Riflessioni e comunicati sul 15 ottobre [Ancora nuovi comunicati]

Di seguito pubblichiamo alcune riflessioni pervenuteci sulla giornata del 15 ottobre.

vedi anche: seconda raccolta di comunicati sul 15 ottobre



COMUNICATO SUL 15 OTTOBRE E SU QUELLO CHE E' SEGUITO

Si scatena la gogna mediatica. E non ci stupisce.

Il perbenismo pacificatore si dissocia, punta il dito e si rende complice dell’ennesima persecuzione degli apparati polizieschi e giudiziari. Non ci piace.

Quelle che in molti continuano a chiamare come le mele marce della manifestazione del 15 ottobre, ai nostri occhi appaiono come i frutti di una rabbia diffusa, di un malcontento sociale che si estende. E’ questione di punti di vista.

C’è chi continua a parlare del futuro dei più giovani, di generazioni destinate a non poterlo costruire, perché private dei “diritti fondamentali” come il lavoro. Per noi sfruttamento e oppressione, attraverso il lavoro salariato, sono sempre state le condizioni costanti del dominio: le combattiamo qui e ora, senza aspettare.

Siamo “un po’ stufi” di sentire solamente la lagna dell’indignazione, della crisi globale fatta pagare sulle popolazioni di tutto il mondo, delle condizioni di vita precarie, delle responsabilità delle banche e dei mercati finanziari, senza fare qualcosa che metta in discussione la totalità di questo sistema.

Perché in fondo, da una parte all’altra che si trovi, è una questione di paura.

E il 15 Ottobre, di paura, ne ha fatta: ha fatto paura alla classe politica, perché una folla di persone si è riversata nelle strade per dire che sono le banche, gli istituti finanziari e gli imprenditori i veri artefici di questa crisi fatta pesare sulle popolazioni del mondo, perché c’è stata un’esplosione incontrollabile di rabbia, controversa ed istintiva, impaziente, a volte incosciente, come è tipico dell’irruenza di chi porta dentro qualcosa che brucia; ha fatto paura a chi, anche dentro quella manifestazione, ha provato a cavalcare l’onda per il proprio tornaconto, agognando una comoda poltrona in qualche stanza del potere o perché mossa da un freddo calcolo di interesse politico; ai padroni probabilmente ha messo qualche pulce nell’orecchio, che, ci auguriamo, cominci il prima possibile a far sanguinare.

Se infatti le strade si agitano e diventano terreno di ribellione, quando una valle insorge, resiste da 20 anni e attraverso la lotta diffonde l’idea di un reale cambiamento, a tal punto che in molti parti d’Italia le popolazioni cominciano a opporsi alle nocività del capitale, quando i lavoratori cominciano ad incrociare le braccia, a rompere le catene del loro sfruttamento e a occupare le strade e le stazioni, quando i migranti rinchiusi dentro un Cie evadono, quando le persone si organizzano e dal basso cominciano a riprendersi le proprie libertà e ciò di cui hanno bisogno…allora si, che la paura cambia di campo.

Se televisioni e giornali sguinzagliano i loro sciacalli e non parlano d’altro che di violenti e teppisti, se il black-bloc è il demone da creare per dar seguito all’inquisizione, se in un coro bipartisan si rispolvera una Legge Reale per attuare nuove misure repressive, se Maroni e i suoi alleati di governo invocano garanzie patrimoniali per l’autorizzazione di cortei e invitano all’allerta in Val di Susa (quanto scotta l’idea di quanti siano i solidali dal nord al sud dell’Italia al fianco dei valligiani!), è perché sanno che per loro può tirare una brutta aria, da arginare il prima possibile con una buona dose di menzogne e altrettanta di terrore. A tutti coloro che portano nel cuore un mondo libero da oppressione e sfruttamento, sta il coraggio di continuare a soffiare più forte.

