Fine dell’accoglienza per i profughi dalla Libia: l’esempio di Pisa

Il 28 Febbraio scorso il Governo ha chiuso definitivamente l’ “Emergenza Nord-Africa”, il programma per l’accoglienza dei profughi fuggiti dalla guerra in Libia, iniziato nel Febbraio 2011. La macchina umanitaria con la regia della Protezione Civile ha consumato, nell’arco di due anni, un miliardo e 300 mila euro.

A livello nazionale, oltre 18.000 persone sono state evacuate dai centri che le avevano ospitate. In alcune città gli ospiti dei centri si sono opposti alla fine del progetto che non ha dato loro strumenti di autonomia e formazione come previsto, decidendo di restarvi o prendendosi altri spazi.

Avevamo già scritto della fine dell’ENA, inizialmente prevista per il 31 Dicembre 2012 e poi prorogata. E già mesi fa era evidente agli operatori e alle persone ospitate quanto l’accoglienza fosse stata, nella maggior parte dei casi, puro assistenzialismo. Adesso vediamo appieno le conseguenze delle lacune degli ultimi due anni. Due anni di risposte ai bisogni materiali delle persone (vitto, alloggio, vestiti), ma scarse, se non assenti, proposte in termini sociali e di inserimento nella società. Se nelle strutture ricettive, come alberghi e zone turistiche, è possibile scorgere la difficoltà di intervenire concretamente con le persone accolte, ciò non vale per le strutture di accoglienza adibite o create ex novo con l’emergenza Nord-Africa.

Gli enti gestori delle strutture di accoglienza, con tanto di operatori sociali o comunque risorse umane ad hoc, ricevevano dal Governo 46 euro al giorno a persona. 46 euro per provvedere a tutti i bisogni, ma anche e soprattutto per avviare reali percorsi di autonomia, attivando forme di inserimento lavorativo e abitativo, come previsto dal manuale SPRAR, che doveva regolare anche l’emergenza Nord-Africa. Si calcoli dunque che in un centro con 30 persone il budget mensile a disposizione superava le 40 mila euro.
Di fatto le persone ospitate nei centri e nelle strutture ricettive sono in buona parte state “parcheggiate” ad attendere l’esito della domanda di asilo, non ricevendo in alcuni casi neanche corsi di italiano sufficienti per l’apprendimento.
Persone che in Libia lavoravano o studiavano, e che avevano competenze professionali. Persone che in Libia ci erano arrivate da altri paesi dell’Africa proprio per lavorare. Chad, Nigeria, Somalia, Mali, Costa d’Avorio, Eritrea… C’è chi ci stava da 15 anni in Libia, chi ci è nato ma ha un passaporto del paese d’origine, chi invece ci era arrivato pochi mesi prima della guerra, essendo costretto a fuggire ancora. Persone nel bel mezzo del fare e costruire le proprie vite in Libia, nutrite e mantenute in sospeso nell’Italia dell’accoglienza.  [Leggi il racconto di uno dei ragazzi del Centro di Pisa]
Questo è centrale per leggere ciò che sta succedendo in queste settimane e che probabilmente continuerà a succedere nei mesi futuri.

Il 28 Febbraio 2013, la gestione è passata dalla Protezione Civile alle Prefetture, incaricate di dare 500 euro alle persone ospitate, come “buona uscita”. Con la rapida tempistica governativa, una circolare esce il 1 Marzo, nella quale si afferma che l’accoglienza può essere prolungata per le categorie vulnerabili (ovvero minori non accompagnati, anziani, disabili, donne in stato di gravidanza, persone vittime di tortura) ma anche per “altre categorie”, ovvero coloro in attesa di essere sentiti dalle Commissioni Territoriali o in attesa del ricorso, nonché quelli in attesa del permesso di soggiorno. E spetta alle Prefetture comunicare i numeri di queste persone per poi organizzare “misure per favorire percorsi di uscita”.

In Toscana, le persone ancora in accoglienza al 28/02 erano 758 (dei 1.500 arrivati a Marzo 2011). A Firenze ce ne sono 145, seguono Grosseto (113), Pisa (110), Lucca (99), Arezzo (80), Massa Carrara (71), Pistoia (63), Siena (56), Livorno (21). Dei 758, 89 sono considerati vulnerabili.
A Massarosa c’è stata una protesta pochi giorni fa di fronte al Comune, con uno striscione che recitava “Ci sbattono in mezzo alla strada”. L’assessore aveva proposto di dare 700 euro in più oltre alla “buona uscita”, ma la Prefettura ha rifiutato.
A Firenze, un gruppo di ragazzi ghanesi, insieme al movimento di lotta per la casa, hanno occupato l’ex albergo “El paso” in Via baracca chiedendo diritti, dignità futuro.
Situazioni simili a Padova, con circa 50 persone, e Bologna, dove 30 persone hanno deciso di restare nell’ex caserma Prati di Caprara, ieri presidiata dalla Polizia (leggi qui e qui).

