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La storia di Alessandro Alvarez e di un duplice omicidio per il quale non ci sono colpevoli
Ombre neofasciste per un doppio delitto
La faccia “nera” di Milano
Quando l’estrema destra si allea con la malavita organizzata
Il 15 dicembre scorso la Corte d’Assise di Monza, dopo sette ore di camera di consiglio, assolveva Alessandro Troccoli accusato di aver ucciso con tre colpi di pistola, il 3 marzo 2000, l’amico Alessandro Alvarez, uno studente di 25 anni appartenente all’estrema destra. Il delitto aveva suscitato grande clamore e riempito le cronache dei principali giornali milanesi. Una storia rimasta, per ora, senza verità e colpevoli, legata ad altri delitti, tutta interna al mondo del neofascismo milanese. Proviamo a ripercorrerla.
L’assassinio di Alessandro Alvarez
La sera del 3 marzo 2000 a Cologno Monzese, alle porte di Milano, poco prima di mezzanotte, in una strada poco illuminata e di scarso passaggio nella periferia industriale, tra due capannoni di una fabbrica ormai dismessa e ricoperta di graffiti, veniva ritrovato il corpo di Alessandro Alvarez, assassinato a colpi d’arma da fuoco. A terra nessun bossolo. L’ autopsia dal canto suo rilevava che il kiÌler probabilmente aveva impugnato una calibro 38 e che il giovane era stato colpito una volta al torace, quando era ancora in sella al suo scooter, e due volte alla testa mentre tentava di fuggire a piedi.
Subito si escludeva la pista politica, nonostante il nome di Alessandro Alvarez fosse noto da anni per la sua militanza nelle organizzazioni milanesi della destra più radicale.
Ma il colpo di scena arrivava quasi subito, l’8 marzo. Appena cinque giorni dopo l’assassinio, veniva fermato Alessandro Troccoli, 26 anni anch’esso di Cologno, ultrà milanista, già processato per rissa nell’ambito degli scontri che portarono all’uccisione del tifoso genoano Vincenzo Spagnolo, accoltellato il 29 gennaio del 1995, prima della partita di calcio Genoa-Milan. Troccoli alla fine, per quel fatto, aveva patteggiato una pena di un anno e otto mesi.
Sentito come amico della vittima, nelle sue prime dichiarazioni riferiva che quella sera Alvarez doveva incontrare Domenico Magnetta, 43 anni, una vecchia conoscenza nel mondo della estrema destra, arrestato nel luglio del 1995 come custode di un deposito di armi dei NAR e in seguito condannato a sette anni per banda ramata. Lo stesso Troccoli aveva gestito un borsone pieno di armi per conto sia di Alvarez che di Magnetta. Messo alle strette da un alibi di ferro che scagionava completamente Magnetta, Troccoli dichiarava a questo punto agli inquirenti di aver in realtà assistito all’omicidio. Aveva accompagnato Alvarez ad un incontro per trattare una partita di armi. Qui all’improvviso, nel buio della via, qualcuno aveva gridato “Alessandro”, il nome di entrambi, e l’amico si era girato. A sparare sarebbe stato uno slavo, descritto come mezzo calvo e con due baffetti. Troccoli a questo punto sarebbe fuggito impaurito.
Ma le analisi stabilirono che sul giubbotto, che Troccoli indossava, si erano depositate diverse tracce di polvere da sparo. In almeno dodici punti comparivano particelle di piombo, bario e antimonio. Anche Troccoli aveva dunque sparato. Non solo, era anche difficile credere che qualcuno potesse essere riuscito a fuggire dal vicolo dove era stata tesa la trappola, un budello strettissimo, senza essere colpito. Da teste Troccoli si trasformava in indagato e il gip, sulla base dei nuovi e1ementi, lo incriminava non solo per traffico di armi ma anche per 1’ assassinio dell’amico Alessandro Alvarez.