La vera violenza è quella di coloro che ogni giorno vorrebbero schiacciare nell’indifferenza, nella solitudine e nella rassegnazione le nostre vite; chi ha compiuto brutalità nei riguardi dei manifestanti il 15 ottobre sono le stesse guardie al servizio dei potenti e a tutela dei loro interessi: in tutto questo chi invita o si rende promotore di gesti delatori e collaborazionisti come quello di andare a portare materiale video e fotografico alle forze dell’ordine, per agevolare la repressione di chi si è ribellato, chi prende le distanze e si dissocia, non sta capendo niente e deve essere il primo a darsi una rinfrescata alle idee. Al contrario di chi rema nella direzione dell'inquisizione, pensiamo sia indispensabile non lasciare soli i ragazzi e le ragazze che sono state arrestati durante la manifestazione, far sentire loro la nostra vicinanza e la nostra solidarietà.

Il 15 ottobre è stata UNA giornata, animata e vissuta da una marea di individui e realtà anche molto diversi tra loro. Ormai conclusa e da lasciarsi alle spalle, non per il carico di menzogne che si stanno montando o di “veleni” che si sta  portando dietro, ma perché è necessario guardare avanti, pensare a tutti gli altri giorni che verranno. I quartieri, le strade, i luoghi di frequentazione quotidiana; i bisogni, le tensioni e le libertà da conquistare: se “una folla di uomini e donne che fuggono, è una folla di uomini e donne soli”, nelle relazioni umane e nell’autorganizzazione, orizzontale e senza leader, è necessario trovare quella complicità sociale, che ci faccia correre, il prima possibile, tutti e tutte insieme, dall’altra parte.


Per i compagni e le compagne che si sono dovuti svegliare presto lunedì 17, a causa di qualche “maleducato” che non rispetta il riposo altrui, per i ragazzi e le ragazze rinchiusi ancora dentro i carceri di Regina Coeli e Rebibbia, per chi è stato ferito durante il corteo, per tutti gli spazi occupati, collettivi, situazioni e tutte le individualità, che in questi giorni sono stati oggetto di una becera caccia alle streghe su giornali e tv: un abbraccio grande e tutta la nostra solidarietà, non siamo soli/e.

