Da tale umanità i giornalisti sono sembrati essere avulsi: le ragioni di quel corteo hanno lasciato il posto a una descrizione della mobilitazione come quella dell’arrivo di un’orda di teppisti, per giunta supporters dei mafiosi.
La ragione reale per cui abbiamo manifestato insieme all’assemblea Uniti contro la repressione, è quella che in questa città ci si ricordi che esiste un carcere di massima sicurezza, non per niente costruito lontano dagli occhi e dal cuore; una prigione altamente punitiva e non “riabilitativa”, in cui vige un regime di carcere duro, non solo applicato nel 41bis ma che, data l’esistenza di questo settore, viene esteso a tutta la popolazione detenuta. Non si tratta di un’ipotesi: questo ci viene raccontato da detenuti, ex detenuti e loro familiari ormai da molti anni. A questo regime si aggiunga che nel carcere di via Burla, si soffrono anche le condizioni che affliggono tutte le prigioni dello Stato, come il sovraffollamento. Carceri sovraffollate da persone che, in genere, hanno commesso reati minori, da proletari. Carceri in cui vige una "pena di morte-di fatto", prodotto delle condizioni terribili della detenzione, delle cure mediche assenti o insufficienti, di induzioni al suicidio, ecc.
Per questo si intendeva ancora una volta cercare di dare voce a chi non può essere sentito, e farsi sentire da chi non può sentire. Noi sogniamo un mondo, una società, in cui ci si possa liberare della necessità del carcere, che possa affrontare le contraddizioni esistenti e le problematiche sociali, economiche, psichiatriche, senza la privazione totale della libertà e l’utilizzo di pratiche di tortura inumane e degradanti, quale è quella del 41bis e per la quale l’Italia è stata condannata dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura. In queste sezioni, ci sono anche detenuti che non sono capi mafiosi; un terzo di essi è in attesa di un giudizio definitivo e molti di coloro che sono stati condannati in via definitiva hanno già scontato la pena per il reato "ostativo" alla concessione dei benefici penitenziari, che ha motivato l’applicazione del 41 bis.
Ebbene, queste ragioni erano scritte nero su bianco nei comunicati e nei manifesti di indizione del corteo, ma ciò che campeggiava sulle testate è stata la sola “questione di ordine pubblico” e i presunti rischi che avrebbero subito i cittadini dal passaggio di un corteo di qualche centinaia di persone. Ma anche dopo il corteo, è stata completamente ignorata dalla stampa la risposta calorosa da parte dei detenuti che ci aspettavano aggrappati alle sbarre e che, come hanno potuto, ci hanno fatto sentire le loro grida, vedere le loro mani.
Chiediamo: chi ha scelto e deciso di spendere tutti questi soldi in una esercitazione militare per il corteo di sabato? Chi ha deciso persino di rimuovere le bici (!) dei residenti? Di vietare il parcheggio agli abitanti? Chi ha bloccato tutti gli ingressi al quartiere e addirittura fatto chiudere anticipatamente le scuole e i negozi? Secondo quale logica dovrebbero essere imputati questi sprechi e queste misure ai manifestanti, visto che il corteo era autorizzato? Chi ha deciso che tutto questo fosse realmente necessario, fino ad utilizzare addirittura le squadre dell’Unità Artificieri? Soprattutto, con questa operazione, quale immenso pericolo è stato sventato?
Lo spostamento d’asse dalle ragioni delle mobilitazioni all’inutilità di cortei e lotte in quanto “dispendiosi per la collettività”, o “pericolosi” e “ideologici” è figlio dei tempi che viviamo e della gestione corrente della pubblica opinione, dei conflitti, delle problematiche sociali ed economiche. Non solo a Parma, la gestione delle lotte nell’ambito del lavoro o dei diritti è considerata questione di ordine pubblico, da dare in pasto a celerini e magistrati. Come è successo proprio in questi giorni a Bologna con gli studenti, o durante le lotte degli operai della logistica, non lontano da noi. Questa gestione governativa nazionale e locale, si estremizza nei periodi di crisi. Così, operai, studenti, sfrattati diventano mera carne da macello quando si mobilitano o rivendicano i propri diritti negati. La stampa diventa complice di questa gestione nel momento in cui presta il fianco alla criminalizzazione, “creando il vuoto” attorno a chi protesta o si mobilita, fornendo una “spettacolare” e virtuale visione delle rivendicazioni, come se non si trattasse della vita reale di uomini e donne in carne ed ossa.
In questo contesto, constatiamo il completo avallo del Movimento 5stelle a questo dispendio di forze, anche economiche, in una totale mancanza di autonomia politica rispetto al diritto a manifestare, delegando la gestione della città intera alla questura, accettando la blindatura di quartieri, strade, uscite della tangenziale, e senza chiedersi se effettivamente fosse il caso di mettere in scena questa enorme rappresentazione da giorno del Giudizio, una vera e propria esercitazione per possibili scenari d’intervento repressivo. In ultimo a loro, che credono che “il carcere debba essere non solo punitivo ma anche riabilitativo”, chiediamo se sia riabilitazione o tortura vivere in isolamento totale, 22 ore chiusi in cella, con il blocco della posta, delle visite, in stanze senza finestre e senza poter accedere ad alcuna attività, tantomeno corsi scolastici, e se questo, per loro che credono nella “cittadinanza civile”, non rappresenti invece il rischio di degrado del senso di umanità, del diritto e del rispetto della persona umana.
Collettivo Insurgent City
Rete Diritti in Casa
Gruppo anarchico A. Cieri - FAI
Spazio Popolare Autogestito Sovescio
Compagni e compagne contro il carcere