L’antivigilia dell’Apocalisse

Un racconto autoprodotto, tratto dal nostro cartaceo numero 9 e mezzo.

Apro il giornale e leggo: ‘Lavoro in diminuzione e giovani vittime principali della crisi economica’ . Già, un sacco di giovani non trovavano più lavoro, ma questo non significa che anche i vecchi non lo perdano e non diventino vittime a loro volta.

Pensandoci bene non ho mai capito fino in fondo da dove arrivasse la crisi: è stata l’ascesa economica della Cina? Ma ormai sono in crisi nera pure laggiù. La tirannia dei mercati? Ma chi sono i mercati? Non sono forse tutti i consumatori del globo? O sono gli investitori, quelli che hanno davvero i soldi? E i governi? Complici o semplicemente impotenti? Che sta succedendo al nostro mondo? C’è qualcuno che lo sa per davvero?

Il 2012 non ci ha portato la fine del mondo, ma ogni anno sembriamo andarci più vicino, come oscillare sull’orlo del baratro senza mai buttarsi. Ma forse il tuffo è dietro l’angolo. Tutti aspettano la fine del decennio come se fosse davvero l’antivigilia dell’Apocalisse. E ormai manca poco.

‘Altri morti negli scontri nelle vie della capitale’. Notizie del genere ormai ci sono un giorno si e l’altro pure, che sia una metropoli o qualche valle alpina del cazzo.

‘Israele sull’orlo del conflitto nucleare con l’Iran’. Saranno dieci anni che vanno avanti con questa storia. Ogni giorno potrebbe essere quello buono, oppure potrebbe andare avanti altri cinquant’anni, come la guerra fredda. Negli anni ottanta ho tirato su l’azienda, mi ricordo com’è finita: uno dei due non ce l’ha più fatta a reggere la tensione, e il muro è venuto giù.

Ormai non ha più importanza. Anch’io pensavo di avere i soldi, finché il fallimento improvviso della banca non ha fatto implodere la mia attività. E i fondi per la pensione? Spariti pure quelli. L’auto di lusso? Non ha finito di pagare le rate, confiscata. Per fortuna che la casa è mia, almeno quella. Noi italiani ci ostiniamo ad investire sul mattone. Tra poco mi toccherà ipotecarla o venderla per campare. Ma con quale banca? Stanno fallendo tutte. Non lo posso accettare.

‘Un altro giorno da bollettino di guerra per le vittime della crisi economica.’ continua il primo articolo, sul quale ritorno: l’epidemia di suicidi ha avuto alti e bassi in questi anni, ma non è mai veramente finita. Era iniziata nei più vecchi, poi, lentamente ma inesorabilmente ha contagiato anche i giovani. La speranza nel futuro ormai è divantata una merce rara.

‘Altri dieci suicidi fra disoccupati e imprenditori di aziende fallite’. Al destino non manca di certo il senso dell’ironia, per quanto macabro, è risaputo. Le due categorie ai confini opposti della scala sociale, accomunati dalla stessa sorte. Presto la condividerò anch’io.

Butto il giornale sul divano di pelle ed esco di casa. Prendo un autobus che mi porti in centro. Che umiliazione dover prendere un mezzo pubblico e non la propria auto o, perché no, un taxi. In effetti ne varrebbe la pena: l’ultima corsa, nel vero senso della parola.

Mi guardo intorno, un po’ spaesato dalla variopinta folla che mi pressa da ogni angolo: volti dai colori diversi dai miei: gialli, neri, di tutte le parti. Sono loro che ci stanno mangiando la ricchezza, a loro dovrei sparare. Ma a che servirebbe? A farmi finire in galera per qualche anno, e poi? Meglio farla finita il prima possibile, questo non è più un mondo nel quale voglio vivere.

Mi infilo le cuffie del pad e mi isolo con un po’ di musica anni ottanta: Frankie goes to Hollywood, ‘Relax’. Mi fa pensare a quando credevamo tutti che ci saremmo arricchiti all’infinito.

L’autobus si ferma, e non riparte. Siamo imbottigliati. Una, due, tre canzoni della playlist e decido di tornare ad interessarmi del mondo esterno, togliendomi una cuffia. Fra i versi bestiali di lingue straniere distinguo qualche conversazione in un italiano stentato, domande irate al conducente.

-C’è una manifestazione, signora. Se vuole la faccio scendere e va a piedi.- risponde. La grassa donna di colore fa cenno di si ed esce, seguita da molti altri. Anch’io la seguo. Per fortuna sono quasi arrivato. In lontananza si sentono dei cori, ma non distinguo le parole.

Una frangia del corteo arriva tutta trafelata, tra le urla della gente: eccoli lì, i black block che hanno rovinato tutto. Non fosse stato per loro si sarebbe trovato una soluzione democratica per i problemi del paese, invece di costringere il governo a rifiutare il confronto con le parti sociali.

