Acque radioattive del CISAM: c’è puzza di bruciato
In un’intervista rilasciata i primi di gennaio l’ammiraglio Domenico Di Bernardo comunicava che 750mila litri di acqua utilizzata per il funzionamento del reattore nucleare del CISAM di San Piero a Grado (in dismissione) verranno depurati e scaricati nel canale dei Navicelli. I livelli di radioattività di queste acque, assicura l’ammiraglio, saranno al di sotto dei limiti di legge. Mentre i fanghi residui, incapsulati nel cemento, saranno sepolti in pineta.
La notizia ha ovviamente destato una certa preoccupazione a Pisa, dove sono intervenuti i Cobas, SEL (che ha chiesto un’assemblea pubblica nel quartiere di Porta a Mare), e la mansueta Legambiente, che ha evidenziato la possibilità di rischi «anche per la popolazione di Pisa sud in quanto l’acqua del canale è stagnante, non ha un flusso e gli sversamenti potrebbero depositarsi sul fondo».
L’Amministrazione comunale di Pisa ha risposto che «Per gli abitanti di Porta a Mare non sussiste alcun pericolo in quanto il canale ha una sua corrente. In caso di pioggia, i Navicelli ricevono l’acqua dal reticolo minore dei canali della piana di Pisa sud ed in questo caso l’acqua del canale scorre diretta verso il mare, fenomeno che si ripete anche durante le maree. Nei periodi in cui non ci sono queste condizioni, l’acqua del canale procede in modo rallentato pur arrivando meno acqua, ma continuo verso il mare. Inoltre, l’immissione delle acque trattate della ex piscina del reattore vengono inserite nel canale nella zona di Camp Darby, quindi lontano da Porta a Mare. L’amministrazione comunale seguirà con attenzione l’evolversi dell’attività attraverso monitoraggi programmati».
Cioè, in poche parole, il Comune di Pisa non si è neanche degnato di spiegare che le acque del CISAM sono innocue, ma si è limitato a dichiarare che i pisani non corrono alcun rischio in quanto queste scorreranno tranquillamente verso lo Scolmatore e quindi finiranno in mare dalle parti di Livorno.
Se non l’avessimo letto non ci avremmo creduto. O perlomeno ci saremmo aspettati che a questo punto gli amministratori livornesi fossero sobbalzati sulla sedia a cui sono incollati e avessero minacciato le barricate pretendendo almeno ulteriori rassicurazioni.
Anche perché, come scrive giustamente Mauro Zucchelli sul Tirreno, “come ben sa qualunque imprenditore con una attività che produca qualsiasi tipo di rifiuto, difficilmente potrebbe essere accettabile come modalità di smaltimento la diluizione in acqua, foss’anche in dosi omeopatiche. Non dovrà essere così perché non sono queste le regole che devono seguire perfino piccole attività artigianali come una carrozzeria, un laboratorio o qualcosa del genere, al punto che sono previste multe salatissime anche solo e soltanto per irregolarità puramente burocratico-amministrative”.
Invece a Livorno si sono registrate solo le dichiarazioni di ordinanza di alcune forze di opposizione, della responsabile di Legambiente («È semplicemente incredibile che qualcuno immagini di disfarsi così di queste acque provenienti da un ex impianto nucleare: ma stiamo scherzando?») e la contrarietà di un gruppo sportivo che si allena nelle acque dello Scolmatore. Ma nessun assessore, né tanto meno il sindaco, si è sentito in dovere di intervenire sulla vicenda. Che negli ultimi giorni è scomparsa dalle cronache.
È l’ennesima dimostrazione di come, con la complicità dei sonnolenti amministratori locali, Livorno sia diventata la pattumiera della Toscana, in ossequio a quel “modello Somalia” che da anni denunciamo e il cui primo promotore è il cosiddetto “governatore” della Regione Enrico Rossi, quello che riproponeva addirittura come esempio virtuoso per il nostro porto il trattamento dei veleni delle navi Karin B e Deep Sea Carrier.
Al momento non abbiamo elementi per valutare l’effettiva pericolosità delle acque che finirebbero nel nostro mare, però i motivi di preoccupazione sono numerosi.
Primo: che significa “I limiti di radioattività saranno al di sotto dei limiti di legge?” L’unico limite accettabile è zero, in quanto ogni dose di radiazioni comporta un rischio cancerogeno e genetico. I limiti stabiliti non corrispondono ad un’assenza di pericolo, ma a conseguenze considerate accettabili rispetto agli interessi economici prevalenti.
Secondo: Chi dovrebbe vigilare sulla correttezza di questa operazione? L’ARPAT? Cioè quelli che hanno eseguito le prime analisi sui bidoni rimasti sul cargo Venezia 40 giorni dopo l’incidente? Siamo a posto…
Terzo: Il CISAM è una struttura militare e questo ha sempre costituito un ostacolo alla trasparenza sulle sue attività e procedure. Ad esempio sulla quantità e sulla natura delle scorie radioattive che sono seppellite in pineta. È un’ occasione per ridiscutere l’assoluta libertà di azione di cui nel comprensorio Livorno-Pisa gode il complesso militare industriale la cui espressione più evidente sono proprio il CISAM e la base di Camp Darby.
Ne riparleremo. Nel frattempo si rafforza la nostra convinzione su quanto sia imprescindibile in città un’intransigente battaglia quotidiana per il rispetto dell’ambiente e del diritto alla salute.
VERTENZA LIVORNO, 20.1.2013
Tratto interamente da senzasoste.it