L38 Squat
… che nonostante tutto, in questo momento gode di buona salute…





A QUALCUNO PIACE CALDO

Il 15 ottobre a Roma si è tenuto un corteo nazionale contro le nuove manovre finanziarie del governo, contro le nuove misure di austerità decise per far fronte allo spettro ormai consunto della crisi. In pratica si è scesi in piazza per rispondere alla minaccia di un' ennesima stagione di lacrime e sangue a danno dei poveri, sempre costretti a tirare la cinghia, sostenendo rinunce e sfruttamento quotidiani in un mondo pieno di merci e retto dagli interessi dei pochi che possono permettersi di consumarle.
Per gli organizzatori, il carrozzone sinistro dei cittadinisti e degli “indignati” nostrani, doveva essere una marcia pacifica, una passeggiata vivace ma rispettosa per “dire la propria”, per testimoniare timidamente e dentro i ranghi il brusio innocuo delle opinioni. Un pacchetto già pronto, un film già visto e dall'esito prevedibile, tutto negli equilibri di una normalità ben gestita. Il gioco delle parti tra il potere e i recuperatori della rabbia fa macinare il deserto della democrazia reale, soffocando lo scatenarsi delle passioni ostili. 
Ma il teatrino questa volta non ha avuto luogo, la sfilata si è infranta con le prime vetrine e lo spettacolo è sfumato tra le nubi di lacrimogeni e la pioggia di pietre.
In via Cavour risuona un ritmo caotico di bancomat e negozi distrutti, un market saccheggiato e le auto in pezzi, cioè l'esprimersi di una furia che solo a tratti prende bene la mira.
Organizzarsi per colpire le banche e la provocazione del lusso è il primo passo per invadere le strade, per abbattere uno a uno i luoghi fisici del nostro sfruttamento. Sapere come e quando farlo è una questione di tempi, spazio e modi tutti da imparare nella pratica: incendiare una macchina per fare una barricata è diverso che farlo nel mezzo di un corteo, mettendo in pericolo il resto dei manifestanti e chi abita nel palazzo di fronte, allontanando inoltre molti possibili complici. Il cappuccio nero e il casco sono accessori utili per proteggersi e rimanere anonimi, non una divisa da esibire. Lasciamo la logica dei blocchi militari alle colonne dei giornali di regime e alle veline delle questure, noi siamo proletari incazzati.    
Oggi l'odio verso i padroni e la polizia non è l'esclusiva di sette militanti logorate da anni di isolamento e ricerca del purismo, ma una realtà che entra con prepotenza nelle vita di tantissimi.
Il 14 dicembre a Roma, le battaglie valsusine contro i cantieri del Tav, le rivolte in Grecia e gli espropri di massa a Londra ci dicono qualcosa sulla temperatura sociale del presente in cui viviamo, su quanto la sopportazione sia passata di moda. Che cazzo ce ne frega di gesti dimostrativi e allusioni alla rivolta? Quando finalmente un lunghissimo inverno di pacificazione sembra tirare le cuoia, la ribellione non passa per i simboli, per quanto più belli ed evocativi degli zombi della politica, ma per azioni e strumenti pratici efficaci. Le identità e i feticci ideologici attecchiscono  proprio per l'assenza storica dell'insurrezione, mentre oggi coglierne la possibilità significa assumersi la responsabilità di puntare ben più in alto.
La battaglia di piazza San Giovanni è stata un' occasione per misurarsi con la forza della polizia, dove la giornata ha ripreso il suo respiro di massa. Ad affrontare le cariche c'era davvero gente di ogni tipo ed età, molti a volto scoperto e alla prima esperienza di piazza...niente di preordinato e deciso. Il momento più forte ed esplosivo della manifestazione, quello che ha fatto saltare tutti i piani e scaldato davvero l'aria e gli animi, ha visto come sola protagonista la determinazione a prendersi una piazza e difenderla, la collera diffusa e senza controllo. C'è tanto da imparare da questa dimostrazione di coraggio, da parte soprattutto di ragazzi stanchi e senza bandiere, simili a molti loro coetanei  di molte altre città del mondo. Ma quali Black Bloc? Istinto, intelligenza pratica e corrispondenza improvvisa di intenti : assaltare un blindato, rilanciare i lacrimogeni e caricare la polizia. Il grido è Roma Libera. La teppa sa fare da sola.
Organizzazione per bande, affinità di esperienze e amicizie, obbiettivi precisi e agilità sono caratteristiche comuni che ci rendono opachi allo sguardo del nemico. Lo scenario di guerra civile   che echeggia da molte parti del mondo, ha infranto l'immagine sbiadita della protesta spagnola... il partito dei cittadini ha perso. Molto più forte è il richiamo della rivolta. Non si torna più indietro... Vaffanculo!


