E’ mostruoso!

“Sorgere dalla mia casa con gli occhi neri come l’inferno, mi aprirò la strada fino alla costa con occhi neri come l’inferno (…) Lottare per essere fuori scala ma tutto ciò che volevi era il sole”

Poison The Well, “Purple Sabbath”

Alle 6.30 mi offrono una sigaretta e io la rifiuto: non aveva senso fumare per guadagnare altri 5 minuti. Cosa dovevo procrastinare? Cosa mi apparteneva in questa scena? E sappiate che io ad una cicca offerta raramente dico di no.

In macchina commentano Virgin Radio, da cui proviene una voce eccitata – parla come se fosse finito un incubo, come se avessero domato un incendio, “A Firenze questa mattina all’alba - il via libera era stato già dato tre giorni prima, i giorni in cui io scaldavo la pavimentazione di Sant’Ambrogio - è scattata l’operazione che ha portato all’arresto di 22 anarchici (…) Il covo degli anarchici in via del Parione è stato sequestrato”.

La geografia urbana della repressione ha un altro pezzo di storia da aggiungere.

Dalla radio, ancora quella voce da presentatrice di Canale 5 che comunica al pubblico che si è risolta in meglio una storia che ha fatto trepidare tutta la nazione.

Ho semplicemente avuto la sensazione che stessero parlando di qualcun altro; ho pensato che stare seduto sui sedili posteriori, schiacciato tra due persone, era un’immagine già vista, ma altrimenti piacevole. In quell’altra “scena” io ascoltavo i Refused. Ascolto e concludo che, è vero, non occorre la violenza per rendersi pericolosi agli occhi di questi qui. Cose simili accadono con in sottofondo qualcosa che ti appartiene, con intorno luoghi abitudinari e rilassati che d’improvviso vengono visti da dietro una lastra di ghiaccio – ho odiato subito questo meccanismo, la “separazione” dagli altri, questa strana telepatia che ti fa “leggere” i pensieri degli sconosciuti che ti passano accanto e ti fa vedere solo preoccupazioni ordinarie ma invidiabili: magari c’è il medesimo essere in balia di qualcosa, ma non di “Loro”. La meccanica è far anelare la tranquillità anche un po’ di merda che uno vuole destrutturare quando, quanto più possibile.

Sono stato calmo, la dignità del prigioniero, la superiorità morale di chi, pur avendo paura, sa che non ha sbagliato, che qualcuno fuori farà qualcosa, che questa faccenda è troppo grossa. Ci sono i neri ad aspettarmi a 20 metri di distanza, attorniati dalle baby sitter camionette – loro ci sono, lo sapevo, i loro cappucci, la loro umanità e chi è venuto dopo l’ho sentito unirsi al ruggito che sfondava quel muro, muro dietro a cui davo la mano a L. e mi cacciavano in bocca un tampone – e vi giuro che mi è sembrato di tornare piccolo, di tornare ai tempi del pediatra – e poi la dita per le impronte e anche lì tutto un immaginario polizesco-poliziettesco che si rianimava.

In contemporanea, anche i miei carcerieri della Digos si stringevano la mano: “a presto” diceva l’agente addetta a filmare la perquisizione e abbozzava un sorriso, come se avesse avuto un buon esito il suo colloquio di lavoro o avesse ricevuto un riconoscimento gratificante o peggio, che si dicessero “congratulazioni, speriamo di rifarlo”: feci loro notare che ammantavano di una cordialità offensiva un arresto da poco compiuto, una felicità che significava conseguenze penali per me ed altri e di cui loro erano, come sempre, solo gli esecutori senza troppe domande. Io, a pochi centimetri da loro, ero solo una formalità, una pratica.

Aoh ma che credi d’esse l’unico?” me fa notà sto stronzo venuto da Roma - sì, il romano è proprio un dialetto “giudiziario”, pensai – per farmi fare un giro in macchina e farmi ascoltare Virgin Radio a tutto volume e correre come un aspirante stragista del sabato sera, lo stesso stronzo che commentava dicendo “aoh senti stanno a parlà di voi”. Poco prima del tampone e del pediatra avevo vissuto un momento dello stesso tipo, sospeso tra  l’infanzia e il poliziesco: un’addetta al gabinetto scientifico mi fece scoprire le braccia – era il momento delle foto da ogni angolazione, segni particolari inclusi – e notando il mio tatuaggio disse con voce morbida “è mostruoso…” e non con il tono dell’estetica ferita ma come se avesse visto  il male in persone; “anche questa situazione lo è” risposi; lei ci rimase male, lei con quell’aspetto da maestra dell’asilo nido, lo sguardo della maestra che piace a tutti, genitori inclusi, la mamma universale, di tutti.

