La vicenda dello stabilimento Panem di Altopascio, acquistato dal Gruppo Novelli e avviato alla chiusura, è stata negli ultimi mesi al centro dell’attenzione della stampa e delle televisioni locali, grazie soprattutto alle iniziative di lotta intraprese dai lavoratori che vivono il dramma della perdita del posto di lavoro. Il 18 febbraio Lucca Libera! ha incontrato i lavoratori al presidio davanti alla fabbrica e ha realizzato l’intervista che segue per dare uno sguardo alla situazione dall’interno, dal punto di vista cioè di chi si trova a fare improvvisamente i conti con la mancanza di un reddito per vivere. Lucca Libera! si ripropone di seguire ulteriormente la vicenda soprattutto perché esemplificativa di una situazione oggi più che mai ricorrente in Italia e in gran parte dell’Europa.
Come abbiamo già avuto modo di ricordare, Lucca Libera! non condivide il giudizio secondo cui attualmente stiamo attraversando un periodo di crisi, per il semplice fatto che il capitalismo non è in crisi, ma il capitalismo è crisi. Il fronte della crisi potrà di volta in volta spostarsi un po’ più in là, potrà interessare altri paesi e popolazioni, ma la crisi in sé non potrà mai essere debellata, poiché è connaturata al modo di produzione capitalistico, ne costituisce anzi il motore di “sviluppo” il quale genera di continuo i differenziali economici e tecnologici di cui si alimenta.
Lucca Libera! si augura che questa intervista rappresenti uno spunto di riflessione e una possibilità di approfondimento in primis per gli stessi lavoratori coinvolti, loro malgrado, nei processi di ridefinizione dello sfruttamento capitalistico.
“La catastrofe è che tutto continui come prima. Essa non è ciò che di volta in volta incombe, ma ciò che di volta in volta è dato. Su questa idea di catastrofe si fonda il concetto di progresso”.
(W. Benjamin, leggermente rimaneggiato da Lucca Libera!)
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Lucca Libera: l’azienda in cui lavorate che cosa produce e per quali mercati?
Roberto: produciamo pane. Il mercato di riferimento del Gruppo Panem è la grande distribuzione, soprattutto nel Nord Italia; il nostro stabilimento produce sia per il mercato del Nord sia per la Toscana.
Lucca Libera: quanti lavoratori sono impiegati nello stabilimento di Altopascio?
Roberto: i dipendenti sono circa 60.
Lucca Libera: puoi fare un riassunto della vicenda che vi vede coinvolti?
Roberto: quando questa vicenda è iniziata venivamo già da una situazione abbastanza precaria, perché l’azienda Panem aveva già da anni dato dei segni di sbandamento, c’erano stati più che altro problemi finanziari a cui la società proprietaria, il gruppo finanziario Finanza Futuro, non riusciva a far fronte. Nel 2009 ci sono stati accordi per una cassa integrazione per ristrutturazione e successivamente uno spostamento di produzione da Altopascio allo stabilimento di Muggiò, in provincia di Milano. Si sono anche persi dei volumi nei supermercati della Toscana, come la Conad e alcune Coop. La situazione sembrava andare sempre più precipitando. E’ con nostra contentezza, quindi, che nel luglio 2011 si presentarono dei possibili nuovi acquirenti della Panem: era il Gruppo Novelli di Terni. Sembravano avere idee brillanti per il rilancio dell’azienda e ci mostrarono l’album di famiglia con tutti gli stabilimenti del Gruppo, oltre 700 dipendenti. La loro produzione principale si fonda sulle uova, ma in più hanno alcuni stabilimenti che producono pane, uno in Umbria e due nel Lazio. Questo il primo approccio. Poi dissero che non avendo ancora firmato il contratto di acquisto non si volevano sbilanciare più di tanto. Il contratto di acquisto del Gruppo Panem fu firmato il 3 agosto. Da quel giorno la nuova proprietà non si è più fatta vedere. Hanno cominciato poi ad allungare i pagamenti degli stipendi, frazionandoli in due o tre parti. A volte la farina arrivava in ritardo, perciò alcune produzioni non si facevano per mancanza di materia prima, la stessa sicurezza era lasciata andare, ecc. Una situazione allo sbando da agosto a dicembre, siamo andati avanti solo grazie alla responsabilità