"Legale, illegale, Scheissegal" - Testo di Gabriel Pombo da Silva

13 luglio 2008, Aachen, Germania

“LEGALE, ILLEGALE, Scheissegal”

“Gli ideali anarchici sono sentieri di umanità: uniscono per un disegno comune gli uomini più diversi e distanti. E noi siamo tutto ciò. E per questo tra le nostre righe ci sono argille provenienti da tutte le intemperie. E pendii e canali propri di tutti i cammini in linea retta. Ed anche polveroni: di quelli sollevati dai cani che corrono ad abbaiarci..."

Rodolfo González Pacheco

Compagni vicini al mio circolo di intimi pensano che il mio ultimo testo "Sobre los trabajos forzados y otros derechos" sia piuttosto "ambiguo" nella parte relativa ai diritti e che varrebbe la pena che io sia più concreto (e conciso) e meno ironico, in quanto ciò che scrivo potrebbe dare il via a cattive interpretazioni nel senso di dare una valutazione positiva del Diritto e delle lotte riformiste...

(...)

In molte occasioni ho l'impressione che si abusi del concetto "riformista" e/o "garantista" per prendere le distanze o negare (quando non insultare direttamente) l'appoggio e la solidarietà verso coloro che lottano e le lotte stesse; soprattutto per quanto riguarda i/le prigionieri/e (politici/che o sociali che siano) e le iniziative/tensioni che portano avanti in carcere contro le condizioni detentive (o invece per strada sulle condizioni di vita) o la detenzione stessa ignorando il contesto in cui si sviluppano le lotte (carcere, ghetto, ecc.).

In che maniera dobbiamo intendere il carcere? Come il fine ultimo che ribelli, rivoluzionari e/o proletari devono accettare dopo aver perso la libertà per le proprie attività/lotte (politiche, esistenziali e/o materiali)/bisogni contro il sistema capitalista ed il suo ordinamento politico, sociale, giuridico ed economico? Forse così finiscono l'ingiustizia, l'abuso e lo sfruttamento in carcere? Il detenuto deve "solo" resistere stoicamente a tutte le torture ed imposizioni arbitrarie e dispotiche dei suoi carcerieri, rinunciando a difendersi con tutti i mezzi ("incluso" quello legale)?

Se i carcerieri ti pestano (o ti pestano e ti torturano regolarmente) o ti "trattengono" o ti "fanno scomparire" la corrispondenza, i libri e le riviste, ecc., o ti sottopongono per anni e lustri ad un isolamento totale, o ti negano i colloqui con le persone che ami, o ti trasferiscono continuamente da un carcere all'altro, insomma ti dissociano, ti spersonalizzano, ti desocializzano , ecc. (si tratta solo di alcuni esempi di ciò che ho subito e subisco personalmente da 24 anni) e tutto questo nonostante io abbia "Diritto" a tali cose... Pertanto, debbono i/le detenuti/e rinunciare alle "vie legali" ed ai Diritti perché si stratta di un mezzo riformista e non ha nulla di "radicale"?

Prendendo in considerazione questi pochi esempi (che in carcere sono nostro pane quotidiano), dobbiamo considerare "riformista" il detenuto (che inoltre sa più di altri, non a caso è vittima ed ostaggio del diritto e della legalità borghesi) che "si arma" di una penna per denunciare queste cose nella vana speranza (dico vana perché il detenuto per il mero fatto di essere tale ha smesso di essere un/una cittadino/a di "diritto" e perché a nessuno, inclusi molti "anarchici", importa una merda della vita e dei "diritti" dei detenuti e delle loro famiglie) di aver "fortuna" ed incappare in qualche "togato" che decida di concedergli questi schifosi diritti a ricevere la corrispondenza, ad avere i colloqui, la fine dell'isolamento, la scarcerazione per aver scontato la condanna o perché secondo il "diritto" gli spetta per essere malato, ecc. Che dire del fatto che non sempre (o quasi mai) vengono applicati questi diritti perché, come detto, i detenuti non sono cittadini di diritto???

Per molti "diritti" che, in teoria, abbia un detenuto o "cittadino", questi non sono "garanzia" di nulla...

