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pubblicato il 20.02.07
Revisionismo tv e bufale - i diari del duce
·

mercoledì, 14 febbraio 2007
Vespa horribilis

La puntata di Porta a Porta sui diari di Mussolini, andata in onda ieri sera, andrebbe proiettata nelle scuole come esempio del più deteriore revisionismo storico. Uno smaccato tentativo di santificare la figura del criminale fascista, malriuscito solo per incapacità dei chiamati a tale arduo compito. Pietosa la nipote che si esalta, squallido e poco convincente il pluri-inquisito Dell’Utri e inutilmente untuoso Vespa che si proclama rivelatore di verità nascoste alla gggente.

Un autogol anche le testimonianze, con i figli degli infoibati in imbarazzo, in particolare quando si è trattato di spiegare cosa facesse la “milizia” (fascista) nella quale il genitore “lavorava”. Nelle foibe ci sono finiti anche molti innocenti, Vespa poteva fare qualche sforzo di più e trovare qualche voce meno imbarazzata.

E’ abbastanza normale, per Vespa, che una trasmissione sui diari di Mussolini sia costruita sulle colpe dei comunisti jugoslavi e non contenga neanche un servizio sui crimini fascisti. Niente sullo squadrismo, niente sull’ascesa al potere e sulla dittatura, niente sul fascismo, niente sui massacri coloniali, niente su quelli in Yugoslavia, niente sui deportati, niente sugli eccidi, niente sulle leggi razziali.

La Risiera di S. Sabba? Se ne è parlato in abbondanza, delle foibe no; questa la risposta dell’equilibrato conduttore, impegnato ad ipnotizzare la camera pronunciando foibe tre volte e agitando le mani come Silvan, dopo che più uno sventurato ospite aveva accennato alle colpe del fascismo e detto che i diari, semmai, confermano ed aggravano le responsabilità mussoliniane.

Niente, per Vespa il pelatone era “un raffinatissimo giornalista”.
Aspettiamo solo la prossima puntata, nella quale ci racconterà che ad accorrere in Piazzale Loreto per essere sicuri della morte del raffinatissimo giornalista non furono i milanesi finalmente liberati dal fascismo, ma un’orda di barbari comunisti contrari alla libertà d’opinione.

Aggiornamento 17/02:

I diari si sono rivelati una patacca, già conosciuti come tali in passato. Nessun notizia da Dell’Utri, Mussolini e Vespa.

Mazzetta


IL DUCE PACIFISTA
di Girolamo De Michele

È ufficiale: i Diari del Duce sono una bufala. Anzi, una patacca. Presentati in pompa magna a Porta a porta dall’erudito Marcello Dell’Utri, con accanto Giulio Andreotti, Alessandra Mussolini (un cognome francamente eccessivo, chioserebbe l’indimenticabile Luigi Pintor), gli storici Perfetti e Petacco e un paio di deputati del centro-sinistra (ma non avevano detto che non sarebbero più andati in televisione a fare avanspettacolo?), dovevano ammannirci l’immagine riparatrice di un Duce amante della pace e dell’infanzia, nella Nazione come nella Famiglia (Lui comprensivo, quella che menava era donna Rachele, assicura la nipote).
Quella che vedete nell’immagine, invece, è vera.

È una cartolina celebrativa del VENTENNALE del CONVEGNO di PESCHIERA, 8 novembre 1937-XVI. Su e-bay è quotata meno di 5 euro: devono averne tirate un bel po’. La parte più interessante è il retro. Riproduce un estratto del discorso del Duce in occasione del primo Giubileo del Regno di Vittorio Emanuele III, 6 giugno 1925-III: *“Crede nella guerra e fa la guerra, fante tra i fanti; vi crede anche quando molti dubitavano, ma Lui a Peschiera non dubitò”*. Segue la firma, tutta in maiuscolo per decreto del segretario del PNF Starace: MUSSOLINI. Sotto la citazione, lo spazio per la firma. La cartolina è da indirizzarsi al Re d’Italia e Imperatore d’Etiopia.
L’ho trovata in un vecchio volume ottocentesco, una comparazione interlineare delle prime due edizioni dei Promessi Sposi. C’è sotto la firma di mio zio Lino. Mio zio, all’epoca, aveva 7 anni.
Questa cartolina dimostra come, al di là dei diari-patacca avallati dagli storici-Petacchi, i bambini venissero educati alla pace.
A mio zio è andata bene: era troppo piccolo per partire, 4 anni dopo, per la Russia, con al collo il fucile Beretta del 1895 e al traino i cannoni del 1910 abbandonati dagli austriaci nel 1918. Ad altri 300.000 è andata peggio: hanno scoperto le virtù dei succedanei italici (così li definisce l’Annuario De Agostini del 1938): sotto le scarpe il cartone pressato, e sui cappotti la lana di coniglio, italianissimo: il Duce dettò «chiare e precise disposizioni» affinché «la nostra produzione conigliera sia incrementata quanto più è possibile».
Comunque, almeno mio zio la cartolina non l’ha spedita.

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