Asilo occupato in via Alessandria 12
Torino 19-10-11

Prove tecniche

Sabato 15 ottobre doveva essere la giornata mondiale dell'indignazione.
In tutto il globo erano previste centinaia di manifestazioni per protestare contro un sistema sociale che non sembra essere più in grado nemmeno di garantire una qualche sopravvivenza in cambio dell'obbedienza. Per questo, a Roma, si erano dati appuntamento tutti gli orfani piagnucolanti di una Democrazia tradita, di una Costituzione calpestata, di un Diritto negato.
Prima volevano puntare pomposamente sui palazzi del Potere per assediarli, poi hanno capitolato al ricatto questurino e accettato di dirigersi verso la periferia pur di autorappresentarsi.
Ma questa manifestazione nata triste non si è svolta come auspicato dai suoi organizzatori. Lungo il percorso ciò che esprimeva il privilegio della ricchezza e l'arroganza dell'autorità ha attirato la rabbia di chi è stanco di marciare e marcire, e si è organizzato per passare dalle parole ai fatti. In frantumi le vetrate delle banche e delle agenzie interinali, in fiamme l'edificio che ospita il tribunale militare del Ministero della Difesa. L'aria si è surriscaldata a tal punto che, al posto del rituale comizio alla fine di una tranquilla passeggiata, in piazza San Giovanni si sono sviluppati violenti scontri con le forze dell'ordine cui hanno preso parte alcune migliaia di manifestanti. Persone comuni, non solo teste calde giunte preparate e determinate allo scontro, ma donne e uomini che si sono battuti con tutto ciò che si sono ritrovati per le mani, anche a volto scoperto, contro una sbirraglia inferocita.
Quei disordini erano previsti da tutti, annunciati da settimane, promessi da diversi, auspicati da tanti. Com'era ovvio, sono scoppiati. Fanno solo ridere i sinistri ammiratori delle sommosse altrui, delle rivolte altrove, lesti ad inchinarsi davanti alla Magna Grecia in fiamme oppure a citare un ex presidente della Camera in pensione secondo cui è finalmente giunta l'ora della rivolta (!?), che oggi deplorano quanto avvenuto nella loro miserabile Itaglietta. Questi poveri di spirito e di passioni non riescono a capacitarsi che di fronte a un mondo in decomposizione, dove Stato e Mercato fanno a gara fra chi strazia più vite umane, ci possa essere chi non intende limitarsi ad una platonica espressione di dissenso. Privati del palcoscenico politico che avevano prenotato, hanno reagito com'è loro consuetudine. Come dieci anni fa a Genova, le forze politiche che mirano a farsi costituenti (interlocutrici di uno Stato che vorrebbero rinnovare) si sono distinte per i loro metodi talmente polizieschi da venir sconfessati persino da loro militanti. E per il futuro già annunciano il ritorno dei katanga (qualcuno ancora li ricorda negli anni 70, quando imperversavano alla Statale di Milano a caccia di incontrollabili non allineati), di robusti servizi d'ordine atti ad impedire che qualcuno possa uscire da percorsi prestabiliti ed imposti. Non volendo usarli contro i tutori dell'ordine infame, useranno i loro bastoni (o i loro caschi?) contro chi vuole metterlo a soqquadro. Una scelta di parte, senza dubbio.
Due giorni dopo è scattata la caccia all'anarchico, al «black bloc», al nerovestito. Polizia e carabinieri hanno effettuato un centinaio di perquisizioni in tutta Italia, in ambienti anarchici ma non solo, alla ricerca di abiti scuri e maschere antigas (il «kit del guerrigliero», lo chiamano). Il ministro Maroni, con il plauso del paladino della sinistra opposizione giustizialista Di Pietro, ha annunciato nuove leggi speciali che ridurranno notevolmente la possibilità di manifestare. Mentre la rete è invasa da immagini messe a disposizione degli inquirenti da parte di "onesti" cittadini al fine di identificare i «violenti».
È delazione di massa, la delazione di una massa talmente critica da ritenere che l'invocata trasformazione sociale radicale avverrà per illuminazione, come risultato di una raccolta firme, di un accampamento, di una consultazione elettorale, di una decisione assembleare, di un accordo politico azzeccato.
Sono prove tecniche di agitazione e di prevenzione. Ma sono prove i cui risultati producono e produrranno effetti da prendere in considerazione, senza crogiolarsi in un ebbro compiacimento. Quali possibilità offrono le manifestazioni oceaniche, dove al controllo della videosorveglianza va aggiunta la presenza dei cittadini-poliziotto? Possono essere accompagnate, precedute o seguite, da qualcosa d'altro che prepari, rafforzi e prolunghi il fermento? Oppure è meglio evitarle per dedicarsi ad altre pratiche? E quali, dove, quando? Come è possibile cercare di far convivere ciò che è inconciliabile, le intenzioni sovversive di chi vorrebbe porre fine a questo mondo con le preoccupazioni riformiste di chi vorrebbe curarlo? Che senso ha giocare di sponda, in un reciproco rapporto strumentale, con chi potrebbe in qualsiasi momento diventare un delatore?
Non sono domande che richiedono una risposta definitiva – impossibile! –, ma solo alcuni degli interrogativi non più rinviabili, che cercano e necessitano di un dibattito.

tratto da finimondo.org




Comunicato dell'Assemblea contro la Repressione(Roma) sui fatti del 15 Ottobre 2011


18/10/2011

LA LOTTA E' RESISTENZA, LA LIBERTA' NON HA PREZZO!