Quindi... non è per i diritti e per le leggi che lotta un anarchico, perché l'anarchico conosce la differenza tra LIBERTA' e DIRITTO. Ma un fatto così evidente per un anarchico non lo è per la persona comune, il detenuto, il povero, i ragazzi di strada, ecc. Prima di essere un anarchico io sono stato un proletario, un ragazzo di quartiere, un "delinquente comune" (e mille altre cose) fino ad essere quel che sono oggi e potete star certi che metterò le mie conoscenze ed esperienze al servizio di tutti coloro che si ribellano contro il sistema, in modo che possano seguire la lotta contro di esso...

Anarchici non si nasce, si diventa... e l'anarchico utilizza tutte le armi a sua disposizione per attaccare e distruggere questo sistema di merda, siano esse "legali" o "illegali".

Di una cosa possono certi coloro che servono in qualche modo lo Stato e le sue istituzioni, le sue Leggi e Dottrine: in me avrete il vostro peggior nemico perché vi aborro con tutto il cuore.

(...)

Forse conviene specificare che nello sciopero-protesta che effettueremo ai primi di agosto io sono, per così dire, un "invitato" in quanto non faccio parte dell'associazione di detenuti Iv.i... Cioè, non mi considero qualcuno che sta, né "sopra", né "davanti" ai compagni detenuti per addestrarli su nulla, men che meno per "dirigerli". Al massimo li accompagno nel loro "lavoro" e traiettoria, condividendo con essi le mie esperienze in modo che (se sono capaci) vadano avanti nei loro intenti e non ripetano "errori" che io e tanti compagni abbiamo commesso, sia all'epoca della COPEL e dell'APRE che nelle ultime esperienze collettive portate avanti dal 1999 al 2003...

Essere solidali con le diverse lotte che si realizzano a livello sociale (sia a livello nazionale che internazionale) è sempre una questione che dipende dalle valutazioni che ogni individuo effettua partendo dalle proprie esperienze, affinità e desideri.

Quando si è solidali con queste lotte non lo si fa a condizioni di interessi e/o parvenze di alcun genere (ancor meno se "anarchiche")... è una questione d'amore, di associarsi e di non ergersi sulla stessa autonomia delle lotte, sulle forme di organizzarsi e sugli stessi lottatori... almeno io la penso così.

Come s'è detto tante volte, essere solidali non significa esser d'accordo al cento per cento in/con tutto... Coloro che intendono la solidarietà come un "calcolo politico" e non come un atto di amore e di complicità sovversiva non la intendono come faccio io.

(...)

Prendendo in considerazione il fatto che, fino ad ora, dei 478 detenuti che sciopereremo dal primo al sette agosto solo José ed io siamo anarchici, chi siamo per dire agli altri come devono lottare ed organizzarsi? Non credete compagni (considerando che questo sciopero-protesta in Germania sarà "storico", nel senso di essere il primo auto-organizzato dai detenuti sociali) che invece di "criticare spietatamente" il suo carattere riformista/legalitario e/o garantista ci arricchiremo un po' di più mettendoci dalla sua parte e condividendo con gli scioperanti le nostre riflessioni, altre esperienze dello stesso tipo (come le lotte carcerarie in Spagna, Belgio, Italia, ecc) cercando in questa maniera di elevarne la coscienza politica e rivoluzionaria? Cosa ci differenzia dagli "altri" se non siamo capaci di essere solidali (ciascuno come ritiene opportuno) con coloro che si ribellano contro l'idra che ci opprime tutti e mostrare la ricchezza e gli "strumenti" dei nostri ideali e la loro storia in modo che essi facciano con tutto ciò quel che vogliono?

Certo che dobbiamo essere critici (così come autocritici) verso tutte le cose e questioni che consideriamo contrarie alla nostra maniera d'intendere la vita, le lotte, le forme organizzative ed i modi di relazionarci. Essere critici significa argomentare i nostri ragionamenti in modo che persino un bambino li comprenda e non sparare un discorso di merda dal tono accademico, né mancare di rispetto o insultare quelli che a grandi linee consideriamo nostri simili nella ribellione...

Come anarchico ciò che più m'ispira e m'interessa non è tanto il discorso (più o meno radicale, più o meno "riformista", ecc.) che alcuni scrivono/pubblicano (perché non è altro che un "riflesso" delle idee e ideologie, della "cultura" e/o esperienze, convinzioni, ecc. dei suoi autori) quanto invece il contesto della lotta, ciò che si vuole ottenere, i suoi "protagonisti" ed il potenziale sovversivo di queste lotte e tensioni...

