Genova - Produci consuma crepa - dio stato famiglia

Quale modo migliore per spegnere in noi qualsiasi immaginazione e desiderio di un modo diverso di vivere che assuefarci alla noia di percorsi sempre uguali per le strade della nostra esistenza? I detenuti delle carceri sanno che la forma di repressione più spietata è l’isolamento, l’annullamento della persona nella negazione del rapporto con gli altri; cosa sono le città d’oggi se non il tentativo in grande di impedirci di autocostruire e autogestire delle esperienze in comune, di ridurci a essere spettatori della nostra vita? In potenza, le città sono gli scenari in cui l’incontro con sconosciuti è alla base della capacità dell’invenzione del futuro. Eliminando le possibilità di relazione, vogliono invece ridurci a atomi, docili e rassegnati, con i riflessi condizionati dagli abbagli della merce e dagli obblighi del dover essere. Il dominio organizza in modo capillare la nostra vita quotidiana; per opporsi occorre rilanciare quelle forme di vita che, in quanto ancora umane, negano la sua logica: uscire di casa e fuggire dai luoghi del consumo precofenzionato, disertare convenzioni e abitudini, prendersi del tempo, boicottare i divieti assurdi, scritti e non scritti.
Nel frattempo un po’ di voglia di agire viene dalla recente scomparsa di Piero Gambacciani, uno dei peggiori esponenti locali di quella banda internazionale di “ingegneri dell’anima” che organizzano materialmente la miseria emotiva della nostra vita.
Laureatosi in architettura a Genova nel 1941, Gambacciani nel 1943 si arruolò tra i fascisti della Repubblica di Salò, rifiutandosi di arrendersi alla fine della guerra. Sfuggito alla fucilazione da parte dei partigiani e opportunisticamente rinnegato il suo passato, si è dedicato alla carriera di architetto, progettando (per le amministrazioni di sinistra degli anni settanta-ottanta) alcuni dei peggiori luoghi di Genova: la Diga di Begato, Corte Lambruschini, Quarto alto: tonnellate di cemento e alienazione per indurire la nostra anima, per abituarci alla paura e alla rassegnazione.
Un nemico della libertà è scomparso; restano da cancellare i luoghi e le atmosfere che quelli come lui continuano a costruire per rendere la nostra vita sempre più triste; bisogna inventare un altro sentimento del tempo e dello spazio per riappropriarci di noi stessi.

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Mer, 26/11/2008 – 16:03
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