Spazi condivisi e cultura dell'intossicazione

Riceviamo e diffondiamo:

IL RISPETTO PASSA ANCHE DAI POLMONI:
SPAZI CONDIVISI E CULTURA DELL'INTOSSICAZIONE


Una presenza sottile, impalpabile, pesante e onnipresente nella totalità degli spazi liberati, è il fumo delle tante sigarette accese. Il prodotto collaterale di un'abitudine fine a sé stessa, che danneggia tanto gli intossicati volontari, quanto più i polmoni di chi ha scelto di preservare la propria integrità. Nella moltitudine delle doverose attenzioni al rispetto di ciascun*, manca probabilmente la consapevolezza che ledere la salute altrui in difesa di un vizio è quanto di più lontano dalla cultura del consenso e dell'attenzione ai bisogni di tutt*. Che la scelta di intossicarsi, rendendo velenosa l'aria circostante, sia considerata un bisogno, ci lascia quanto mai interdett* e incredul*, se questa affermazione proviene dalla bocca di compagne e compagni. Che ciascun* possa scegliere cosa è meglio per sé non è materia da discutere o sindacare, quello che a nostro avviso passa tristemente in sordina sono le implicazioni che questa scelta comporta.

Saranno certamente altre le sedi e i momenti più opportuni per argomentare gli innumerevoli danni che la coltivazione di tabacco procura all'ambiente e agli ecosistemi, così come gli interessi multinazionali che opprimono i lavoratori e le lavoratrici (anche minorenni) impiegate nei processi di produzione e lavorazione delle foglie di tabacco, la vivisezione, gli introiti che questa dipendenza genera nelle casse di Stati e mafie. Argomentazioni ugualmente utilizzate nell'ambito di altre lotte, prontamente liquidate se sotto accusa c'è un'abitudine consolidata, normalizzata e accettata.

In questo momento, ci preme sottolineare che a subire il danno più diretto, derivante dalla dipendenza da nicotina, sono le persone “sobrie” che condividono gli spazi con fumatrici e fumatori. Concerti, assemblee, eventi di qualsiasi natura, obbligano a scegliere se partecipare a discapito della propria salute, oppure costringersi a un isolamento forzato. La terza opzione consiste nel dover domandare, elemosinare, la grazia di evitare che gli spazi comuni diventino aerosol di catrame, invitando chi fuma a uscire dalla stanza. Lo stesso, per inciso, vale anche per gli spazi aperti: ritrovarsi nella traiettoria delle sigarette rimane tutt'altro che piacevole, tanto più se ci si trova in cerchio, impegnat* in un dibattito. Dover chiedere che venga rispettata la propria salute, percepire il fastidio e la clemenza di chi accetta una condizione così fuori dalla norma, alla lunga porta all'insofferenza.

L'abitudine al fumo ha dirette implicazioni nell'oppressione animale, umana e della Terra, sebbene ne sia una componente rimossa e sottovalutata. Auspichiamo che ci sia modo di sviluppare questa tematica all'interno di spazi affini, mentre per il momento ci preme sottolineare l'immediatezza e la mostruosa semplicità del riconoscere il rispetto alla salute all'interno di questi spazi. Rivendicare il bisogno a non essere prevaricat* in modo sistematico, quotidiano e concreto, fare sì che la cultura dell'intossicazione non prevalga sulla scelta di rispettare sé stess* e chi ci circonda. Si sta parlando di autodeterminazione, rispetto dei corpi e della salute. Nessun proclama dai toni bigotti e proibizionisti, come viene troppo spesso stigmatizzato e svilito qualsiasi discorso su lucidità, sobrietà e critica alle sostanze intossicanti.

La pratica per risolvere questa situazione di profonda incoerenza e disagio è semplice: che gli spazi condivisi per momenti di incontro politico, ludico o culturale, siano spazi smoke-free, senza che questa dimensione sia frutto di concessioni temporanee.

Che dite, sarà una soluzione troppo estrema?

Individualità xvx

Mer, 17/02/2016 – 16:37
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