Prima dì essere scarcerato Domenico Magnetta, dal canto suo, aveva raccontato come proprio Alvarez e Troccoli, 20 giorni prima, fossero stati intimiditi a colpi di pistola da sconosciuti, nei pressi della fermata della metropolitana di Cascina Gobba. Un fatto importante che lasciava trasparire collegamenti e rapporti con ambienti della criminalità comune. Ma chi era Alessandro Alvarez, la vittima?
“Un buon camerata!”
Iscritto all’Università Cattolica di Milano, facoltà di Scienze Politiche, Alessandro Alvarez era in procinto di laurearsi. Dopo aver aderito nel 1995 al MSI-Fiamma Tricolore, l’ultima creatura di Pino Rauti, nata per scissione al momento della costituzione di Alleanza Nazionale, aveva dato vita con altri a Milano ad Alleanza Studentesca e frequentato il Fronte Nazionale di Tilgher. Proprio Adriano Tilgher, da sempre uomo di fiducia di Stefanio Delle Chiaie, aveva avuto modo di dichiarare alla stampa qualche giorno dopo l’omicidio: «Lo conoscevo: era un bravo camerata».
Ai funerali erano presenti almeno 300 giovani, provenienti da diverse parti d’Italia, oltre che molti dirigenti della estrema destra milanese. La bara, salutata con bracci tesi nel saluto romano, era stata ricoperta con una bandiera raffigurante una runa celtica nera su uno sfondo bianco e rosso. Alla fine, in cerchio attorno al feretro si era levato l’ultimo saluto: «Camerata Alessandro Alavarez: presente!»
Un cadavere carbonizzato
Solo poche settimane dopo l’assassinio di Alvarez, nella notte fra il 12 ed il 13 maggio, veniva rinvenuto a Milano nel bagagliaio di una Fiat Bravo, data alle fiamme a ridosso del muro di cinta del carcere minorile Cesare Beccarla, il cadavere carbonizzato di un ex-pugìle di 28 anni, Francesco Durante, originario di Lecco, ucciso come Alvarez con un colpo di pistola sparato alla nuca. Presto si appurava che Durante ed Alvarez avevano frequentato lo stesso ambiente politico, in particolare il Fronte Nazionale, e la stessa palestra, la “Doria” di via Mascagni, che per quanto si trovi allo stesso numero civico della sede dell’ANPI si è trasformata negli ultimi anni in uno dei luoghi di ritrovo abituali dell’estrema destra milanese. Non solo, Durante, indagato qualche anno prima per associazione a delinque re finalizzata all’immigrazione clandestina insieme ad una banda di albanesi, era stato più volte visto in compagnia di Magnetta. Ma, quel che più conta, il lunedì successivo a questo secondo delitto si presentava negli uffici della Digos milanese un amico di Alvarez invitando la polizia ad indagare sulle connessioni fra i due omicidi. «Ho paura – aveva detto -. L’esecuzione a colpi di pistola, in così poco tempo, di due per sone che frequentavano il nostro ambiente non sono episodi casuali. Sono assolutamente certo che Durante e Alvarez si conoscessero. Noi crediamo che esistano delle analogie che meritano un approfondimento. Potevamo stare zitti, ma così facendo non avremmo onorato la memoria dei due amici camerati. Ne abbiamo discusso a lungo fra noi».
L’accoltellamento di Davide Tinelli
Ma dietro la storia di questo duplice delitto ne rispunta un’altra, di qualche anno prima. La sera del 10 aprile del 1997 a Milano, sul Naviglio, – all’ingresso di un noto locale, il “Maya”, gestito dall’ex esponente dei NAR Pasquale Guaglianone (oggi anche istruttore di boxe francese alla palestra “Doria”) – e di un ex-terrorista nero del gruppo eversivo “La Fenice” di Milano, Nico Azzi, condannato per aver tentato il 7 aprile del 1973 di far deragliare con un attentato dinamitardo il treno Torino-Roma, venivano accoltellati il consigliere comunale di Rifondazione Comunista Davide Tinelli e due altri suoi compagni, intenti a distribuire volantini. Eravamo nei primi giorni della campagna elettorale per l’elezione del sindaco ed il rinnovo del Consiglio comunale.