In questi giorni di confusione politica e mediatica, in seguito alla giornata di lotta del 15 ottobre, dove la rabbia e l'indignazione si sono espresse realmente ed in maniera determinata, ci stringiamo intorno alle compagne ed ai compagni arrestati ed a tutti coloro che hanno subito fermi e perquisizioni.
Non è tempo di cadere nelle trappole dei media che vorrebbero a tutti i costi dividerci fra buoni e cattivi, fra pacifisti e teppisti, mentre una massa critica inizia a prendere coscienza e ad incanalare verso il conflitto diffuso un processo rivoluzionario che è in atto fra gli strati di popolazione sfruttati.
Il 15 Ottobre doveva essere una giornata di lotta e lo è stata nonostante in molti vorrebbero sminuire la situazione come se si trattasse di avvenimenti isolati di una minoranza. La realtà è che migliaia e migliaia di giovani hanno espresso in maniera radicale quella rabbia sociale repressa da un Sistema ingiusto e criminale, la realtà è che anche questa volta , come il 14 Dicembre dello scorso anno, la resistenza alle cariche indiscrimate della sbirraglia è stata forte e di massa.
Ecco perchè ci dissociamo da tutti quei moralisti che si sono dimenticati delle violenze, degli abusi e delle ingiustizie che quotidianamente accompagnano l'operato delle FdO, accusando di teppismo e violenza le generazioni di ribelli e rivoluzionari che combattono questo Sistema.
Al contempo ci dissociamo ed invitiamo ad isolare quanti vanno accodandosi alla criminalizzazione dell'indignazione e della rabbia che il 15 Ottobre ha trovato sfogo ed espressione andando fuori dai recinti della legalità e delle compatibilità con l'esistente. Quelle banche, quelle agenzie interinali, quei blindati, quegli idranti cui migliaia di persone, lavoratori, precari, studenti, immigrati si sono contrapposti con coraggio, determinazione e rabbia sono i simboli della vera violenza che domina oggi il nostro paese. La violenza di chi uccide per profitto 4 lavoratori ogni giorno, la violenza di chi per profitto condanna milioni di persone ad un futuro di precarietà e insicurezza sociale, la violenza di chi distrugge l'ambiente e i territori per moltiplicare i profitti di pochi straricchi, la violenza di chi per i propri profitti chiude ospedali e servizi pubblici per finanziare i bombardieri che oggi in Libia ieri altrove e domani altrove ancora terrorizzano genti inermi.
Sabato 15 Ottobre migliaia e migliaia di persone hanno scelto questa giornata per ripagare la violenza dell'oppressore con la sua stessa moneta: sarà illegale ma è legittimo!
In questo quadro della situazione inorridiamo a sentir parlare di "compagni" che hanno assicurato alla giustizia dei fantomatici violenti e ribadiamo con forza che nessuno mai potrà imprigionare l'impeto della tempesta. Quando c'é un ordine sociale ingiusto, il disordine é un primo passo per creare un ordine sociale giusto.
La rivoluzione è un fuoco che scalda i nostri cuori e raggela quello dei benpensanti.

RESPINGIAMO LA CRIMINALIZZAZIONE E LA CAMPAGNA REPRESSIVA!
RESPINGIAMO LE LEGGI SPECIALI!
ORGANIZZIAMO LA SOLIDARIETA' AI TUTTI I COMPAGNI FERMATI, ARRESTATI E PERQUISITI PER I FATTI DEL 15 OTTOBRE!
LIBERTA' PER TUTT*

Per contatti: assemblea.norepressione@gmail.com





“TUTTI A DIRE DELLA RABBIA DEL FIUME IN PIENA E NESSUNO DELLA VIOLENZA DEGLI ARGINI CHE LO COSTRINGONO”