dei lavoratori. Con la proprietà non c’era nemmeno verso di parlarci. Anche il direttore dello stabilimento non riusciva a sapere mai niente. Se c’era un bisogno qualsiasi, ad esempio un incontro sindacale, i proprietari erano irreperibili, latitanti al cento per cento. Arrivati a ottobre, richiedemmo un incontro da farsi qui nello stabilimento. L’incontro ci fu, ma si finì col farlo in Provincia. Ecco che allora cominciarono a venirci dei dubbi, perché quando un incontro richiesto dalle RSU avviene in Provincia ti rendi conto che c’è qualcosa che non torna. Infatti ci comunicarono che erano rimasti sorpresi da ciò che avevano trovato scartabellando i conti; in poche parole non coincidevano affatto con quelli che avevano fatto loro: i debiti erano troppi. La loro intenzione, dichiararono, era quella di chiedere un concordato e chiudere lo stabilimento, il quale, elemento per loro di non secondaria importanza, non era di proprietà ma in affitto, tra l’altro piuttosto alto. Inoltre, continuarono, si trattava di un’unità non più competitiva, con macchinari vecchi e numerosi lavori strutturali da accollarsi di cui non vedevano la convenienza. Ai loro occhi l’unica operazione giusta era dunque chiudere.
Lucca Libera: vi siete chiesti perché allora erano venuti a comprare?
Roberto: noi la domanda ce la siamo fatta e ci siamo dati anche la risposta. E all’incontro di ottobre alcuni di noi questa risposta gliel’hanno fatta presente: la loro non era altro che un’operazione di acquisizione dei marchi. Compravano a poco, se non a niente, un’azienda indebitata come la Panem e con un concordato pagavano un terzo dei debiti, ritrovandosi in mano dei marchi e un mercato già attivato come quello del Nord che fino a quel punto non possedevano. Oggi questo lo dicono un po’ tutti, non è più solo l’impressione di alcuni. L’operazione in sostanza è stata questa.
Lucca Libera: qual è stato in pratica l’esito dell’incontro di ottobre?
Roberto: tra l’azienda e chi voleva in qualche modo rimediare la situazione si è cercato di intavolare un ragionamento che evitasse la chiusura dello stabilimento. C’era da verificare la possibilità di mettere in piedi un tavolo con Regione, Provincia e altre istituzioni che potessero dare un aiuto per un’operazione di rilancio, magari costruendo uno stabilimento in alternativa a quello esistente ormai obsoleto. La proprietà sembrava accettare il confronto, per cui da ottobre fino a dicembre la discussione è proseguita in vista di questa possibilità. Ma quando la Regione si è mostrata disponibile e il Comune ha anche avanzato l’ipotesi di un’area per un nuovo stabilimento, la proprietà non si è nemmeno presentata, non si sono più visti. Allora ci siamo resi conto che la cosa stava ormai precipitando. O meglio, abbiamo visto che quei due mesi erano loro serviti per organizzarsi con le produzioni, spostarle da un posto a un altro…
Lucca Libera: è a questo punto che voi avete preso la decisione di scioperare e organizzare il presidio?
Roberto: abbiamo insistito fortemente nel chiedere un incontro urgente, anche perché i pagamenti continuavano ad allungarsi, la tredicesima si avvicinava e non sapevamo quando ce l’avrebbero pagata. L’incertezza ci ha portato fino al punto di fare una forzatura nei confronti della proprietà: o venite e ci dite la verità oppure non si va più d’accordo e noi ci si ferma. Non avendo loro manifestato disponibilità all’incontro noi ci siamo fermati. Il 6 dicembre, dopo due ore di sciopero fuori dai cancelli, ci chiamano dicendo che sono disponibili ad incontrarci ma che dobbiamo tornare a lavorare. Rispondiamo: no, a lavorare ormai non ci si torna, se volete venire se ne parla ma a questo punto lo sciopero si porta fino in fondo. Fatto sta che l’8 mattina dei delegati della proprietà si rendono disponibili all’incontro, non qui allo stabilimento, ma alla sede della Cgil di Altopascio in piazza Ricasoli, una stanzina… mah, forse qui ai cancelli avevano paura… Nella stanzina questi manager, direttori del personale, del commerciale ecc., ci dicono chiaro e tondo che lo stabilimento verrà chiuso dal giorno 13 di dicembre.
