Yamamay e la strumentalizzazione della violenza sulle donne

Girellando su Facebook ci imbattiamo sul post di un evento organizzato dalla catena Yamamay contro la violenza sulle donne che si terrà questo giovedì davanti il negozio in Via Calzaiuoli. Diverse ragazze indossano una maglietta nera con su scritto “Ferma il bastardo”, il nome della campagna indirizzata a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema e a invitare le donne a denunciare le violenze. La foto della campagna presenta in primo piano l’occhio nero (finto, fatto con il trucco) di una ragazza dallo sguardo impaurito e insicuro, riutilizzando, come spesso accade quando si parla di violenza sulle donne, il cliché della donna fragile, vittima da difendere. Quando mai, infatti, vediamo raffigurate in questo contesto donne che reagiscono, lottano, si autodeterminano? Questa buona strumentalizzazione del tema porta a vedere con occhi colmi di speranza i salvatori, i tutori che si occuperanno di loro, prime fra tutte le istituzioni, che si pongono a tutela di queste ragazze che da vittime quali sono (ma, secondo noi, con in mano la possibilità di cambiare le regole del gioco) diventano creature vittimizzate bisognose di un aiuto esterno, diventano strumento di propaganda di politiche volte a rafforzare il controllo sociale, a limitare i nostri spazi di libertà con telecamere e forze dell’ordine, a tutela di una fantomatica sicurezza.

Ma non ci sono dubbi sulle buone intenzioni della campagna promossa da Yamamay: vendere.

In un momento in cui la violenza sulle donne sembra essere la nuova moda, già utilizzata da altri marchi come Coconuda, come potrebbe un grande marchio come Yamamay non sfruttarla? L’amministratore delegato nega questa intenzione in un’intervista al Corriere della Sera, dipingendosi come uomo attivo “preso dalle mille battaglie quotidiane”, e trova il coraggio di affermare che la sua azienda non ha “mai fatto una campagna irrispettosa delle donne”. Giusto, Yamamay non si è limitata ad essere irrispettosa, ma contribuisce ogni giorno alla mercificazione del corpo femminile, alla diffusione di stereotipi di donne finte, dalle forme perfette, e addirittura alla diffusione di immagini di bambine patinate che indossano “reggiseni”. Per non parlare delle condizioni di lavoro in cui le lavoratrici e i lavoratori dell’azienda sono costretti.

Yamamay, come migliaia di altre aziende, stimola, fomenta, fa violenza sulle donne.

Non lasciamoci strumentalizzare e mercificare in questo modo, contribuendo all’arricchimento delle grandi aziende e al loro bieco marketing etico.

Finchè continueremo a delegare la questione a marchi, enti e persone che riproducono il solito modello paternalista/autoritario, facendo spesso uso del victim blaming, e non si diffonderà una diversa estetica dell’antiviolenza sarà difficile che qualcosa cambi. Ecco perchè piuttosto che partecipare a un’iniziativa organizzata da un marchio di biancheria intima, dopo il presobenismo della quale tutto tornerà alla solita routine, questa stessa routine potremmo spezzarla organizzandoci e lottando insieme.

vedi anche:

comunicazionedigenere.wordpress.com

abbattoimuri.wordpress.com

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