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DUE COMBATTENTI: VITTORIO CAFFEO E UMBERTO FUSAROLI CASADEI
[WM1:] Abbiamo appreso soltanto pochi giorni fa della morte, risalente al 7 giugno scorso, di Vittorio Caffeo, nome di battaglia “Drago”, partigiano nella 2a Brigata Paolo (attiva nella Bassa Bolognese), per lunghi anni esule in Cecoslovacchia, amico fraterno di Alexander Dubcek.
“Drago” è uno dei personaggi del nostro Asce di guerra (è dedicato a lui l’intero capitolo 27 della prima parte). Lo avevamo conosciuto per tramite dell’amico Mirco Zappi, anch’egli partigiano, infaticabile “operatore culturale” al servizio della memoria partigiana e dell’antifascismo.
Caffeo era persona di rara cortesia e sensibilità, un autentico galantuomo, mai sopra le righe. Spassoso ed efficacissimo narratore orale, aveva una voce tonda e robusta, di quelle che non si dimenticano. Nel corso del 2000 il suo apporto al nostro lavoro fu inestimabile, e anche negli anni successivi si presentò puntuale a ogni presentazione di un nostro libro tenuta nei paraggi di casa sua (= Casalecchio di Reno e dintorni).
Riporto qui stralci della biografia apparsa sul foglio Casalecchio News, organo dell’amministrazione comunale:
[...] Nel 1939, allo scoppio della guerra, Vittorio Caffeo, che aveva frequentato l’Accademia della Marina Militare, fu imbarcato su un cacciatorpediniere che nel 1943 venne bombardato dagli aerei alleati [a Taranto]. Rimasto ferito, egli fu ricoverato nell’Ospedale militare di Modena e quando l’8 settembre l’Italia firmò l’armistizio, raggiunse la famiglia [a Bentivoglio] e si collegò con le formazioni partigiane della Bassa Bolognese. Con il nome partigiano di “Drago”, Vittorio Caffeo militò con funzioni direttive nella 2a Brigata Paolo fino alla Liberazione dell’aprile 1945. Nel dopoguerra egli fu, come altri, sottoposto ad accuse riguardanti vicende partigiane e nel 1949 espatriò in Cecoslovacchia, dove a Praga ottenne una laurea in scienze economiche e a Brno diresse un centro di ricerche del sottosuolo. Nel 1960, rientrato in Italia con l’amnistia concessa dal presidente Giuseppe Saragat, egli si stabilì dapprima a Bologna e poi a Casalecchio di Reno occupandosi di rapporti commerciali fra l’Italia e la Cecoslovacchia e coltivando rapporti d’amicizia con Alexander Dubcek, fautore della “primavera di Praga” e promotore del “socialismo dal volto umano”, il quale risiedeva nella città di Trencin in Slovacchia. I funerali di Vittorio Caffeo si sono tenuti in forma privata come egli aveva espressamente richiesto. Oltre ai famigliari era presente una delegazione della città di Trencin della quale faceva parte Peter Dubcek, figlio di Alexander.
Manco a dirlo, Caffeo era uno dei partigiani più presi di mira nelle “ricostruzioni” “storiche” del fascista Pisanò e, più di recente, di un tale Pansa. Commentava quegli attacchi in privato, con ironia e disarmante levità. Doveva pensare che era proprio il colmo: amnistia ad aguzzini e torturatori, mancata epurazione dei fascisti nelle istituzioni, persecuzione giudiziaria dei partigiani, esilio, mille vicissitudini e amarezze, suicidî... E il “sangue dei vinti” è quello dei repubblichini? Mo andè a fèr däl pugnàtt!
[WM2:] Asce di Guerra era uscito da qualche mese. Giravamo l’Italia per parlarne e presentarlo ai lettori. Durante un viaggio in treno, ci venne l’idea di un’antologia di racconti, ispirati alle gesta di italiani che – come Vitaliano Ravagli – avessero combattuto “le guerre degli altri”. Dai pirati mazziniani di Porto Alegre fino al Comandante Gonzalo [l’altoatesino Michael Nothdurfter, guerrigliero in Bolivia, ucciso in un blitz dei militari nel 1990].
Giorni dopo, parlando del progetto davanti a una birra, salta fuori la vicenda di un partigiano italiano che avrebbe combattuto per l’indipendenza del Mozambico. Unica fonte della storia è lo zio di un amico, Medico Senza Frontiere in Africa Meridionale.