La Digos identificava come autori dell’aggressione dieci giovani, alcuni militanti del MSI-Fiamma Tricolore, altri di Alleanza Nazionale, in parte ultrà milanisti, già coinvolti negli scontri a Genova che avevano portato all’omicidio di Vincenzo Spagnolo. Lo stesso episodio che aveva coinvolto Alessandro Troccoli. Alvarez non faceva parte del gruppo, ma fu lui a fornire l’alibi per alcuni degli indagati su cui si erano appuntate le principali attenzioni degli inquirenti. Nonostante le sue dichiarazioni venissero sbugiardate dalle indagini, l’inchiesta si arenò e venne clamorosamente archiviata. Tutti ne uscirono puliti.
Il processo ad Alessandro Troccoli
Nel processo per l’omicidio Alavarez, avviatosi all’inizio di maggio dello scorso anno, davanti la Corte d’Assise di Monza, emergevano elementi di grande interesse, ben oltre la stretta vicenda giudiziaria.
A fronte di un movente, secondo la tesi sostenuta dal pubblico ministero Antonio Tanga, estraneo alla politica, per quanto avvenuto sullo sfondo di un traffico di armi, e riconducibile unicamente a gelosie e rivalità fra i due ragazzi, più testimonianze aiutavano a squarciare molti veli. Nel gruppo di Alvarez e di Troccoli, in primo luogo, girava molta cocaina. Era lo stesso
Troccoli a procurarla. Il delitto, invece, era stato senza ombra di dubbio il regolamento di un “affare” interno. Di grande rilievo in questo senso la testimonianza di un dirigente della Digos, che aveva intercettato telefonate fra esponenti dell’estrema destra. Non solo, le argomentazioni dell’ avvocato di Troccoli non esitavano a ricondurre, in opposizione al Pm, proprio all’interno dell’ambito politico dell’estrema destra milanese l’individuazione delle ragioni, oltre che i responsabili del delitto.
Una strana “dialettica processuale”: il Pm parlava di contrasti tra persone all’origine dell’assassinio e la difesa dell’imputato invece di “omicidio politico”.
L’assoluzione di Troccoli, per insufficienza di prove (secondo comma dell’ar ticolo 530 del Codice di Procedura Penale ) ha comunque per il momento chiuso il capitolo.
Tra malavita e militanza politica
Questa vicenda, in conclusione, così concatenata ad altre, ha certamente contribuito a gettare uno squarcio di luce sul mondo dell’estrema destra milanese, sui suoi rapporti con la criminalità comune e sui suoi traffici illegali, sulla sua dedizione alle armi e alla cocaina, oltre che sui suoi abituali luoghi di ritrovo ed i legami, mai venuti meno, con le vecchie figure dello stragismo nero. Non è una novità assoluta. Già nel passato del neofascismo milanese i rapporti con la malavita organizzata avevano contraddistinto la storia e le vicende personali di molti e noti esponenti, da Gianluigi Radice (che fu anche segretario del Fronte della Gioventù) a Biagio Pittaresi, da Vittorio Loi (autore del lancio della bomba a mano che uccise a Milano l’agente di polizia Antonio Marino il 12 aprile del 1973) a Marino Mario, a Rodolfo Crovace, detto “Mammarosa”, solo per citarne alcuni. Il fatto è che tutto ciò avviene oggi, con figure che appaiono trasversali a tutti i raggruppamenti, arrivando fin dentro le stesse fila del partito di Alleanza Nazionale. Uno sfondo inquietante. Nel frattempo gli investigatori brancolano nel buio circa il delitto di Francesco Durante ed il Fronte Nazionale, subito dopo i due delitti, ha pensato bene di sciogliersi. Al posto della sua sede storica, in Via Legnone, un “circolo culturale” dedito all’antisemitismo più spinto. Le facce, sempre le stesse.
Saverio Ferrari
Milano, 8 febbraio 2002
da “Avvenimenti”