Lucca Libera: vi hanno spiegato i motivi della decisione?
Roberto: ci dissero che avevano valutato l’ipotesi di ripartire anche in un altro stabilimento, ma che era troppo costoso. Hanno parlato di 12-15 milioni di euro per riaprire lo stabilimento con un terzo del personale, ma non sarebbe stata un’operazione remunerativa già in partenza. La volontà era una sola: chiudere. A casa ci sarebbero arrivate le lettere non di licenziamento ma di esonero, finché non si fosse trovata una soluzione con gli ammortizzatori sociali. Ecco qual è stato il regalo di natale. Un bel pacco. Da quel giorno lì ci siamo messi in presidio permanente.
Lucca Libera: con il presidio cosa vi proponevate di ottenere?
Roberto: abbiamo chiesto all’azienda la possibilità di ragionare in qualche modo sulla ripresa delle produzioni. Ma prima di chiedere abbiamo iniziato una guerra con la presenza sulla stampa e nelle televisioni, abbiamo organizzato una manifestazione ad Altopascio e coinvolto l’Amministrazione Comunale. Si è aperto un periodo di scontro totale in cui abbiamo denunciato che questi, proprietà e loro delegati, avevano fatto una speculazione, si erano appropriati del marchio storico del Buralli, un fatto che coinvolgeva il Comune, la Provincia, il sindacato, il territorio e la cittadinanza. Si è provato a mettere il più possibile in luce il problema. Se non facevamo nulla chi ci veniva a dare una mano?
Lucca Libera: ma non siete rimasti solo qui…
Roberto: infatti, siamo andati anche a Terni presso i loro stabilimenti. Qui Torquato Novelli, uno dei fratelli proprietari che ha oltre ottant’anni, ha ricevuto una nostra delegazione. Noi gli abbiamo ribadito le nostre incazzature e lui ha fatto finta di essere coinvolto dalle nostre vicende, dando un po’ la colpa ai manager e affermando che lui non gestisce certe operazioni. Gli dispiaceva, non dormiva la notte, si rendeva infine disponibile a vedere se si riusciva a recuperare un po’ la situazione. Lui non voleva chiudere stabilimenti, anzi se poteva aprirne uno in più l’avrebbe fatto, però richiedeva tempo per valutare bene i conti, e così via. Noi volevamo che l’azienda ci riconoscesse almeno un’integrazione al salario ridotto della cassa integrazione o fosse disponibile a una buonuscita in vista di un assestamento delle condizioni di produzione. Sul momento lui volle dimostrare di essere una persona colpita dalle nostre vicissitudini e dalle testimonianze che sentiva con le proprie orecchie.
Lucca Libera: queste promesse di interessamento hanno avuto un seguito?
Roberto: ci siamo dati appuntamento ad un incontro in Provincia per gennaio. Qui erano presenti i manager aziendali e il commissario, che in base al concordato seguiva l’azienda. I manager ribadirono la posizione contraria alla ripresa produttiva, fino a negare che Torquato Novelli avesse mostrato delle aperture in proposito. L’unica disponibilità riguardava un’eventuale quota di partecipazione al concordato in modo da garantire un riconoscimento integrativo ai lavoratori, ma era comunque una cosa complicata perché il concordato andava rivisto, riportato in tribunale ecc.
Lucca Libera: quindi siete tornati al punto di partenza…
Roberto: sì, lì si è consumata una nuova rottura. Dopo Terni avevamo ripreso un po’ di speranza, anche se minima; a gennaio ci è ricascata la mazzata sul collo.