Già sapete che si possono dire le cose in mille maniere, ma ciò che si vuol far comprendere, il messaggio, è lo stesso.

(...)

Suppongo sia relativamente comodo teorizzare/criticare dalle "altezze" concettuali sulla lontananza dalle lotte e sulle "impurità" di quelli che si ribellano senza manuali o cattedratici della "rivoluzione"; molto più difficile è mettere in pratica ciò che predichiamo o sogniamo...

Non a caso ad essere punite e rinchiuse non sono tanto le idee e le teorie (non sempre, perlomeno) quanto la messa in pratica ed i tentativi che si fanno delle stesse...

(...)

Detto questo, mi resta da spiegare che non è attraverso il diritto e le leggi che otterremo giustizia, libertà, dignità, eguaglianza... Le nostre armi ed i nostri strumenti sono la solidarietà, il mutuo appoggio, la conoscenza reciproca, l'azione diretta, la complicità, l'amore verso i nostri e la libertà in tutte le sue forme, la costanza permanente nei nostri progetti, i dibattiti, le mobilitazioni, ecc... perciò, per favore, non fermiamoci "solo" ad una critica superficiale a quanto scritto da Pit nel suo comunicato del 15.06.08, anche se capisco che dal nostro modo di vedere le cose ci sono moltissimi aspetti che dobbiamo criticare di quel comunicato...

Personalmente gli ho scritto una lettera (anche se dubito gli sia giunta perché mi hanno bloccato la corrispondenza da un mese e mezzo) in cui critico la forma "verticale" dell'associazione ed espongo ciò che penso dei rappresentanti, della "delega" dei compiti (insomma, che le organizzazioni verticali sono nemiche della libertà, del radicalismo, della spontaneità e della creatività di qualsiasi lotta/progetto) e come si possa "costruire" un'associazione orizzontale, autonoma, informale, ecc...

Non sono contrario a qualsiasi forma organizzativa, ma a quelle di carattere verticista che si pongono al di sopra dei suoi membri e decidono per essi la rotta da seguire, le forme di lotta, ecc. Sono gli individui che compongono l'organizzazione e non l'organizzazione che "disciplina", sostituisce e/o rappresenta i suoi membri perché altrimenti si dirige e si controlla ogni lotta, rendendola inoffensiva e recuperabile dal potere.

Dalle nostre esperienze, letture e pratiche attraverso l'affinità e la conoscenza reciproca creiamo un clima di complicità e reti informali di organizzazione... Dalle nostre diverse provenienze e vissuti traiamo fuori la nostra creatività rivoluzionaria... e siamo certi che questa forma d'organizzarci (sebbene non abbiamo "nomi", né sigle e non siamo identificabili dal potere) sia la più naturale del mondo perché non obbedisce ad astrazioni o "masturbazioni mentali", bensì alla nostra forma di comprendere noi stessi ed il mondo in cui viviamo...

La nostra miglior teoria è quella che traiamo fuori dalle nostre esperienze e dai nostri desideri di libertà... non ne facciamo un decalogo o una moda; ognuno sa meglio di altri il luogo che occupa nella vita/esistenza e chi/cosa sono quello/quelli che attentano contro la nostra libertà/interessi/desideri... La guerra sociale pone ognuno al suo posto... io so da che lato della barricata mi troverò e contro chi punterò le mie armi...

(...)

Ogni lotta è un processo dinamico che non obbedisce a leggi statiche, ma variabili... una tensione contro l'esistente e la dominazione... sappiamo identificare da questo "caos apparente" quelli che sono mossi da desideri uguali o simili ai nostri...

Se a qualcosa deve servire la parola, non è per disseminare le paure o propagare le miserie, ma per riaffermare le nostre convinzioni ed i nostri desideri di esser liberi...

In questo lungo cammino diveniamo più forti e saggi, lasciandoci dietro tutti refrattari di paccottiglia che pretendono parlarci di valori mentre vivono sommersi dal fango e credono di uscirne con la prosa...

Là dove si attacca il nemico si evidenzia il nostre complice sorriso e dove si eleva la dignità insorta (sia individuale che collettiva) fiorisce e si espande la nostra speranza libertaria, perché è da lì che tiriamo fuori i "nitrati" del nostro cammino...

Che ognuno faccia ciò che ritiene opportuno...

