Dopo lunga riflessione siamo giunti alla decisione di intraprendere questa nuova iniziativa editoriale, rivolta ai compagni e alle compagne nell’area del bolognese.
“Nuèter”, traduzione bolognese di quel “Nosotros” che già un tempo indicò quelli che colpo su colpo lottarono contro governo e padroni, con l’idea di un mondo nuovo nel cuore. Siamo studenti e studentesse, stagisti, commessi, ricercatori e operaie, ovviamente precari e precarie.
Con questo foglio di agitazione vogliamo dare voce e riferimento a tutte e tutti quei compagni che a Bologna e nell’area circostante agiscono nell’ottica di un cambiamento radicale dell’esistente. Uno spazio libero che possa contribuire positivamente allo sviluppo del dibattito tra i compagni, che ci dia la possibilità di esporre organicamente la nostra analisi dell’esistente, che aggreghi le molte individualità attraverso un’opera di sistematica controinformazione sui fatti del nostro territorio.
Guerre neo-coloniali, guerra interna nei confronti della classe lavoratrice e di chi si ribella, un regime reazionario che sta dimostrando di non avere remore ad utilizzare tutte le armi a sua disposizione per mantenere lo status quo all’interno del paese.
La situazione che ci troviamo attorno è desolante.
La propaganda patriottarda ci propina attraverso i suoi media ogni giorno, le eroiche azioni delle forze dell’ordine sul fronte interno e di quelle armate sul fronte esterno. Sappiamo bene che queste forze non sono poste a difesa degli interessi degli sfruttati. La loro funzione è chiara: la difesa dell’interesse dei potenti. Le stragi di cui ogni giorno ci giunge notizia dal nord africa sono solo il risultato ultimo di due secoli di politiche coloniali occidentali, non ci stupisce del resto che qualcuno possa esigere “qualche migliaio di morti per potersi sedere al tavolo della pace”.
Contemporaneamente in Italia procede inesorabile la guerra nei confronti delle classi subalterne. Decine di migliaia di posti di lavoro sono stati “sacrificati”, con la gravissima complicità dei sindacati istituzionali, in nome di una ripresa di cui non si vede traccia.
La crisi economica che, lungi dall’essere terminata, si fa sentire con sempre più insistenza nella vita di tutti i giorni è frutto di una scelta ben precisa dei padroni: riempire il più possibile le loro casse affamando chi ha poco o nulla. L’esercito di precarie e precari, studentesse e studenti, giovani senza futuro si ingrossa sempre più, giorno dopo giorno, mentre chi ci vorrebbe distratti continua a riempire gli schermi di talk-show, imponendo modelli estetici femminili nel misero tentativo di mostrare un paese di plastica da proteggere con pacchetti sicurezza razzisti e xenofobi.
La discriminazione nei confronti delle minoranze è ormai diventata la regola; la figura del migrante è sfruttata in maniera duplice: da una parte, strumento di chi, attraverso la paura e il sospetto, intende fare man bassa di voti e imporre politiche securitarie sempre più repressive, dall’altra soggetto altamente ricattabile utilizzato come forza lavoro a basso costo.
Sicurezza e lavoro non sono due concetti neutri quando a pagarne le conseguenze sono in particolar modo le donne. Stupri, molestie, morti di donne per mano maschile sono all’ordine del giorno con dati allarmanti. La violenza di genere è strumentalizzata a fini razzisti dalla stampa nazionale; è sempre lo straniero ad essere demonizzato o accusato per aver violato una “donna italiana” quando è noto che la maggior parte delle violenze avvengono all’interno della famiglia tradizionale. Costrette a rincorrere lavori saltuari e insicuri, l’unica certezza per tantissime donne rimane il lavoro domestico non riconosciuto, la maternità nel precariato diventa una condanna. In questo quadro i diktat sui comportamenti femminile continuano proponendo donne dignitose al servizio della nazione. Donne molestate, addomesticate e sfruttate: la base per evitare ogni tipo di stravolgimento sociale.
Siamo coscienti dell’enorme complessità e varietà dei problemi che si presentano a noi per essere risolti. Siamo ugualmente coscienti di come un cambiamento reale e sostanziale dell’esistente possa nascere solo dall’autorganizzazione degli sfruttati stessi, al di fuori dell’egemonia di questo o quel partito o gruppuscolo autoritario, senza capi né deleghe.