Lucca Libera: nel corso di tutta questa vicenda avete sentito la vicinanza delle istituzioni?
Roberto: non possiamo, in verità, fare delle critiche alle istituzioni. Tutti si sono resi disponibili e si sono presi a cuore la nostra condizione. Sono venuti a trovarci, dal Sindaco agli Onorevoli della zona. L’interessamento è avvenuto grazie alle iniziative che abbiamo messo in piedi e al coinvolgimento di tutti i lavoratori nella lotta. E’ stata nostra precisa intenzione chiamare alle loro responsabilità le istituzioni affinché si accollassero un problema che per forza di cose deve riguardare chi governa un territorio. Nessuno ha negato la gravità del problema. Ora si tratta di vedere come procederanno le cose.
Lucca Libera: attualmente andate avanti con la cassa integrazione?
Roberto: sì, abbiamo ottenuto l’accordo della cassa integrazione. Viste anche le ultime intenzioni di chi ci governa che vorrebbe cancellarla, possiamo assicurare che è meglio averla che non averla. La cassa integrazione ti permette almeno di non morire di fame. Ma quello che vogliamo riconquistarci è prima di tutto il lavoro; e poi anche la possibilità di un supplemento alla cassa integrazione da parte dei Novelli, vista la condizione in cui ci hanno messo.
Lucca Libera: ci sono stati ulteriori sviluppi di recente?
Roberto: sì, abbiamo cercato di portare il nostro problema a livello nazionale e ci siamo riusciti. I deputati hanno fatto un’interrogazione parlamentare sottolineando che l’operazione fatta da Novelli non era molto chiara, dato che il Gruppo aveva sottratto delle produzioni ad un territorio per spostarle altrove senza palesi ragioni di crisi aziendale. La risposta del Governo ha però evidenziato che non esistevano grosse irregolarità nel modo di agire della proprietà, quindi questo fronte si è in sostanza raffreddato. Sul fronte sindacale, tuttavia, siamo riusciti a portare la trattativa a livello della segreteria nazionale della Flai-Cgil e per il Novelli, di certo, un conto è trattare con le Rsu e la segreteria provinciale della Cgil e un conto è esporsi a un tavolo sindacale con le segreterie nazionali di Cgil-Cisl-Uil. Forse per la sostanza della trattativa cambia poco, ma per noi è comunque un risultato cercato e raggiunto. Oggi coloro che perdono il lavoro vanno in televisione solo se sono migliaia per volta, ci sembra quindi che aver portato alla ribalta nazionale la condizione di 60 operai sia un risultato importante, in ogni caso rientra nel tentativo di percorrere tutte le strade possibili.
Lucca Libera: da quando è iniziata la lotta ci sono state manifestazioni di solidarietà nei vostri confronti?
Roberto: sì, soprattutto da parte della popolazione. All’inizio, poi, essendo il periodo delle feste natalizie, sono stati in tanti a venire e ci hanno portato di tutto. Tuttora qualcuno ci porta il pane e altri generi alimentari: non siamo soli. Poi si sa benissimo che i problemi sono sempre degli altri, è difficile interessarsi a lungo di un problema come il nostro. Ecco si può dire, però, che il prete non si è mai visto. Il sindaco, più che altro tirato per la giacchetta, un po’ si è visto e un po’ no, comunque una certa disponibilità l’ha sempre data, non è stato indifferente. Ultimamente ha dichiarato alla stampa che avrebbe contattato un imprenditore per poter ricominciare un po’ di produzione, ancora però non c’è nulla di concreto.
Lucca Libera: e i lavoratori di altre aziende?
Roberto: è venuto qualcuno della Toscopan, della Manifattura, un delegato della Fiom… riguardo a questo non ci lamentiamo.
Lucca Libera: cosa pensate della situazione di crisi che coinvolge migliaia di lavoratori a livello nazionale?