A Pisa, il Centro della Croce Rossa di Via Pietrasantina sotto il Responsabile Massimo Donati ospitava 37 persone, poi rimaste 22 al 28 Febbraio. I ragazzi sono stati ospitati in strutture container predisposte dalla CRI su suolo comunale, tra un meccanico a lato e una discarica dietro. La struttura pisana rientra tra quelle di pessima gestione (croce rossina), dove l’assistenzialismo ha regnato sovrano, senza alcuna traccia di inserimento. Il personale della CRI fungeva più che altro da guardiano e albergatore della struttura, pronto a chiederti la carta d’identità quando andavi in visita ai ragazzi o ad essere paternalista verso gli ospiti, non svolgendo pressoché alcuna funzione di operatore sociale.
In tale contesto, da circa un anno i ragazzi del Centro avevano stretto solidi rapporti di amicizia con un gruppo di studenti e con le reti associative di Rebeldia (Africa Insieme, scuola d’italiano El Comedor…), che davano loro un enorme supporto all’inserimento sociale nel tessuto cittadino.

Il 27 Febbraio alcuni studenti decidono di dormire al Centro con i ragazzi, per capire cosa sarebbe avvenuto il giorno successivo. “Alle 8.30 troviamo 7-8 persone della Croce Rossa che smontano tutto e svuotano il centro”, racconta Fabio, che quella mattina spiega agli operatori pronti a smontare tutto, il non-senso di ciò che stanno facendo. Gli amici dei ragazzi e le associazioni accorrono sul posto per monitorare la situazione.

Il piano di uscita istituzionale prevedeva 500 euro e l’attivazione 6 tirocini con Giovani Sì, lasciando di fatto chi non rientrava tra i “fortunati” in mezzo alla strada.
Dopo una giornata di chiacchiere, mobili sparsi nel giardino, vestiti nei sacchi di plastica, valigie mezze chiuse, proposte campate in aria di trasferire i ragazzi in ostello,.. alla presenza del personale della CRI, il Centro Nord-Sud e l’Assessore provinciale all’immigrazione, l’unica proposta ai ragazzi è il ricatto. Solo oggi e solo con l’uscita dal Centro avrete i 500 euro – la mattina dopo i 500 euro non ci saranno più su ordine della Prefettura.
Sei-sette persone sono andate via, da amici o parenti in altre città, mentre cinque persone sono state trasferite dalla Croce Rossa in un altro spazio, a Ospedaletto.
Alle undici di sera del 28 Febbraio, dieci persone sono rimaste al Centro (6 del Mali, 4 del Chad), con la solidarietà di amici e associazioni, pronti a sostenerli in qualsiasi loro scelta. La Croce Rossa infine cede un passo e consegna i 500 euro con l’accordo di una ulteriore notte nel Centro.
E’ importante ricordare anche che, al 28 febbraio, delle persone in accoglienza 3 erano già andate in Commissione (per la richiesta di asilo) ed erano in attesa di risposta, 3 ci sono andate quel giorno, e 3 aspettano ancora oggi la convocazione della Commissione.

I ragazzi hanno quindi deciso di restare nel Centro della Croce Rossa e rifiutano di andarsene senza prospettive concrete. I materassi per dormire vengono ripresi da un container della CRI, la cucina non c’è più ma vengono fatti i turni a Rebeldia tra i ragazzi del Centro e chi dal 28 dorme lì in solidarietà e a garanzia che i ragazzi non vengano portati fuori senza soluzioni.
“Non chiedono un’accoglienza illimitata, ma un percorso certo, che consenta loro di essere autonomi e di vivere dignitosamente, coi frutti del proprio lavoro. Le soluzioni sono a portata di mano e non comportano alcun onere per gli enti pubblici: sia pur tardivamente, sono state attivate alcune borse-lavoro; le associazioni di Rebeldia stanno lavorando a possibili risposte all’emergenza abitativa. Si tratta di un punto di partenza, che va sviluppato: per questo è necessario mettere attorno a un tavolo il Comune, la Provincia e le associazioni del territorio, per definire percorsi di uscita dignitosi a tutti i profughi” recita il comunicato di Africa Insieme-Rebeldia.

Pronta la risposta di Comune e Provincia, che gettano nuovamente una rivendicazione di diritti nella sfera dell’illegalità, e “sconsigliano i profughi del Nord Africa ospiti della Croce Rossa Italiana di lasciarsi sedurre da chi, in nome dei diritti umani, li spinge verso occupazioni abusive che nuoceranno irreversibilmente al loro percorso di legalità fin qui faticosamente raggiunto” [PisaInformaflash].

Doppia bugia, afferma Sergio Bontempelli (Africa Insieme). “Loro erano già lì, hanno la residenza, quindi non è un’occupazione”, ma semmai si dovrà procedere con uno sfratto, quindi con un ufficiale giudiziario. Ma anche se ci fosse il reato d’occupazione, il rilascio del permesso avverrebbe comunque, perché è per motivi di asilo e dunque solo reati molto gravi sono ostativi.

Domenica scorsa una squadra della CRI cerca pretesti per dichiarare la presenza nello stabile non sicura e porta via una bombola del gas. Adesso il thé si fa su un tostapane sventrato delle parenti interne. Lunedì invece i ragazzi sono andati in Comune, ma l’Assessore alle politiche sociali Maria Paola Ciccone ha rifiutato di parlare con loro senza un interprete di sua fiducia. E’ inoltre notizia di ieri (5 marzo) che la CRI ha ufficialmente denunciato l’occupazione.

tratto da AutAutPisa

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