La solidarietà è un'arma rivoluzionaria.

Abbasso le mura! Viva l'anarchia!

Gabriel

* * *

13 de julio. Aachen. Alemania

“LLEGAL, ILLEGAL, Scheissegal”

“ Los ideales anarquistas son sendas de humanidad: unen para un designio común a los hombres más distintos y distantes. Y nosotros somos eso. Y por eso en nuestras letras hay barros de todas las intemperies. Y cuestas y encajaduras propias de todas las marchas en línea recta. Y polvaredas también: las que levantan los perros que nos salen a ladrar...”

Rodolfo González Pacheco

Compañeros próximos a mi círculo de íntim@s opinan que mi último texto, “Sobre los trabajos forzados y otros derechos”, es bastante “ambiguo” en lo relativo al tema sobre el/los derecho/s y que estaría bien que fuese más concreto (y conciso) y menos irónico por que lo que escribo puede dar pie a malas interpretaciones en el sentido de valorar positivamente el Derecho y las luchas reformistas...

(...)

En muchas ocasiones tengo la impresión que se abusa del concepto “reformista” y/o “garantista” para distanciarse o negar (cuando no directamente insultar) el apoyo y la solidaridad a quienes luchan y las luchas mismas; sobre todo en lo relativo a l@s pres@s (sean politic@s o sociales) y las iniciativas/ tensiones que llevan adelante en la cárcel y contra las condiciones de encierro (cuando no en la calle y las condiciones de vida) o el encierro mismo ignorando el contexto donde se desarrollan las luchas (sea la cárcel, el guetto, etc.)

¿Cómo se supone que debemos entender la cárcel?¿Cómo el fin último que debe aceptar todo rebelde, revolucionario y/o proletario después de haber perdido la libertad por sus actividades/ luchas (políticas, existenciales y/o materiales) /necesidades contra el sistema capitalista y su ordenamiento político, social, jurídico y económico? ¿Acaso se acaba la injusticia, el abuso y la explotación en la cárcel? ¿Debe el preso “tan sólo” resistir estoicamente todas las torturas e imposiciones arbitrarias y despóticas de sus carceleros y renunciar a defenderse con todos los medios (el legal “incluido”)?

Pongamos por caso que los carceler@s te dan una paliza (o te apalizan y torturan regularmente) o te “retienen” y “desaparecen” la correspondencia, lectura, etc.; o te someten durante años y lustros a un aislamiento total, o te niegan las comunicaciones con las personas que amas, o te dispersan continuamente de una cárcel a otra para, en suma, disociarte, despersonalizarte, desocializarte, etc.; por poner sólo algunos ejemplos (los cuales he sufrido/sufro personalmente desde hace 24 años) y todo eso pese a tener “Derecho” a estas cosas... ¿Deben pues renunciar l@s pres@s a la “vía legal” y los Derechos porque este medio es reformista y no tiene nada de “radical?”

Teniendo en cuenta estos pocos ejemplos (y que en la cárcel son el pan nuestro de cada día), ¿debemos pues considerar “reformista” al preso (que además sabe mejor que nadie, no en vano es víctima y rehén del derecho y legalidad burguesas) que “se arma” de un bolígrafo para denunciar estas cosas con la vana esperanza (y digo vana porque el preso por el mero hecho de serlo ha dejado de ser un/a ciudadan@ de derecho” y porque a nadie, incluidos muchos “anarquistas” les importa una mierda la vida y “los derechos” de los pres@s y sus familias) de tener “suerte” y topar con un “togado” que decide otorgarle estos asquerosos derechos a recibir su correspondencia, visita, cese de aislamiento, excarcelación por haber cumplido su condena; o porque según cierto “derecho” le corresponde por estar enfermo, etc., etc. Y que no siempre (o casi nunca) se aplican estos porque, como ya he dicho, los pres@s no son ciudadan@s de derecho???

Por muchos “derechos” que en teoría tenga un preso o “ciudadano” estos no son ninguna “garantía” de nada...

Pues bien... no es por los derechos y leyes por lo que lucha un anarquista, porque el anarquista sabe la diferencia entre LIBERTAD y DERECHO pero algo tan evidente para un anarquista no lo es para la persona común, el preso, el pobre, l@s chavales de los guettos, etc. y como yo antes de ser anarquista he sido un proletario, un chaval de barrio, un “delincuente común” (y mil cosas más) hasta ser quien soy hoy podéis estar seguros que pondré todo mi saber y experiencias al servicio de tod@s l@s que se rebelan contra el sistema para que ell@s sigan su propia lucha contra este...