Roberto: io non voglio dire che tutte le situazioni siano uguali… io mi confronto con la nostra e penso che ce ne siano molte altre simili. La nostra specifica indignazione nei confronti del Novelli nasce dal fatto che non siamo di fronte a un imprenditore che ha dato l’anima per la Panem, si sia trovato in disgrazia con le banche, si sia rovinato e non abbia avuto alternativa alla chiusura dello stabilimento. No, questa fin dall’inizio è stata solo un’operazione di acquisizione di marchi e di pezzi di mercato, che se ne fregava delle macerie che si lasciava dietro. Non c’è mai stata un’intenzione di sviluppo dell’azienda o di dare un futuro al lavoro, solo una speculazione di momento su un’azienda che naviga in cattive acque, un approfittarsi della situazione per appropriarsi di un marchio e un mercato a costo zero. Nelle circostanze attuali la nostra disperazione, temiamo, inizierà quando questa vicenda sarà davvero finita, perché se non si riuscirà a ricostruire qualcosa da queste macerie, qualcosa che coinvolga noi stessi che viviamo questa vicenda, quando ognuno si troverà a casa propria sarà impossibile, nel contesto che ci circonda, trovare una via d’uscita. Nei territori qui intorno di lavoro se ne trova poco, siamo tutti oltre i quarant’anni, qualcuno era ormai vicino alla pensione… dove lo va a trovare lavoro ora? Nel nostro caso la trattativa c’è non perché due parti si confrontano e ognuna vuol ottenere il massimo dalle condizioni date, ma c’è una trattativa perché abbiamo messo alle strette una proprietà già decisa a chiudere, gli abbiamo creato un problema mettendo alla luce del giorno tutta la loro operazione, occupando di fatto uno stabilimento e bloccando di conseguenza dei macchinari e delle materie prime. Alle trattative vengono prevalentemente per risolvere questo problema che gli abbiamo creato.
Lucca Libera: quali prospettive vi trovate dunque davanti?
Roberto: ora l’unica speranza che abbiamo è quella di costruire un’alternativa… stiamo cercando di coinvolgere in un incontro che si dovrà tenere alla Regione questi Novelli per riuscire a convincerli a rimettere qui dei volumi produttivi. Disegnare cioè un quadro in cui la Regione si mostri disponibile in termini di finanziamenti e di agevolazioni, con l’eventuale prospettiva futura di trovare un altro imprenditore invogliato ad investire. Altrimenti qui non rimane nulla oltre alle mura e alcuni macchinari. Qui il problema è che in vent’anni non ci ha investito nessuno: gli imprenditori si sono alternati, ma chiunque sia venuto ha pensato solo al profitto. Così ci si è ritrovati a non essere più competitivi e le produzioni che ora vanno sul mercato questo stabilimento non è in grado di farle perché non si è adeguato. Per fare un esempio: oggi il pane da un chilo si vende in un rapporto di 10 a 100 rispetto a vent’anni fa, si vendono invece prodotti alternativi come i pani morbidi e il precotto, oppure si produce per l’estero. Qui nessuno è mai venuto con idee precise allo scopo di rilanciare il tutto.
Lucca Libera: in questa difficile situazione avete preso in considerazione l’ipotesi di una gestione cooperativa dell’azienda?
Roberto: non scartiamo nulla a priori, però per noi è chiaro che una cooperativa potrebbe essere fattibile se fossimo sostenuti in qualche modo da un imprenditore. Sono necessarie delle garanzie che attualmente non vediamo intorno a noi. Bisognerebbe riorganizzare tutta la logistica, le produzioni, la pubblicità, i mercati, i trasporti, i rapporti con le banche. Ai Novelli abbiamo chiesto di fornirci la professionalità di cui potevano disporre in questi campi e noi ci avremmo messo la nostra di lavoratori del pane. Prima di chiudere si poteva avviare una trattativa in tal senso, aprire un ragionamento, ma non c’è stata la volontà da parte della proprietà. Ora l’idea di partire con una cooperativa credo sia improponibile, bene o male un capitale ci vuole e noi non abbiamo niente in mano; bisognerebbe rischiare il poco che ci spetta di liquidazione in un’operazione alla cieca. Comunque se si presentasse un imprenditore con adeguate garanzie di professionalità noi saremmo disponibili a una qualche forma cooperativa di lavoro.
