritto primario come quello alla residenza, senza la quale non si può accedere all’assistenza sanitaria, votare alle elezioni, rinnovare il permesso di soggiorno, partecipare ai bandi delle case popolari… Il piano casa avrebbe quindi rivoluzionato l’assetto dei diritti nel nostro paese e bisognerà attendere la pronuncia della Corte costituzionale per capire se tale articolo verrà bocciato.
Nel frattempo migliaia di persone si stanno battendo per salvaguardare i propri diritti e perfino il Ministero degli Interni ha dovuto provvedere, mettendo una (parziale) toppa alla questione delle residenze. Una nota ministeriale del 24 febbraio del 2015, infatti, non lascia dubbi sulla necessità di riconoscere anche a chi occupa una casa il diritto all’iscrizione anagrafica, che viene esplicitamente dichiarato “diritto primario”; il divieto espresso dall’articolo 5 riguarda infatti la concessione di residenze nel luogo occupato, ma la nota sottolinea che “i principi sanciti dalla legge anagrafica (…) dispongono che tutte le persone che vivono e continueranno a vivere stabilmente sul territorio di un comune debbano essere iscritte all’anagrafe di quel comune” e dunque “non è possibile individuare altra soluzione se non l’iscrizione “per domicilio”, in analogia con le persone senza fissa dimora”. Questa nota ministeriale ha già dato la possibilità ad alcuni prefetti, come quello di Padova, di diramare indicazioni precise agli uffici anagrafi delle provincie competenti; esattamente il contrario, dunque, di quello che hanno affermato mercoledì l’assessore Angeloni e la responsabile dell’Anagrafe.
La risposta del comune appare dunque uno scaricabarile: per evitare di garantire diritti fondamentali a persone che vivono già stabilmente sul territorio, si fanno indebite pressioni su altre amministrazioni, affinché se ne prendano carico. Per il comune di Bergamo è più facile quindi lavarsene le mani, che assumersi le proprie responsabilità.
D’altra parte, colpisce anche il silenzio da parte della Prefettura di Bergamo, che a seguito della ricezione della nota ministeriale non sembra aver diramato indicazioni in tal senso all’anagrafe di tutti i comuni della provincia. Come può il Prefetto Ferrandino ignorare delle indicazioni del Ministero che chiariscono come salvaguardare un diritto primario?