Il maquillage della logistica e il colpo a segno delle lotte
di ANNA CURCIO
Le lotte nella logistica mettono a segno un nuovo colpo. E questa volta non si tratta di una vertenza andata a buon fine in uno dei tanti magazzini dove blocchi e picchetti stanno, da qualche anno, imponendo nuove regole e garanzie contrattuali. Questa volta il colpo messo a segno riguarda il settore nel suo insieme e ha messo in discussione l’accordo sottoscritto nel mese di luglio dai confederali con Fedit (Federazione Italiana Trasporti), l’associazione di categoria. Un accordo fortemente contrastato dai lavoratori e dai sindacati di base che stanno conducendo la lotte nel settore, cioè S.I. Cobas e Adl Cobas. “Si tratta – precisa Aldo Milani Coordinatore nazionale S.I. Cobas – di un accordo funzionale al processo di ristrutturazione che sta interessando il settore. Riguarda il fatto che i grandi marchi della distribuzione privilegiano, complice il debole sistema di infrastrutture nel paese, il ramo internazionale a discapito di quello domestico”. L’accordo di luglio sarebbe in questo senso il via libera a un rampante processo di snellimento del ramo domestico della logistica di distribuzione, dove ormai è soprattutto SDA, partner di Poste Italiane, a farla da padrone. La partnership SDA/Poste Italiane ha infatti determinato una sorta di concentrazione monopolistica che permette consistenti ribassi sui costi di distribuzione. Dove SDA riesce a lavorare un collo al costo di 1,80 euro (rispetto ai 2,00 euro di qualche anno fa) gli altri corrieri hanno oggi raddoppiato i costi raggiungendo i 4 euro per collo. Non potendo più puntare sulla quantità per il conseguimento dei propri utili, puntano a migliorare il servizio. I costi lievitano, i clienti più grossi si rivolgono altrove e tutta l’infrastruttura delle distribuzione domestica va in esubero: un costo da snellire se non azzerare. Ad esempio, prosegue Milani, “la TNT ha già in mente di smantellare-ristrutturare una cinquantina di piccoli hub da 10/20 dipendenti e si apprestava a farlo anche in quelli più grossi. Dove però siamo presenti e siamo fino ad ora riusciti a bloccare il processo”.
Proprio per contrastare questo processo di dismissione della distribuzione domestica, voluto da alcuni grandi marchi del settore e avallato dai sindacati confederali, è partita in autunno una battaglia a tutto campo, condotta da S.I. Cobas e Adl. E già quattro dei “cinque alfieri di Fedit”, ovvero TNT, Bartolini, GLS e SDA (resta al momento fuori DHL) hanno sottoscritto un nuovo accordo che contrasta e supera il precedente, rilanciando su una prospettiva politica più complessiva.
La ristrutturazione del settore e l’accordo di luglio
Nel processo di dismissione del ramo domestico della logistica di distribuzione, un ruolo chiave è stato giocato dalla ristrutturazione interna di TNT. Come spiega Milani: “la Fedit, ai cui vertici siede un esponente di TNT, ha siglato quest’accordo in funzione del processo di ristrutturazione che sta interessando l’azienda e più che un processo di rilancio industriale sembra tendere a rendere più appetibile il settore della distribuzione internazionale ovvero la condizione perché possa essere acquistata da parte dell’americana UPS”, altro grande brand specializzato nella distribuzione internazionale. È un processo già avviato alcuni anni fa, e poi interrotto per le pressioni di DHL (corriere di proprietà tedesca) che vedeva nella fusione tra UPS e TNT un concorrente troppo forte, che avrebbe potuto mettere in discussione il ruolo centrale della stessa DHL nella gestione delle commesse comprese quelle militari dall’Europa verso il Medioriente. Da qui, l’escamotage di snellire l’azienda, separando l’ambito domestico da quello internazionale, per cui il primo va in dismissione e il secondo viene valorizzato e messo in vendita.