La citazione di Bertold Brecht ci sembra adatta, in questo momento, quando tutti i politicanti e i media servili si uniscono in un coro unanime di sdegno per gli episodi di Roma. Ma chi ci viene a parlare di “violenza”??!! Gli stessi che tutti i giorni votano manovre antipopolari, assoggettandosi al volere delle banche e facendoci pagare la crisi e il debito prodotti proprio da quella “finanza creativa” che continua a privatizzare per sé i profitti e, quando va male, a nazionalizzare le perdite. Infatti a pagare questa crisi sono ancora una volta i proletari che vedono i loro diritti sempre più calpestati: istruzione e sanità pubbliche sempre più scadenti, insicurezza e sfruttamento sul lavoro, ricattabilità, disoccupazione, mentre le guerre d’aggressione continuano ad essere massicciamente finanziate da oltre un decennio, seminando morte, malattie e distruzione.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una generalizzazione diffusa della lotta come strumento di protesta e ad una sua radicalizzazione, seppure in modi e con metodi diversi in molti hanno cercato di rompere i legami con il vecchio schema della rappresentanza istituzionale e in alcuni casi di mettere in discussione la compatibilità con questo sistema.

Per citare alcuni casi; c’è stata l’occupazione della stazione di Genova da parte degli operai Fincantieri in sciopero, gli operai della Iribus che hanno manifestato sotto Montecitorio ricevendo cariche e manganellate e i disoccupati di Brindisi che hanno pagato con l’arresto le loro lotte per essere assunti nell’azienda municipale di raccolta dei rifiuti e ancora i precari che hanno occupato l’ufficio pignoramenti a Bologna e gli studenti che hanno sanzionato la Goldman Sachs a Milano.

Anche a partire da queste situazioni di rottura ha preso corpo la mobilitazione del 15 Ottobre a Roma.


Ma gli autoproclamatisi organizzatori del corteo, nonostante gran parte del movimento avesse espresso la chiara volontà di assediare i palazzi del potere, hanno cercato di imporre il loro solito comizio elettorale in una piazza periferica e oggi dopo l’inevitabile quanto prevedibile esplosione di rabbia si stracciano le vesti e invocano la repressione dello stato. Forse non capiscono o fanno finta di non capire che non possono certo bastare draghi di carta e ballerine a rappresentare la rabbia di migliaia di lavoratori e lavoratrici, studenti, precari e disoccupati che ogni giorno non sanno come fare ad arrivare a fine mese. Non riusciamo a capire come si possa plaudire alle rivolte del mondo arabo e urlare al complotto, inorridendo davanti a un cassonetto bruciato. Come si fa a non capire che queste lotte non sono diverse tra loro, poiché c’è un filo conduttore che le unisce dall’Europa, al Nord Africa, passando per il Sud America fino agli Usa stessi: la resistenza delle masse alla crisi del sistema economico capitalista!


Oggi media e politici di ogni schieramento si affannano a demonizzare la manifestazione, concentrando l’attenzione sulle devastazioni, propinando la solita litania dei black bloc infiltrati, anarco-fascisti, poliziotti travestiti da manifestanti ecc …

Questo espediente è necessario per fomentare le divisioni e per non ammettere che ad aver resistito per ore alle cariche della polizia, c’erano migliaia di persone, non rappresentate da nessuna forza partitica istituzionale, ed è stato in questo contesto che molti ragazzi giovanissimi, estranei a strutture di movimento e a situazioni organizzate hanno trovato lo spazio per determinarsi ed essere protagonisti.

Coloro che cercano l’”infiltrato” da demonizzare non comprendono (e forse non vivono..) la gravità dell’attuale condizione sociale di centinaia di migliaia di persone, così finiscono col diventare i poliziotti di se stessi e fare il gioco del potere.

In coppia con l’infamante campagna mediatica è arrivata anche la maxi operazione repressiva dello stato: Sono stati confermati gli arresti per i 12 compagni fermati sabato e all’alba di questa mattina sono scattate centinaia di perquisizioni in tutta Italia, impiegando decine di agenti che sono entrati anche nelle case di alcuni compagni/e padovani alla ricerca di presunte “armi e munizioni”, usando l’articolo 41 TULPS che non prevede alcun mandato.