Lucca Libera: fino a quando pensate di continuare con questa iniziativa di presidio e occupazione della fabbrica?
Roberto: non ci siamo posti un termine, ma un obiettivo. Tutto il nostro percorso è legato agli obiettivi. Se nel prossimo incontro alla Regione non si arriva a niente, noi andremo avanti come ora. L’incontro dovrebbe avvenire a breve, non è stato ancora fissato, e a seconda di come andrà decideremo sul da farsi. Nel caso fosse negativo ci riserviamo di intraprendere nuove iniziative, questo è sicuro. Comunque il presidio continuerà finché non ci saranno risposte chiare che ci diano garanzie per il futuro.
Lucca Libera: vi sentite ancora decisi e abbastanza coesi?
Roberto: sì, ma portare avanti una lotta così lunga è sicuramente dura. Oltretutto quest’inverno così rigido non ci ha certo aiutati. Tutti siamo un po’ segnati, poi ognuno ha i suoi problemi con lo stipendio che c’è e non c’è. Quando il tempo passa e i risultati non si vedono s’insinua talvolta un po’ di sfiducia. Tra l’altro l’ultimo stipendio, quello di dicembre, ci è stato pagato il 15 gennaio e da ora in poi Novelli non ci pagherà più, siamo in attesa della cassa integrazione. La pratica è stata firmata al Ministero il 27 gennaio e ci vuole minimo un mese prima che venga erogata. Dalla Cassa di Risparmio di Lucca, che ha una convenzione con la Provincia, dovremmo ricevere un anticipo, da restituire quando arriverà la cassa integrazione dall’Inps. Si rischia comunque di arrivare a metà marzo senza vedere un soldo.
Lucca Libera: a quanto ammonta il salario della cassa integrazione?
Roberto: la cassa integrazione si dovrebbe aggirare intorno agli 8-900 euro mensili, erogati per 12 mesi. Un’ulteriore proroga di 6 mesi è legata alla ripresa di una qualche attività dell’azienda. Nel caso in cui si prevedesse una ristrutturazione dell’impresa, anche con un impiego ridotto del personale, si potrebbe sperare in altri 12 mesi di cassa integrazione per i lavoratori non impiegati. Ma se non c’è nulla in programma il Ministero non concederà nessuna proroga, già lo vediamo come il Governo voglia cancellare del tutto questo ammortizzatore. Finito, dunque, questo periodo di 12 mesi, se non si smuove niente, ci aspetta la mobilità che dovrebbe durare due o tre anni e sarebbe uno stipendio ridotto rispetto a quello della cassa integrazione, si andrebbe a scalare.
Lucca Libera: quale futuro vedete davanti a voi?
Roberto: la situazione si presenta nera nera. Finché siamo qui, uniti, qualche spiraglio, anche se minimo, si può ancora vedere. Si spera sempre che possa succedere qualcosa, visto che c’è l’interessamento di Provincia, Regione e numerosi altri soggetti. Si può sperare che non ti lascino proprio solo. Quando però si pensa che bene o male dovremo arrivare a una conclusione, perché questo stato di cose non può andare avanti all’infinito, ebbene nel caso di un esito negativo in cui si smantellasse il presidio e ognuno tornasse a casa… be’ pensare di alzarsi la mattina e andare in cerca di lavoro di questi tempi viene da piangere; c’è chi ha famiglia, figli, mutui, affitti e tutta una serie di cose che bisogna pagare. Fra l’altro ti guardi intorno e vedi tante aziende in cassa integrazione, altre che licenziano, altre che non se la passano bene. Magari trovi lavoro a due mesi o a tre mesi, lo sfruttamento aumenta perché sanno quali sono le condizioni generali e se ne approfittano. La gente che lavorava alla Panem era qui come minimo da dieci anni, molti da più di venti anni. Ci eravamo conquistati i nostri spazi, avevamo tutti i diritti, eravamo organizzati sindacalmente. Ora ci troveremmo a ripartire da zero, ad essere gli ultimi della lista in termini di sfruttamento, con contratti di pochi mesi e stipendi bassissimi.