Siamo nel 2000, i motori di ricerca sono molto più afasici di oggi e così la Rete non aiuta a pescare altre informazioni. Nel frattempo però l’amico contatta lo zio, lo zio trova una rivista – D di Repubblica – dove due anni prima è comparso un articolo. Si scopre che il partigiano si chiama Umberto Fusaroli Casadei, e questa volta Internet sputa fuori un indirizzo: via Fratelli Fusaroli Casadei, a Bertinoro, in provincia di Forlì. Un tiro di schioppo da casa nostra.
Mandiamo una vetusta lettera cartacea e una copia di Asce di guerra. Riceviamo una telefonata, fissiamo l’appuntamento.
Ci apre la porta un anziano signore distinto, sguardo e gesti vivaci, e subito si comincia a discutere di colonialismo, resistenza, morti ammazzati. Ancora oggi, quando parliamo tra noi di quell’incontro, il primo ricordo è per la serenità con la quale Fusaroli dichiarava di avere ucciso decine e decine di fascisti (italiani e portoghesi). Come un artigiano a fine carriera che si guarda indietro, soddisfatto per il lavoro delle sue mani.
Stronzate. E’ evidente che il paragone non regge: via Fratelli Fusaroli si chiama così in ricordo di Antonio e Gaetano, il padre e lo zio di Umberto, ammazzati dalle Brigate Nere con il classico corollario di atrocità. Alle anime belle il compito di stabilire se abbiamo incontrato un boia dedito alla giustizia sommaria o un eroe vendicatore. Noi preferiamo ricordarlo con le sue stesse parole, quelle che usava per presentarsi nelle molte e-mail – alcune di 40 pagine – spedite a direttori di giornale e alte cariche dello Stato, ogni volta che una nuova polemica cercava di svalutare il significato della Resistenza o di rivalutare le scelte dei vinti.
Sono nato il 25 marzo 1926, ex comandante partigiano, il Padre, lo Zio, un Cugino trucidati dai mostri repubblichini; tre ferite riportate in diversi combattimenti contro i nazisti, sei anni di carcere per avere continuato la lotta al fine di rendere giustizia ai nostri Caduti ed una infinità di persecuzioni poliziesche, tuttora perduranti; combattente contro il fascismo coloniale Portoghese, insieme al Presidente Samora Moisés Machel [nella foto, N.d.R.], ferito gravemente altre due volte quando esercitai le funzioni di amministratore giudiziario dei beni di due mafiosi in Maputo, dopo che il Presidente Samora fu assassinato e il marasma della corruzione travolse le istituzioni.
In Mozambico sono regolarmente iscritto negli albi dei commercialisti e degli avvocati.
Quasi in contemporanea con Vitaliano [cfr. la postfazione all’edizione 2005 di Asce di guerra] – e con le elezioni del 2001 – anche Umberto Fusaroli si ritrovò al centro di uno “scandalo” giornalistico con annessa denuncia.
Stefano Zurlo de “Il Giornale” pubblicò una presunta intervista, nella quale il nostro sosteneva di aver partecipato all’eccidio di Schio. Nell’articolo, Zurlo cita due passaggi della chilometrica autobiografia di Fusaroli (2000 cartelle di Word, tuttora inedite). Il primo racconta di come Rumba – il protagonista della storia – fu invitato a partecipare a quell’azione. Il secondo la descrive nel dettaglio. Il primo c’è davvero, il secondo no. Nel dicembre 2003, il GIP del tribunale di Vicenza ha archiviato la procedura, “potendosi ragionevolmente escludere che l’indagato fosse anche solamente presente a quei tragici fatti”. Tra l’altro, Rumba è un nome di fantasia, da molti scambiato per il nome di battaglia di Fusaroli, che invece era chiamato semplicemente così, “Fusaroli”, dai compagni partigiani dell’Ottava Brigata Garibaldi.
Nel frattempo, il 6 agosto 2001, un pacco bomba destinato a Fusaroli era esploso nella sede del corriere SDA di Forlimpopoli.
Chissà se qualche pubblico ministero ha provato a rintracciare gli autori della spedizione, magari tra i tanti fascistelli che si aggiravano per la Rete dichiarando di voler fare un salto a Bertinoro, vista la breve distanza da Predappio…
Umberto Fusaroli Casadei è morto per aver mancato una precedenza, in un incrocio che già anni prima gli era costato un incidente.
Ai complottardi piacerà sapere che già nel passato i freni della sua automobile gli avevano dato qualche grattacapo.
“Ora ho valicato gli 80 ma il cervello funziona ancora e se posso servire a qualcosa, nella morta gora in cui vegetiamo…” (Umberto Fusaroli Casadei)
LINK SU FUSAROLI CASADEI
La notizia della morte, da Romagna Oggi
Licenza di uccidere
Lettera autobiografica inviata al quotidiano La Stampa nel 2006
Memoriale autografo scritto nel 2003