El anarquista no nace, se hace... y el anarquista usa todas las armas a su disposición para atacar y destruir este sistema de mierda, sean “legales” o “ilegales”.

Una cosa pueden tener siempre muy claro quienes sirven de uno u otro modo al Estado y sus Instituciones, sus Leyes y Doctrinas; en mí tenéis vuestro peor enemigo porque os aborrezco con todo el corazón.

(...)

Quizás convenga aclarar que en la huelga-protesta que vamos a llevar a cabo en Agosto soy, por así decirlo “un invitado” pues no pertenezco a la asociación de pres@s Iv.i...Es decir, que no me considero alguien que está, ni “por encima”, ni “por delante” de l@s compañeros pres@s para aleccionarlos sobre nada, y menos “dirigirlos”. A lo sumo les acompaño en su “trabajo” y trayecto, y comparto con ellos mis propias experiencias para que ellos (si son capaces) vayan unos pasos más adelante en sus propósitos y no repitan los “errores” que yo y tanto compañeros cometimos, tanto en la época de la COPEL como en la APRE o en las últimas experiencias colectivas que se dieron de 1999 al 2003...

Ser solidario con las diversas luchas que se dan en lo social (tanto a nivel nacional como internacional) es siempre una cuestión que depende de las valoraciones que cada individuo se plantea partiendo de sus propias experiencias, afinidad y deseos.

Cuando se es solidario con estas luchas no es a condición de intereses y/o apariencias de ningún tipo (y menos de que sean “anarquistas”)...es una cuestión de amor, de sumarse y no elevarse sobre la autonomía misma de las luchas, sus formas de organizarse y l@s luchador@s mism@s...o al menos yo lo entiendo así.

Como tantas veces se ha dicho ser solidario no significa estar deacuerdo al ciento por ciento en/con todo...Quienes entienden la solidaridad como un “cálculo político” y no como un acto de amor y complicidad subversiva no entienden esta como yo la comprendo.

(...)

Teniendo en consideración que de los, hasta ahora 478 pres@s que vamos a estar del 1 al 7 de Agosto en huelga (y que yo sepa) sólo Jose y yo somos anarquistas ¿Quiénes somos para decirles a los demás cómo deben luchar y organizarse?¿No creéis compañeros (teniendo en cuenta el hecho de que esta huelga- protesta en la BRD[1] será “histórica” en el sentido de ser la primera auto- organizada por l@s pres@s sociales) que en vez de “criticar despiadadamente” su carácter reformista/ legalista/ o/ y garantista nos enriqueceríamos tod@s un poco más poniéndonos de su parte y compartiendo con ell@s nuestras reflexiones, otras experiencias del género (como las luchas carcelarias en España, Bélgica, Italia, etc.) intentando de esta forma elevar su propia conciencia política y revolucionaria? ¿qué nos diferencia de “l@s otr@s” si no somos capaces de ser solidarios (cada cual como lo considere oportuno) con quienes se rebelan contra la hídra que nos oprime a tod@s y mostrarles la riqueza y “las herramientas” de nuestros ideales y su historia para que ell@s hagan con todo esto lo que les de la gana?

Cierto que debemos ser críticos (como autocríticos) con todas las cosas y cuestiones que consideramos contrarias a nuestra forma de entender la vida, la lucha, las formas organizativas y de relacionarnos entre nosotr@s. Ser críticos es argumentar nuestros razonamientos de tal modo que hasta un niño pequeño los entienda y no soltar un discurso de mierda con tono academicista, ni tampoco faltar al respeto o insultar a quienes en mayor o menor medida consideramos nuestros iguales en rebelión...

Como anárquico lo que a mí más me inspira e interesa no es tanto el discurso (más o menos radical, más o menos “reformista”, etc.) que un@s escriben/ publican (pues esto no deja de ser más que un “reflejo” de las ideas e ideologías, de la “cultura” y/ o experiencias, convicciones, etc. de sus autores) como sí el contexto de la lucha, lo que persiguen; sus “protagonistas” y el potencial subversivo de estas luchas y tensiones...