Esprimiamo tutta la nostra solidarietà militante nei confronti dei compagni arrestati, di cui alcuni sono minorenni, e a tutti coloro che sono stati perquisiti questa mattina.

La repressione non ci deve far paura né ci deve fermare, perché questa è espressione della debolezza dei padroni e dei governanti di turno che agitano lo spauracchio dei black bloc per esorcizzare il conflitto di classe che sta montando in Italia.

Ed è proprio da questo conflitto che ha attraversato le manifestazioni operaie e studentesche, le marce e le barricate della Val Susa, le mobilitazioni contro il nucleare e per l’acqua pubblica, che bisogna ripartire. Per dare forza alle lotte future diventa sempre più importante saper costruire momenti di discussione, confronto e autorganizzazione, perché non ci può bastare un governo diverso, vogliamo una società diversa senza classi, sfruttamento e guerra.

Se non state attenti i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono.    (Malcom X)

i compagni e le compagne di Padova





Leoni e pecore

da Ecoanarcoindividualisti - Pisa

In quella giungla che è la vita moderna, si incontrano solitamente due razze ben distinte,con comportamenti socioculturali differenti: c’è chi assorbe passivamente la realtà, lasciando che altri definiscano i concetti nei quali credere, per i quali lottare, lasciando scegliere ad altri anche la maniera con cui dimostrare gioia e meraviglia, rabbia, odio o dolore; alcuni invece quotidianamente sperimentano il mondo, avventurandosi, coraggiosi e intrepidi, nei suoi labirinti logici, nelle assurdità delle manifestazioni collettive moderne, gente capace di vedere il mondo con le sue bellezze da preservare e le nefandezze da ingurgitare.

In Italia non c’è mai stata una rivoluzione perchè è più simile ad un’ovile che ad una giungla. RE-agire con vigore ad un sistema di dominio globale è il minimo che ci si può aspettare da chi voglia cambiare veramente le cose, considerando che, armi escluse, noi saremmo il 99%, escluse le pecore. Dovremmo mangiarceli in un sol boccone, con la voracità della iena col bufalo, e invece siamo qui ad inghiottire le solite tre linee di acqua, condite da uno sfolgorante psicofarmaco.

Belati di pecore che si accodano all’uscio dell’ovile in attesa della razione quotidiana di serenità; un macrosistema capitalistico accentratore che oltre a lasciarci nella povertà materiale e intellettuale più assoluta, distrugge i capitali e le opere d’arte della natura tutta, unico nostro vero Dio; l’annichilimento devastante di qualunque emozione sia davvero viva, umana, degna di essere chiamata tale, al fine di renderci tutti uguali, addomesticabili da un bel manganello, facili da ingabbiare nei recinti di questo grande carcere che è ora il mondo: queste sono le cose da combattere, dedicando la vita ad esse, nel caso si voglia. La violenza sono le 40 guerre in giro per il mondo che uccidono milioni di inermi per i profitti di poche decine di individui; violento è l’indiscriminato sacrilegio dell’individuo umano, animale e vegetale, bombardato di buste di plastica e panini del mac, oltre che di missili e bombe nucleari; Violento è l’atteggiamnento di chi spera che tutto ciò cambi con una passeggiata di sabato a Roma , rovinata da chi di dinamismo se ne intende . La violenza non è una vetrina rotta o una macchina bruciata .

Ecoanarcoindividualisti - Pisa






L’Italia nel mediterraneo

da Diego Negri - Bologna Prende Casa

La giornata del 15, la sua preparazione, le sue mille differenziazioni, con i diversi uffici stampa, percorsi, iniziative, con il numero delle bandiere, con le riunioni interminabili, con le scalette per gli interventi, si è risolta immediatamente dentro la battaglia di piazza San Giovanni, dove in modo anonimo, una parte di quella generazione precaria ha manifestato in modo diretto la sua indignazione al presente, rompendo ogni schema.

Stanno già vomitandoci addosso, analisi sociologiche, gare alla dissociazione o critiche a se si fosse fatto in questo modo o nell’altro…

E’ divertente leggere la quantità di termini con cui sono stati appellati i ragazzi di piazza san giovanni: teppisti, criminali, black bloc, terroristi, ecc… ma la lista potrebbe essere molto più lunga, come sempre si parla di tutto per non parlare di nulla.

