Lettera di un “vecchio” black bloc a Saviano

Pubblichiamo il contributo di un compagno del CAU di Napoli (Collettivo Autorganizzato Universitario), uno studente universitario, un ragazzo poco più che ventenne. Nessuna fine analisi politica, soltanto le giuste parole di chi quotidiamante prova a organizzarsi per spostare granello per granello gli equilibri di questa società verso una forma più giusta, investendo energie, tempo, mettendo a rischio la propria incolumità e finanche la propria libertà.

Nessuna esagerazione: quando si prova a scalare una montagna si mette in conto qualche acciacco, ma nei tempi in cui il “nuovismo” renziano si coniuga con la violenza gratuita delle forze dell’ordine e della questura nel tirare in ballo accuse e teoremi assurdi, pur di dissipare ogni velleità di dissenso e organizzazione, le parole di Saviano per molti hanno suonato come l’acuto finale di una squallida farsa, alla quale mancava solo la penna dopo la lingua e il manganello.


In questi tempi il concetto stesso di novità viene falsato. Il vecchio e decrepito si affacciano sulla scena e si spacciano per novità, o tali sono proclamati se vengono imposti in maniera nuova. E ciò che è effettivamente nuovo, essendo oggi condannato, viene dichiarato cosa di ieri, svilito a moda effimera, che ha fatto il suo tempo.
Nuovo è, ad esempio, il modo di combattere le guerre, mentre antiquato sarebbe un tipo di economia, appena abbozzata e mai realizzata, che mira a rendere le guerre superflue. Nuovo è il modo in cui la divisione della società in classi viene consolidata, mentre antiquato sarebbe voler abolire le classi.
(Bertold Brecht, note a Vita di Galileo)

Caro Saviano,
non rispondo al tuo “articolo” tirando in ballo le mille contraddizioni che vedo nella tua attività di profeta/uomoimmagine/tuttologo, ma ti rispondo portando la mia esperienza da “vecchio” attivista della sinistra radicale napoletana.

Sì, è vero: siamo vecchi. Facciamo gli stessi slogan da generazioni, e da generazioni scendiamo in piazza contro le stesse cose, ormai dette e ridette.

E’ da generazioni infatti che siamo contro la precarietà del lavoro, che rende il nostro futuro (e il futuro dei nostri padri e delle nostre madri) sempre più incerto.
Lottiamo affinché mia madre non debba fare 2 lavori, tentando di portare a casa il necessario per pagarsi il mutuo per la ristrutturazione della casa, stanca di non sapere se il mese prossimo potrà o non potrà continuare ad avere entrambe le occupazioni.

Lottiamo affinché non si arrivi a poter licenziare un impiegato da un giorno all’altro, lasciandolo senza la possibilità di pagare l’affitto della casa.
Lottiamo affinché, dopo aver finito gli studi, non dovrò essere costretto ad accettare un tirocinio presso qualche azienda, che mi costringerebbe a lavorare senza stipendio e senza la sicurezza di avere un posto di lavoro.
Lottiamo affinché persone come noi, solo perché vengono da altre terre, non siano schiavizzate e sfruttate ogni giorno, senza diritti politici e sindacali.

E’ da generazioni che lottiamo nelle università e nelle scuole, perché proprio non sopportiamo l’idea di vedere gli spazi in cui si dovrebbe divulgare la cultura e il piacere per la conoscenza, asserviti alle logiche di mercato, messi sotto il controllo di industrie e aziende che vedono il singolo studente come un numero, capace solo di aumentare o meno il loro profitto.

Odiamo una scuola e un’università che porta gli studenti solo ad un sapere nozionistico, utile soltanto a riempire le caselle dei test “vero o falso”.

Desideriamo un diritto allo studio per ogni studente e per ogni studentessa, che sia capace di offrire un reale aiuto a coloro che non possono permettersi di pagarsi un affitto, di mangiare ogni giorno fuori casa, di potersi comprare i libri di testo, e che per riuscire a continuare i loro studi sono costretti a cercare lavori sottopagati con orari massacranti, per poi essere visti come “coloro meno meritevoli”, solo perché non raggiungono il numero sufficiente di crediti formativi in tempo.

E’ da generazioni che lottiamo contro la camorra, inserendola nel solito (e vecchio) discorso anticapitalista, sottolineando che è soltanto un’altra manifestazione di questo sistema malato. Lottiamo contro le discariche e la devastazione ambientale, perché noi, da vecchi quali siamo, ci teniamo al nostro futuro.

Crediamo che attraverso la lotta al proibizionismo, si possa riuscire a distruggere parte del mercato camorristico dello spaccio, evitando di vedere arrestati ragazzini di 17 anni solo perché si sono fatti uno spinello.
Crediamo che l’eroina e tutte le droghe pesanti siano soltanto un’arma che il capitale (sì, sempre lui…quanto siamo noiosi!) usi per rimbecillire le persone e impedirle di accorgersi di quello che avviene attorno, e che comunque il loro uso sia dovuto a condizioni materiali e sociali che sicuramente vanno analizzate, senza sentenziare: “questi sono dei tossici”. Le stesse droghe pesanti abusate nei salotti buoni di Napoli, a cui però non viene mossa nessuna critica, per non rischiare di non essere invitati ai loro party alla moda.

Lottiamo per una socialità, una cultura, un modo di stare insieme diverso, non basato sulle logiche di mercato, del profitto. Frequentiamo i centri sociali, in cui con pochi euro puoi berti una birra e sentirti della buona musica (che spesso usiamo per urlare al mondo le nostre “vecchie”idee). Creiamo spazi in cui fare laboratori teatrali, di musica, di pittura, in cui facciamo mostre fotografiche e presentiamo libri, perché siamo convinti che partendo dalla cultura si possa scardinare qualcosa all’interno di questo sistema.

Amiamo scendere in piazza e urlare le nostre idee, perché non crediamo che i problemi possano essere risolti nelle regge e nei palazzi pomposi da poche persone (non) delegate, ma che solo chi subisce ogni giorno i risultati delle politiche liberiste dell’UE, BCE e di tutti i governi nazionali, sia legittimato a cercare una soluzione.

Ed è buffo come usi il concetto di “vecchiaia”: ormai tutto ciò che è “vecchio” va buttato, cambiato, cancellato. “Spazio ai giovani meritevoli”, “rottamiamo tutto quello che è vecchio”. Tu che conosci tanto bene l’uso delle parole, capirai che questo uso di “vecchiaia” non è tanto oggettivo, ma è frutto della nuova cultura renziana in cui tutto ciò che resiste è sbagliato e va cancellato.

Noi invece continuiamo a resistere, perché crediamo che sia questo il “cammino per costruire insieme una società migliore”.

E ti prego, la prossima volta non usare la mia foto: lo so che dimostro più anni di quelli che ho, ma non sono tanto vecchio come credi. E come me, ci sono moltissimi ragazzi di 19,20, 21, 22, 23, 24… anni (potrei continuare, visto che non so quale sia il tuo confine di “vecchio”) che ogni giorno sono nelle università, nei posti di lavoro, nelle strade, nei centri sociali, negli spazi occupati e che tentano realmente di portare avanti una politica diversa, nuova rispetto a tutte quelle proposte fino ad ora. Vedi che in qualche modo anche noi facciamo proposte “giovani”?

da http://www.spaziometi.org/index.php

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