Bergamo – E’ stata al centro del dibattito fin dall’inizio della pandemia, un po’ perché una delle prime a subirne le conseguenze, un po’ perché tocca la vita di moltissime persone (dipendenti e non): la scuola aveva riaperto i battenti a Settembre, con un sospiro di sollievo dopo mesi di didattica online e con la speranza sommessa di durare il più a lungo possibile.
Certo, i nodi da sciogliere non mancavano, ma ognuno sperava che la situazione reggesse.
Invece, in seguito al peggiorare dei casi di contagio a livello nazionale e regionale, già il 16 ottobre con l’ordinanza 620 la Regione Lombardia imponeva alle scuole secondarie di secondo grado (le vecchie superiori) di spostare la maggior parte delle attività didattiche online, lasciando però i laboratori in presenza. Sicuramente a destare maggiore preoccupazione era il problema dei trasporti, al quale nonostante i diversi mesi intercorsi tra la primavera e l’autunno non sono state fornite soluzioni. Ma una ulteriore doccia fredda è arrivata un paio di settimane fa, quando la Lombardia è stata dichiarata dal premier Conte regione rossa: di conseguenza, anche le classi seconde e terze delle scuole secondarie di primo grado (le vecchie medie) hanno spostato l’attività didattica online. Al momento, dunque, in presenza restano le classi prime, la scuola primaria e dell’infanzia e i nidi.
Questa decisione ha suscitato diverse polemiche: è stato sottolineato da più parti che il contesto scolastico, per come si era organizzato grazie al lavoro incessante di docenti e dirigenti scolastici, è sicuro, perché controllato e sottoposto a norme piuttosto rigide (distanziamento, uso della mascherina, igienizzazione costante di mani e superfici). Inoltre, i protocolli forniti dall’ATS hanno garantito, almeno nei primi mesi di scuola, tamponi tempestivi alla componente studentesca e ai dipendenti delle scuole che manifestassero sintomi o avessero avuto contatti con un positivo. Tuttavia i dati dei contagi nelle scuole hanno subito un’impennata nei mesi di Settembre ed Ottobre ed è impossibile stabilire quale sia la fonte del contagio, se il contesto scolastico o altri (familiare, amicale, sportivo….).
L’attività continua dunque ora online per tutti, o quasi; ci sono infatti delle eccezioni: fin da subito la Regione prima e il Governo poi hanno chiarito che l’attività in presenza doveva essere garantita a studenti e studentesse con una disabilità e poi, in seconda battuta, anche a chi presenta un disturbo specifico dell’apprendimento o una situazione particolare di fragilità (legata a diversi motivi), tali da rientrare nella dicitura di “bisogni educativi speciali” (BES). Per venire incontro dunque a chi durante i mesi di didattica a distanza in primavera aveva mostrato maggiori difficoltà, si è pensato di organizzare una duplice didattica: da un lato la classe in videolezione da casa, dall’altro gli alunni e alunne con particolari fragilità in aula. Se l’intento è comprensibile, la realizzazione purtroppo presenta molte criticità: molti hanno infatti denunciato il rischio di un ritorno alle classi differenziate e il pericolo che questa modalità didattica, invece che includere chi ha maggiori difficoltà in gruppi eterogenei, emargini sempre più le situazioni di fragilità. In realtà la normativa prevede la possibilità di una didattica in presenza per piccolo gruppo (4 o 5 per classe, a rotazione), in caso di attività laboratoriale; è però difficoltoso coordinarsi tra docenti e classi diverse per evitare di raggiungere il numero massimo di presenze a scuola in contemporanea.
A ciò si aggiunge poi la difficoltà sul piano didattico di coniugare due modalità (la distanza e la presenza) completamente differenti, cercando però di essere il più possibile efficace in entrambe. Anche in questo caso, da più parti ci si chiede perché l’attività di formazione dei docenti, necessaria per garantire un livello accettabile di didattica online, sia stata lasciata alla buona volontà dei singoli, non retribuita e anzi spesso pagata di tasca propria dagli insegnanti. Non si capisce perché il ministero non abbia contrattato con i sindacati una attività di formazione del corpo docente in vista della riapertura delle scuole e di un possibile ritorno alla didattica online: anche ciò sarebbe stato fattibile a giugno, luglio o agosto.
E’ lecito pensare che a fronte del lavoro incessante di docenti e dirigenti scolastici durante l’estate per ribaltare l’organizzazione di aule, laboratori e corridoi, e garantire la sicurezza, a livello nazionale e regionale invece si siano persi mesi importanti, da marzo a settembre, senza prendere decisioni fondamentali, senza stanziare fondi, senza dare indicazioni e fornire linee guida, se non generiche, in nome dell’autonomia. A settembre si è giunti impreparati: non c’erano infermerie nelle scuole, non si è parlato di test rapidi, non erano state requisite nuove strutture, non era stato assunto personale in più (docente e non) per garantire attività a piccoli gruppi. Insomma, la sensazione è che anche in ambito scolastico, come per molti altri, non si sia fatto abbastanza.
Certo, la situazione sarebbe comunque difficile, ma probabilmente saremmo più preparati; sarebbero serviti però maggiore coordinamento tra governo e regioni, un migliore dialogo con le componenti docente e studentesca, più fondi da investire in edilizia scolastica, formazione, device. Invece, si è preferito parlare di banchi a rotelle e discoteche piene.