Sta succedendo una cosa semplicissima, esiste ormai da diverso tempo una porzione sociale in questo paese che è di fatto esclusa da ogni meccanismo, sociale, politico, partecipativo. Si parla molto di precarietà, ma chi deve cambiare un lavoro ogni settimana, chi effettivamente non riesce ad arrivare alla fine del mese, chi è costretto a dover vivere sul sistema di credito delle precedenti generazioni, chi vive ogni giorno sulla propria pelle l’autorità del controllo poliziesco, oggi ha come unico mezzo, la rottura degli schemi, perché non ha collocazione. Dove dibattiti su violenza-non violenza, sinistra-destra (in un sistema bipolare dove gli interessi sono i medesimi), appaiono come vecchi arnesi da museo della storia.

Non è l’affermazione di una programma, ma è semplicemente reazione ad una situazione data.

Dove non vi è programma e neppure organizzazione, ma è semplicemente movimento dinamico, non fatto di assemblee, di determinati codici linguistici, di ripartizioni al Cencelli come micro parlamentini, è movimento con la m minuscola. E’ una fiammata, ma è sicuramente un calore che l’Italia non provava da diverso tempo. Un altro elemento importante è stata la rottura del piano della rappresentazione. Nessuna area o organizzazione potrebbe o avrebbe potuto sovra determinare questi eventi, può solo assecondare o combattere, ma non determinare.

Se è suggestivo lo slogan siamo il 99%, bisogna considerare che dentro questo 99% presenta settori che hanno tempi e modi diversi di esprimere la loro condizione e reazione al presente.

Se esiste un problema di prospettive, di fronte ad una crisi che mette in discussione le certezze degli ultimi 30 di plastica, questa non deve diventare un alibi per non scorgere le dinamiche che oggi attraversano la società. La generalizzazione della precarietà oggi investe quote sempre più consistenti di quel 99%, che chiede lavoro, casa, reddito, saperi, e anche se in forma indiretta un diverso futuro. Esiste un reale problema di partecipazione e protagonismo diretto, non mediato e non rinchiuso in meccanismi ormai incapaci di dare risposte nel qui e ora a queste nuove generazioni. Cosa che non può ridursi a discutere per le prossime manifestazioni di robusti servizi d’ordine (di fatto pensati contro i manifestanti) o a negare le scadenze nazionali, occorre avere la pazienza, la fantasia di saper dare voce a chi oggi vive e subisce la generalizzazione della precarietà. La velocità con cui si è messo in moto il mondo, provocato da una accelerazione causata dalla crisi, mette in discussione molto, dal piano generale a quello particolare, chi avrà la capacità di capire questo, potrà sperimentare forme, pratiche, organizzazioni di “valore d’uso” per tutti.

Poco tempo fa nelle piazze indignate spagnole e greche si leggeva un cartello che recitava: facciamo piano altrimenti svegliamo gli italiani. Oggi si può dire che la Grecia, la Spagna e il sud del Mediterraneo sono un pò più vicini all’Italia.




Considerazioni sul 15/10/2011 a Roma - Vittoria Oliva

Cinquecento (o forse meno) teppisti organizzati hanno distrutto la gigantesca e pacifica manifestazione degli Indignati e messo in ginocchio un intero movimento. Il corteo di duecentomila giovani e meno giovani giunti a Roma da tutta Italia e da tutta Europa è stato minato, disarticolato e infine disperso da bande di incappucciati che per cinque ore, praticamente indisturbati hanno tenuto in ostaggio una città, bruciato auto, distrutto banche, saccheggiato.

Preso un testo a caso ma il coro degli "indignati"  unanime, unanime e ripetitivo, perché non è solo da Genova 2001 che va avanti questa solfa, ma dal secolo scorso!
Un compagno ha fatto questa osservazione [prosegui la lettura su contrappunto.org]

Mar, 18/10/2011 – 21:05

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