Ya sabéis que se pueden decir las cosas de mil formas pero lo que se quiere dar a entender, el mensaje, es el mismo.

(...)

Supongo que es relativamente cómodo esto de teorizar/ criticar desde “las alturas” conceptuales y la lejanía las luchas y “las impurezas” de quienes se rebelan sin manuales y catedrátic@s de la “revolución”; y más difícil llevar a la práxis aquello que predicamos o soñamos...

No en vano lo que se castiga y encierra no son tanto las ideas y teorías (al menos no siempre) sino la puesta en práxis y los ensayos de estas...

(...)

Dicho esto me queda por aclarar que no es por medio del derecho y las leyes por donde vamos a lograr justicia, libertad, dignidad, igualdad... Nuestras armas y herramientas son la solidaridad, el apoyo y el conocimiento mutuo, la acción directa, la complicidad, el amor hacia l@s nuestr@s y la libertad en todas sus formas; la constancia permanente en nuestro proyecto, los debates, movilizaciones, etc...así que por favor, no nos quedemos “sólo” en una crítica superficial a lo escrito por Pit en su comunicado de 15.06.08; aunque entiendo que desde nuestra forma de ver las cosas hay muchísimos aspectos que debemos criticar de ese comunicado...

Personalmente le he escrito una carta a él (que dudo le haya llegado pues me han bloqueado el correo desde hace un mes y medio) donde le critico la forma “vertical” de la asociación y lo que opino de l@s representantes y el “delegacionismo” de las tareas (en suma, que las organizaciones verticales son enemigas de la libertad, la radicalidad, la espontaneidad y la creatividad de toda lucha/proyecto) y cómo se puede se puede “construir” una asociación horizontal, autónoma, informal, etc...

No estoy en contra de toda forma organizativa pero sí contra toda organización de carácter vertical que está por encima de sus componentes y decide por est@s el rumbo a seguir, las formas de luchar, etc. Son los individuos quienes componen la organización y no la organización quien “disciplina”, sustituye y/ o representa a sus componentes porque es así como se dirige y controla toda lucha, haciéndola inofensiva y recuperable para/por el poder.

De nuestras experiencias, lecturas y praxis mediante la afinidad y el conocimiento recíproco vamos creando un clima de complicidades y redes informales de organización...De nuestras diferentes procedencias y vivencias sacamos nuestra creatividad revolucionaria...y estamos segur@s que esta forma de organizarnos (aunque no tengamos “nombres” ni siglas, ni seamos identificables por el poder) es la más natural del mundo porque no obedece a abstracciones o “masturbaciones mentales” sino a nuestra forma de entendernos a nosotr@s mism@s y al mundo en el que vivimos...

Nuestra mejor teoría es la que extraemos de nuestras experiencias y va expoleada por nuestros deseos de libertad... no vamos a hacer de esta un decálogo o una moda; cada cual sabe mejor que nadie el lugar que ocupa en la vida/ existencia y quiénes/ qué son aquell@s/aquello que atentan contra nuestra libertad/ intereses/ deseos...La guerra social pone a cada cual en su sitio...yo se a qué lado de la barricada me encuentro y a hacia quienes apuntar con mis armas...

(...)

Toda lucha es un proceso dinámico que no obedece a leyes estáticas sino variables...una tensión contra lo existente y la dominación...sabemos identificar de este “aparente caos” a aquell@s que les mueven iguales o similares deseos que a nosotr@s...

Si para algo debe servir la palabra no es para contagiar miedos o propagar miserias, sino para reafirmar nuestras convicciones y deseos de ser libres...

En esta larga marcha nos vamos haciendo más fuertes y sabi@s y atrás vamos dejando a tod@s l@s refractari@s de pacotilla que pretenden hablarnos de valores mientras viven sumidos en el fango y creen solucionarlo todo por medio de la prosa...

Allá donde se ataca el enemigo se ensancha nuestra sonrisa cómplice y donde se alza la dignidad insurrecta (sea individual o colectiva) florece y se ensancha nuestra esperanza libertaria, pues son en estas y estos donde sacamos los “nitratos” de nuestro caminar...

Que cada cual haga lo que crea conveniente...

La solidaridad es un arma revolucionaria.

¡¡Abajo los muros!! ¡¡ Viva la anarquía!!

Gabriel

[1] Bundesrepublik Deutschland. Alemania

Dom, 03/08/2008 – 20:21
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