Lecce - Ordinanze di classe
Riceviamo e diffondiamo:
Ordinanze di classe
Lecce, via Duca degli Abruzzi. Negozi di stranieri poveri aperti fino a notte, consentono ad altri poveri – italiani e stranieri – di bere e mangiare a pochi soldi. Una ordinanza comunale vieta ora la vendita di alcolici la sera, col pretesto di qualche rissa avvenuta in passato. A far rispettare la legge, una pattuglia di vigili urbani occhiuti, intervengono a verificare se la ragazzina di turno abbia acquistato birra o chinotto. La differenza è fondamentale. Un check-point in piena regola, che chiarisce bene come il controllo democratico sia solo la prosecuzione del controllo totalitario con altri mezzi. Se nel Cile di Pinochet c’erano i carri armati agli angoli delle strade, a caccia di oppositori e sovversivi, nell’Italia di Renzi ci sono i vigili e la polizia agli angoli delle strade, a caccia del grado alcolico. Se una volta per essere sospetti necessitava avere desideri di rivolta, oggi basta semplicemente avere desiderio di birra. La tolleranza è diminuita, aumentano controllo e repressione.
Trenta metri più avanti, svoltato l’angolo. Pub e locali alla moda di italiani ricchi a perdita d’occhio, per permettere ad altri – italiani e turisti – di bere e mangiare, spendendo cinque volte di più di quanto si spende dietro l’angolo. Il consumo di alcolici è fortemente incentivato: ingrassa i gestori e crea una comunità fittizia tra gli avventori; è il collante della movida. Qualche occhiuta pattuglia di forze dell’ordine passa, discreta, per infondere sicurezza, ma non ci sono check-point: non si può dare a turisti e autoctoni l’impressione di un controllo poliziesco asfissiante. Bisogna che si sentano liberi di spendere…
Quaranta km più a nord, Brindisi, località Restinco. Da circa un mese ha ripreso a funzionare un campo, la versione democratica di quei campi presenti anche nel Cile di Pinochet. Si chiamano CIE. Nei campi di Pinochet ci finivano oppositori e sovversivi, nei CIE ci finiscono gli stranieri rintracciati senza documenti sul territorio nazionale. Non hanno i documenti perché sono poveri e scappano dalle loro terre, ed oggi è sufficiente la povertà per essere classificati sospetti, sia che si sia stranieri e non si abbiano le carte giuste per viaggiare come si deve, sia che si sia italiani e non si abbiano i soldi necessari a comprare da bere dove si deve.
Qual è allora il filo invisibile che lega una ordinanza comunale, alla movida, ai Centri di Identificazione ed Espulsione? È quello dello sfruttamento, che coinvolge tutti – italiani e stranieri, clandestini e regolari, profughi e richiedenti asilo – sulla base della collocazione di classe, secondo la quale il Capitale ci classifica e incasella. Le telecamere nelle vie del centro e le ordinanze che vietano la vendita di alcolici riguardano tutti coloro che vivono ai margini della movida, tutti i poveri che tirano a campare e stentano sempre di più a trascinare la loro esistenza in modo degno, tanto quanto li riguardano i CIE, i respingimenti e le frontiere, per il semplice motivo che chi ci finisce dentro subisce le stesse, brutali logiche di sfruttamento e repressione che viviamo, in tanti, ogni giorno. Le frontiere non sono più, esclusivamente, quelle nazionali, ma ad esse si affiancano quelle sociali, economiche, morali, giuridiche… Sono queste a separare in maniera inequivocabile: da un lato i governanti, dall’altra i governati; da una parte gli esclusi da una vita soddisfacente, dall’altra coloro che hanno tutto. La lotta comune degli sfruttati deve quindi indirizzarsi contro i comuni sfruttatori. In questo senso, le ordinanze cosiddette “anti-degrado” sono un anello dell’esclusione sociale, tanto quanto il controllo, i CIE, le carceri ed ogni luogo di reclusione.
La distruzione di questi lager deve necessariamente accompagnarsi alla distruzione della burocrazia che li genera.
Alcuni nemici di ogni frontiera
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