Io penso che questa gente o sia scema o sia provocatoria perché questa “mamma” continuava a voler instaurare un contatto, una vicinanza, difatti provò una seconda carica con un “cosa significa?”, in riferimento al tatuaggio. “Non è il luogo per parlare di metafore” “Ah no?” - semplicemente incredibile e non era nemmeno sarcastica. Scrutai le facce dei tecnici del gabinetto – li immaginavo a mangiare una pizza, a comportarsi normalmente dopo aver fatto TUTTO QUESTO. Molto “banalità del male” lo so o CSI dei poveri – questa tecnologia, questi specializzati a disposizione di cosa, di chi, quale trama oscura pensano di consegnare alla giustizia, da chi, da cosa ci mettono al sicuro?

Immaginai la “mamma” mentre stizzita si diceva tra sé e sé “perché non è gentile con me? Io cerco di rendere tutto meno opprimente! Sempre incazzati questi giovani…”.

Quel giorno c’eravamo noi magnifici sette candidati ai domiciliari e la mandria, che giungeva a scaglioni, degli obbligati a firmare. Captai un altro discorso surreale: qualcuno parlava di dj set e generi musicali con un agente della Digos. Rimontiamo in macchina e ricomincia la posta del cuore poliziesca: ”tu sei stato più tranquillo di quell’altro, di L.T, com’è lui in genere? E’ un po’agitato…”  “non so, a me sembra un tipo riflessivo, lo conosco come un persona calma”. Poi scendo dalla macchina e comincio a conoscere molto bene la disposizione della casa per i giorni a venire; sviluppo un cervello che pensa spesso che qualcuno la pagherà. Col tempo riesco solo a digerire tonnellate di film dell’horror di alta o pessima qualità, poi  scarto verso i film di Ingmar Bergman. I miei amici/che e compagni/e mi salvano la vita, un po’ il lavoro part time che racimolo grazie alla madre di una mia amica, un po’ le telefonate tra reclusi con P. e L.

Tiro un’immensa riga sui maldicenti e su chi non vedo manco una volta dalle mie parti.

Inizia lo scontro generazionale con mia madre, le domande circa “chi sono io in verità”? ”Come chi sono, m’hai fatto tu, non mi riconosci?” – quel “mi ha fatto tu” era più di una notazione biologica.

Nei giorni immediatamente successivi leggo un controverso racconto di un giovane autore emergente  sul sito Carmilla on line che scrive la sua personale visione degli arresti del 4 maggio, assumendo la soggettiva di un inesistente ed “illetterato” (dichiara che i digossini probabilmente conoscono Marx meglio di lui…) arrestato, le cui caratteristiche descritte non corrispondevano a nessuno e nemmeno la dinamica degli atti vandalici in Via Nazionale realizzati da torme di sedicenni, dato che non hanno avuto luogo - magari, ho pensato quando ho letto sta roba.

Un testo che risultò utile come dire che il rosso è rosso, un’affermazione che promette profondità o una frase che non aggiunge nulla. Almeno mise il link del sito approntato per la faccenda 4 maggio: è la letteratura baby.

“Un’idea di educazione come immobilità e scomparsa. Giocare con la sabbia senza muovere la sabbia; se hai mangiato, niente bagno prima di quattro ore; non disturbare, non respirare ma non permetterti di morire. La vergogna di essere vivi. Limitarsi a immaginare il gioco, supporre di nuotare. Madri che allevano figli fobici ed immaginifici. La trasmissione matrilineare delle paure”.

Giorgio Vasta, “Il tempo materiale”, pg.124

L’instaurazione della deterrenza funzionò – le intercettazioni si fecero best seller, una piramide del male consegnata ai media, il “palazzo”, “la casta” negativa , i pochi che parassitano i molti, un concetto che, ammetto, ho sentito risuonare anche negli “angoli” più impensati. Noi non instaurammo nessuna prassi o patrimonio durevole mentre loro fustigavano i metodi classici e stranoti di lotta, assicurandoci che non ci fosse davvero domani per “Noi”, assicurandosi un mezzo penale molto flessibile – l’associazione a delinquere – adeguato alle politiche economiche correnti . Nessuna rotta, nessuna estraneità al Comando dei tempi presenti. Lasciatemelo dire: ancora una volta abbiamo semplicemente contemplato la lungimiranza della Polizia. E la nostra, dov’è? Dov’è “l’assunzione collettiva di tutto quello che è possibilità di sovversione dello stato di cose presenti: musica, letteratura, arte, scienza e modi di vita”?

Ciò che le preme soprattutto è ridurre il movimento (…) ad un complotto. E’ per questo che ci deve essere un “cervello centrale” (…) comprendere il terrorismo per lei vuol dire costruirne un’immagine che sia il più possibile simile al mondo che conosce (…) una serie di correnti unite gerarchicamente”

Interrogatorio di Lucio Castellano avanti al Giudice Istruttore, 12 giugno 1979

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