Dopo il #7L – Expo 2015, debito cemento e precarietà.

 

 

Dopo la bellissima giornata di Domenica 7 Luglio a Monza.


Domenica 7 luglio Napolitano, Letta, Maroni & co. si sono riuniti presso la Villa Reale di Monza per rilanciare il grande evento Expo 2015 con una kermesse blindata da un ingente schieramento di forze di polizia. Fuori, in largo Mazzini si è dato appuntamento il variegato mondo delle realtà e forze politiche che si oppongono ad Expo 2015 che ha attraversato le vie della città in corteo ed ha organizzato una critical bike che ha dato filo da torcere alla polizia portando le ragioni della protesta fin sotto Villa Reale.

 

In largo Mazzini è stata allestita una piazza tematica con gazebi, banchetti, distribuzione di materiale informativo e interventi al microfono delle realtà presenti. Molti gli slogan ripetuti al microfono durante il concentramento e al megafono durante il corteo. Su uno di questi, in particolare, ci vogliamo soffermare perché a nostro avviso meglio esprime quello che è in realtà il grande evento: Expo 2015, debito cemento e precarietà.

Debito

L’area di un milione di mq tra Rho e Milano inizialmente di proprietà di Fondazione Fiera Milano e Gruppo Cabassi era un’area agricola. L’adp Expo 2015 promosso nel 2008 dall’ex sindaco di Milano Letizia Moratti sanciva l’edificabilità dell’intera area. Nel luglio 2011 i Consigli comunali di Milano e Rho entrambi a maggioranza di centrosinistra approvavano definitivamente l’adp facendo un gran favore a Fiera e Cabassi attraverso la valorizzazione dell’intera area agricola, la quale cessava di essere tale per divenire un’area residenziale. Nel frattempo, Comune e Provincia di Milano, Regione Lombardia, Comune di Rho e Fondazione Fiera Milano costituiscono Arexpo spa, la newco tanto voluta dall’ex governatore della Lombardia Formigoni per acquisire le aree su dovranno essere realizzati i padiglioni di Expo 2015. E qui scatta l’affare per Fiera e Cabassi. I terreni vengono venduti ad Arexpo al prezzo stellare di 164€ al mq, più o meno dieci volte tanto il valore originario dei terreni. Arexpo, che ricordiamo è una società a capitale sociale prevalentemente pubblico (più del 70%), si indebita per oltre 300 milioni di euro per completare questa operazione di compravendita immobiliare e cedere il diritto di superficie ad Expo 2015 spa che dovrà realizzare i padiglioni dell’Esposizione. Per scrupolo, Pisapia chiede al Tribunale di Milano una perizia sulla congruità del prezzo di acquisizione dei terreni. Per i periti del Tribunale il prezzo di vendita è stato equo, ma c’è un “ma”. E qui arriviamo al secondo termine dello slogan.

Cemento

I periti sostengono che il prezzo di acquisizione dei terreni è congruo a condizione che al termine dell’Espozione il promotore che acquisirà i terreni potrà realizzare un nuovo quartiere residenziale. In particolare, l’adp prevede un indice di utilizzazione territoriale pari a 0,52 mc/mq più o meno così ripartito: – 330mila mq per residenziale libero (a prezzi di mercato);

- 70mila mq per commerciale;

- 70mila mq per direzionale;

- 30mila mq per residenziale sociale;

nella parte restante dovrebbe essere realizzato un parco tematico ed una funzione pubblica. Ma quale sarà la funzione pubblica che verrà realizzata? La sede della Rai, il Tribunale europeo dei brevetti, una sede universitaria o lo stadio dell’inter? Molto probabilmente quest’ultima, per il semplice motivo che è l’unica tra le citate in grado di portare dei soldi nelle casse indebitate di Arexpo, che in qualche maniera potrebbe ridurre la cementificazione. Sì, perché la verità è che l’indebitamento di Arexpo che dovrà decidere le sorti del post Expo è una grossa ipoteca sul futuro di quell’area. Per non lasciare un buco nelle casse della società  per forza di cosa bisognerà cementificare; per non cementificare bisognerà ripianare i debiti di Arexpo scaricandoli sulla collettività. Praticamente la scelta è tra il saltare o il farsi spingere. E qui arriviamo al terzo e ultimo termine.

Precarietà

Immaginiamo che i Comuni di Milano e di Rho decidano di non dare il via alla cementificazione dell’area successivamente ai 6 mesi di Expo, magari rispettando quanto scritto nel dossier di candidatura registrato al Bie nel novembre del 2010 e, cioè, mantenere un indice di edificabilità pari a 0,2 mc/mq per realizzare il famoso orto planetario – rispettando, tra l’altro, la volontà dei 450mila milanesi che si sono espressi con il referendum del 2011. Chi coprirà le perdite di Arexpo? Ovvio, noi tutti! E come si farà in tempi di austerity a reperire le risorse? Altrettanto ovvio, tagliando i servizi!

Ecco, ora immaginiamo che questo schema non riguarda solo l’operazione di acquisizione dei terreni ma che, mutatis mutandis, riguardi anche le grandi opere stradali come la Tem, la Pedemontana e la Brebemi (complessivamente le opere collegate previste dal dossier arrivano ad 11 miliardi di euro). È palese, come del resto già il Brasile ci ha insegnato a proposito della Confederations Cup, che questi grandi eventi drenano risorse pubbliche che andrebbero investite –  soprattutto in tempi di crisi – in servizi primari per la collettività.

Ma l’Expo porterà ben 70mila posti di lavoro sostengono i fautori di Expo. Lo stesso commissario unico Giuseppe Sala ha parlato di 2-3mila posti di lavoro ed ha chiesto al governo deroghe precarizzanti ai contratti a tempo determinato attraverso l’estensione dell’acausalità a 18 mesi oppure con l’introduzione di una causale “atipica” per Expo 2015 da applicarsi ai contratti di lavoro direttamente o indirettamente connessi all’evento. E tutto questo tacendo delle condizioni di lavoro all’interno dei cantieri dove è pressante l’esigenza di terminare le opere di Expo in tempo per l’inaugurazione del 1° maggio 2015.

E questa sarebbe, come sostiene “Re Giorgio”, l’occasione per uscire dalla crisi?

 

 

Centro Sociale Sos Fornace

No Expo

 

 

 

 

 

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