Non mi sono mai considerato né di destra né di sinistra. Sono un tipo pratico. Negli anni ottanta votavo per i socialisti. Poi ho votato quache volta Berlusconi o la Lega, qualche volta quegli altri. Ma non ho mai sopportato le zecche e i black block: c’è un paese da ricostruire e tu distruggi, idiota.

Mi avvio rapidamente tra le macchine e imbocco una via, poi un’altra.

Alla fine ecco il negozio dove prenderò la mia Beretta calibro 9. Le forze dell’ordine negli ultimi anni sono diventate sempre più generose nell’elargire licenze di porto d’armi: sarà uno dei tanti tentativi di far somigliare l’Italia agli Stati Uniti. Anche riempire le strade di disperati: in America nelle città ormai stanno peggio di qua. Molti fuggono nelle campagne. Peccato che in Europa non è rimasto neanche un ettaro di bosco selvaggio dove si possa vivere.

Il commesso è gentile, mi consegna l’arma e una scatola di proiettili. Infila tutto in un sacchetto metallizzato assieme allo scontrino e mi augura buona giornata.

Non sarà la fine del mondo, ma è sicuramente la fine della mia vita.

Mentre esco dal negozio un’altro spezzone del corteo irrompe nella via, seguito dai lacrimogeni e dalla polizia in assetto antisommossa. La nube tossica mi provoca un immediato attacco di panico, mi sento soffocare, non riesco più a pensare a nulla se non a scappare più lontano possibile da quel veleno gassoso.

Quando mi riprendo mi ritrovo accanto una ragazzina, potrebbe essere mia figlia.

-Ma che diavolo credete di fare?- le dico come se fossi un docente che sgrida i suoi alunni.

-Tieni.- mi dice lei mettendomi in mano un volantino, e scappa via.

‘Disoccupati e imprenditori falliti uniti nella lotta’: quasi contro la mia volontà leggo tutto il testo, poche semplici righe che mi danno la sensazione di una bottiglia che si stappa con violenza. Il resto è un sogno ad occhi aperti, non so più quello che sto facendo.

Mi ritrovo in mezzo al corteo, ad urlare a squarciagola accanto a ragazzi con la metà dei miei anni, o forse anche meno. Ma ci sono anche uomini e donne della mia età: mi prende quasi un colpo quando riconosco alcuni miei ex-dipendenti.

-Finalmente l’ha capita, dottore.- mi urla uno che mi riconosce -La crisi ci travolgerà tutti, dobbiamo ribellarci prima che sia troppo tardi.- Ma non è già troppo tardi? Solo in quel momento mi ricordo di avere ancora con me il sacchetto argenteo con una pistola e una trentina di colpi. Perché poi ne avrò comprati così tanti, ne bastava uno solo.

Non più. Mentre i miei pensieri suicidi diventano omicidi, mi accorgo che stiamo fronteggiando un cordone di poliziotti e di militari. Volano sassi e bottiglie nella loro direzione. Un mezzo blindato con un grosso ripetitore sulla cima si fa strada dietro di loro, punta l’antenna verso di noi. E poi inizia il dolore, un dolore che non avrei mai pensado di poter provare, neanche quando mi sono rotto il femore in un incidente a vent’anni.

Quando penso di stare per morire d’infarto, smette. Niente mi ha toccato. Intorno a me gli altri manifestanti si alzano rantolando: anche loro hanno provato la stessa cosa. Qualcuno indica l’antenna del blindato. Che diavoleria è mai questa? Qualcuno urla: -Raggio del dolore! Via!- E cominciamo a fuggire nelle vie laterali.

Attimi confusi, poi mi ritrovo a fronteggiare un altro cordone in mezzo ad un braccio del corteo che vaga per la città devastando banche e auto di lusso. La polizia ha qualcosa di strano, quando veniamo a contatto capisco due cose: non è la polizia italiana, è la famigerata polizia europea, e i suoi membri sono tutto meno che italiani: tedeschi, francesi, forse qualche spagnolo. Parlano inglese fra di loro, nessuno con l’accento giusto.

Un ufficiale grida un ordine secco: -Shoot ‘em!- Vedo estrarre i fucili dalla seconda fila di poliziotti. Saranno proiettili di gomma, penso. Non spareranno sulla folla indiscriminatamente. Guardo in faccia un uomo, forse un po’ più giovane di me, prima che il suo cranio si sfracelli e il suo cervello mi imbratti l’ultimo vestito buono che avevo.

Mi giro solo per trovarmi davanti una ragazzina a terra in un lago di sangue, il corpo straziato dai fori di proiettile: era quella che mi ha dato il volantino. Avrà avuto quindici anni.

In qualche modo mi metto al riparo, tiro fuori la Beretta e comincio a caricarla. Attimi senza fine, come un oceano. Esco brandendo l’arma e faccio fuoco sulla polizia. Una raffica crivella il mio corpo, mi ritrovo con la faccia schiacciata sull’asfalto come quel tipo morto a Genova nel 2001.

Mentre perdo conoscenza penso che in fondo la giornata per me si conclude proprio come avevo preventivato, con un proiettile che mi toglie la vita.

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