Con buona pace di Cgil, Cisl e Uil, la dismissione del piano domestico della logistica di distribuzione passa inevitabilmente per un’ulteriore riduzione della forza lavoro e per una sempre più spinta deregolamentazione. L’accordo siglato lo scorso luglio contiene infatti in questo seno importanti indicazioni che puntano a smantellare ciò che è stato conquistato con le lotte degli ultimi anni. Non si limita dunque a mettere in dismissione (entro il 2016) le cooperative che gestiscono il lavoro in subappalto nei magazzini. Si tratta piuttosto di un’operazione di maquillage che nel prendere di mira le cooperative, finora ganglio del sistema di organizzazione del lavoro nella logistica di distribuzione in Italia (il cui ruolo è stato ripetutamente combattuto dai lavoratori e sindacati di base e derogato dai tribunali competenti), fa passare una feroce ristrutturazione padronale, come risposta ai successi conseguiti dalle lotte. Tanto più che l’ulteriore deregolamentazione selvaggia del lavoro introdotta dal Jobs Act integra lo specifico dispositivo di sfruttamento e iperprecarizzazione delle cooperative nella norma del mondo imprenditoriale. È, per dirla altrimenti, la generalizzazione del modello Poletti (ai vertici di Legacoop prima di diventare ministro) o il farsi cooperativa di tutto il lavoro. Così, l’accordo di luglio prevede l’assunzione diretta dei lavoratori da parte delle aziende committenti ma con l’azzeramento delle conquiste salariali e normative ottenute con le lotte degli ultimi anni. Ovvero, al termine dell’appalto la cooperativa rimane fuori da giochi, i suoi dipendenti riassorbiti dal marchio ma assunti come apprendisti, anche se in quei magazzini hanno già lavorato 3, 4 o 15 anni.
Un accordo “di base”
Una situazione evidentemente insostenibile per lavoratori e sindacati che a suon di blocchi e picchetti stanno strappando pezzo dopo pezzo un sostanziale miglioramento delle condizioni contrattuali e retributive. Ad esempio, nei magazzini di Bologna e Piacenza afferenti a quelle stesse aziende che aderisco a Fedit, il costo del lavoro era stato portato da 14 a 18 euro all’ora, e fino a 21 euro per gli straordinari. Così come era stata garantita la piena retribuzione degli istituti contrattuali e l’indennità sostitutiva mensa di 5,29 euro. Tutte conquiste che verrebbero azzerate dall’accordo di luglio.
Già a settembre, in una partecipatissima assemblea nazionale in videoconferenza che aveva messo in comunicazione le diverse città mobilitate, i sindacati di base avevano rigettato l’accordo e lanciato lo sciopero generale del settore. Poi, nei mesi successivi la battaglia si è focalizzata. Ricorda Milani: “ci siamo detti: dove andiamo a colpire? E abbiamo scelto di bloccare GLS per aprire un varco nelle titubanze aziendali. Dopo solo due ore sono venuti a firmare l’accordo, limitandosi a sottoscrivere le nostre richieste”. Era il 23 dicembre dello scorso anno. Poi in febbraio, sempre attraverso la minaccia di blocchi e picchetti, anche Bartolini e TNT hanno sottoscritto il protocollo e un mese dopo anche SDA. Oggi chi lavora per questi marchi, nel passare dalla coop all’azienda, mantiene l’anzianità acquisita. “Ma soprattutto – sottolinea Milani – abbiamo così introdotto un aspetto dirompente nell’assetto contrattuale. Abbiamo cioè messo in discussione quell’impianto che metteva la professionalità al centro della determinazione di un contratto, così che un metalmeccanico, ad esempio, non può andare oltre il terzo livello. Quello che proponiamo ha invece la possibilità di scardinare questo meccanismo. Qualunque sia la tua professionalità, che tu sia carrellista o addetto al picketing, dopo 18 mesi passi al quinto livello (che equivale al terzo per i metalmeccanici) e dopo 6 anni al quarto J. È un cambiamento epocale. Non significa solo avere qualcosa in più in busta paga, va anche a rompere il tabù della professionalità e inverte la tendenza a sventagliare le categorie economiche”. Un risultato dunque immediatamente tangibile che apre anche un piano politico più complessivo, proprio mentre i lavoratori del settore si trovano sotto l’attacco di un’ulteriore processo di flessibilizzazione.
Ancora una volta l’insegnamento che la logistica ci consegna è che sono i rapporti di forza conquistati nelle lotte a far male alla controparte. Anche quando questa è spalleggiata dai confederali.
* Una versione ridotta è stata pubblicata su “il manifesto”.
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