Daspo per i cortei

Il Ministro degli Interni Cancellieri dopo le manifestazioni del 14 novembre ha riproposto un ritornello che si sente da anni: “se il Daspo ha funzionato così bene negli stadi, perchè non riproporlo nelle piazze?”.

Il Daspo (divieto d’accesso alle manifestazioni sportive) è una misura amministrativa emanata dalla questura che prevede l’impossibilità per il soggetto di colpito di frequentare qualsivoglia struttura in cui si sta svolgendo una qualsiasi competizione ufficiale di qualsiasi sport per un periodo che va da 1 a 5 anni, con la possibilità frequente di essere accompagnata dall’obbligo di firma in questura durante le partite della propria squadra. E’ dunque un provvedimento di polizia, che viene poi valutato dalla magistratura (se chi ha ricevuto la diffida avvia una costosa procedura di ricorso) solo in un secondo momento, spesso quando il periodo di limitazione della libertà è ormai agli sgoccioli.

Il provvedimento è in vigore dal 13 dicembre 198 e nel 2007, dopo la morte del Commissario Raciti a Catania, è stato ampliato dalla legge Amato (governo di centro-sinistra), rendendo possibile emanare anche un divieto preventivo di accesso, in base alla “pericolosità sociale” del soggetto, sempre arbitrariamente valutata dalla questura.

La volontà di copiare il modello Daspo per quanto riguarda la gestione dell’ordine pubblico nelle manifestazioni politiche guarda a un esempio inglese: l’ASBO  (Anti Social Behaviour Order), un civil order, ovvero un certificato emesso da un tribunale che limita le libertà di movimento a individui ritenuti pericolosi per la società.

Qui è possibile leggere le dichiarazioni del Ministro Cancellieri.

Val la pena riflettere su come la legittimazione di pratiche securitarie negli stadi, dovuta alla continua patologizzazione e criminalizzazione degli aggregati ultras da parte dei media e del ceto politico, permettano l’ingresso nel dibattito politico di misure restrittive della libertà di espressione e di pensiero, nonchè della possibilità di organizzazione del dissenso.

 

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