Bergamo – Dopo una pausa lunga sei mesi, finalmente in Lombardia anche le scuole (le prime a chiudere, le ultime a riaprire) hanno ripreso (infanzia e nidi, lunedì 7) o riprenderanno a breve (oggi, 14 settembre, le primarie e le secondarie). Per varie settimane si avvicendavano sui giornali le notizie a riguardo, per lo più confuse e contraddittorie: mascherine obbligatorie o no? Tempo pieno garantito o no? Didattica a distanza eliminata o no?
In questa confusione, sono stati emanati dal Ministero e dalle regioni diversi documenti che dovrebbero fornire linee guida a dirigenti scolastici ed insegnanti, per progettare le attività in modo il più possibile sicuro per chi frequenta l’ambiente scuola. Le regole fondamentali restano due: distanziamento e mascherine (per chi ha più di 6 anni); nell’ambiente scolastico, tuttavia, questi accorgimenti possono essere molto difficili da rispettare.
Le soluzioni adottate in generale prevedono l’obbligo di mascherina (per maggiori di 6 anni e per chi non ha una disabilità) durante ogni spostamento e in generale quando non si siede al proprio posto; la distanza obbligatoria tra i banchi; il divieto di recarsi a scuola in presenza di sintomi da COVID; dopo i 6 anni, l’obbligo per i genitori di provare la febbre al figlio/a a casa, la mattina. Ovviamente, inoltre, è da evitare ogni assembramento, con entrate e uscite scaglionate e la differenziazione dei percorsi all’interno dell’edificio. L’obiettivo, insomma, è ridurre al minimo la possibilità che alunni/e di diversi gruppi classe entrino in contatto tra di loro, per semplificare il tracciamento dei contatti in caso di presenza di positivi. Questa eventualità prevede infatti la quarantena di tutti i contatti.
In caso di sintomi sospetti, inoltre, l’alunno/a dovrà essere isolato/a in una stanza apposita, verranno contattati i genitori e allertato il medico di base o pediatra, che valuterà se effettuare un tampone; in questo caso, l’alunno/a potrà rientrare a scuola solo con un certificato di negatività all’esame.
In questo quadro, è comprensibile la preoccupazione di docenti e dirigenti scolastici, che si ritrovano sulle spalle la responsabilità (anche penale) di far rispettare tutte le norme e al contempo proseguire con l’attività ordinaria. In queste settimane, infatti, ogni scuola ha dovuto organizzarsi in modo autonomo, misurando l’area all’interno delle aule, dividendo le classi e smantellando laboratori, per ricavare spazi più ampi e rispettare così il distanziamento; dove ciò non è stato possibile (come ad esempio in molti istituti superiori, dove le classi sono molto numerose), si è dovuto optare per una divisione in gruppi, che a turno seguono le lezioni da casa, online. E’ lecito però chiedersi quanto sia efficace una didattica che mischia in contemporanea l’attività in presenza a quella a distanza, nella maggior parte dei casi senza le infrastrutture necessarie (la rete internet delle scuole è spesso zoppicante, per non parlare della qualità degli hardware) e spesso senza una formazione adeguata dei docenti.
In generale, la sensazione è che da parte del governo ci si sia mossi con colpevole ritardo sulla scuola, quando già da aprile era chiaro che non si sarebbe rientrati prima di settembre; l’emanazione delle linee guida ad agosto ha imposto a diversi istituti una corsa contro il tempo per la riorganizzazione, con fondi per la sistemazione degli spazi (i cosiddetti interventi di “edilizia leggera”), senza però toccare il problema principale, ovvero la carenza sistemica di personale: una stabilizzazione dei precari (in bergamasca le supplenze coprono più di 2000 posti vuoti) e un aumento del numero dei docenti (insieme a investimenti sostanziosi nell’edilizia scolastica) avrebbero ovviato al problema del sovraffollamento delle classi. Questa situazione caotica si ripercuote a catena sulle famiglie, spesso disorientate ed ancora senza informazioni, nonostante l’ormai prossima riapertura.
Tutto ciò non è però casuale; infatti con la pandemia, come per altri settori (si pensi alla sanità), sono giunti al pettine molti nodi irrisolti della scuola italiana: decenni di tagli, pensionamenti non rimpiazzati ed un’edilizia scolastica a dir poco inadeguata influiscono gravemente sul diritto all’istruzione. Anche questa volta, la responsabilità di garantire la sicurezza e la continuità del servizio con scarse risorse e poca chiarezza ricade sul personale scolastico (dirigenti, docenti e non docenti).