Innovazione e brevetti: niente nasce dal nulla

Dopo aver mostrato come ogni innovazione sia il prodotto di un processo sociale (quindi il contrario rispetto al pensiero dominante, che esalta “il genio“) pubblichiamo di seguito un interessante contributo di The Economist, Regno Unito.

Le registrazioni dei brevetti mostrano quanto sia cambiato negli anni il modo d’inventare. Oggi più che mai le invenzioni sono il frutto di ricombinazioni di scoperte precedenti

Nell’ottocento gli inventori erano considerati degli eroi: George Stephenson, Samuel Morse, Charles Goodyear e compagni furono le truppe d’assalto della rivoluzione industriale. Fu anche grazie alle loro idee se l’umanità passò dalla povertà del mondo agricolo alla ricchezza del mondo manifatturiero. Oggi, invece, i superinventori si incontrano più raramente.

Forse questo dipende in parte dal fatto che rispetto all’ottocento è cambiato il processo inventivo. Anche se il numero di brevetti concessi ogni anno continua a crescere, l’introduzione di classi tecnologiche radicalmente nuove sembra più rara che in passato. L’informatica ha senza dubbio trasformato il presente, ma la ferrovia, il telegrafo, la fotografia, il telefono, l’automobile e l’industria della chimica e dell’acciaio hanno prodotto trasformazioni ineguagliabili. La sensazione che qualcosa sia cambiato, però, non è la prova di un reale cambiamento. Servono i dati. Di recente Youn Hyejin e i suoi colleghi di Oxford ne hanno raccolti alcuni in un articolo pubblicato sul Journal of the Royal Society Interface.

Le invenzioni avvengono in due modi. La lampadina di Thomas Edison, per esempio, non fu il frutto di una metaforica illuminazione ma dell’unione di elementi preesistenti: corrente elettrica, filamento riscal- dato, vuoto e custodia di vetro. Negli anni settanta dell’ottocento nessuno di questi elementi era una novità, solo che combinandoli Edison creò qualcosa di brevettabile. Il transistor inventato da William Shockley settant’anni dopo, invece, si basava su parecchi fenomeni fisici nuovi, scoperti da lui e dai suoi colleghi. Sia la lampadina sia il transistor hanno cambiato il mondo e sono un buon esempio dei due aspetti presenti, in proporzioni diverse, in ogni invenzione riuscita: scoperta e ricombinazione.

La dottoressa Youn ha analizzato l’equilibrio tra questi due fattori e la sua possibile variazione usando i dati dell’ufficio brevetti statunitense, lo United States patent and trademark office (Uspto), che non è un indicatore perfetto dell’inventiva, ma è forse quanto di più vicino ci sia.

L’ufficio divide i brevetti in gruppi per argomenti comuni, classificando le varie tecnologie che hanno prodotto l’invenzione sulla base di un elaborato sistema di codici. Ogni raggruppamento del sistema dell’Uspto prevede una componente principale, la classe, e una secondaria, la sottoclasse. La classe distingue una tecnologia dall’altra, mentre le sottoclassi descrivono i processi e gli elementi strutturali e funzionali di quella particolare tecnologia. Una coppia classe/sottoclasse – mettiamo 136/206, cioè la classe 136 (pile: termoelettriche e fotoelettriche) e la sottoclasse 206 (energia solare) – è un codice unico. Ogni brevetto viene identificato da almeno un codice di questo tipo. L’ufficio dispone di codici che risalgono al 1790: nel complesso sono contemplate 474 classi e più di 160mila codici. Viene creata una nuova categoria solo se una richiesta di brevetto non rientra in nessuna di quelle esistenti.

Le sorprese della biologia

Quando hanno esaminato i documenti, la dottoressa Youn e i suoi colleghi hanno scoperto che quasi la metà dei brevetti concessi dagli Stati Uniti nell’ottocento era per invenzioni con un solo codice. Oggi, invece, nove su dieci sono per invenzioni che hanno almeno due codici. Codici e brevetti crebbero esponenzialmente, e allo stesso ritmo, fino agli anni settanta dell’ottocento (più o meno l’epoca dell’invenzione della lampadina di Edison). In seguito, invece, il tasso di crescita dei nuovi codici è crollato drasticamente, mentre quello dei nuovi brevetti è diminuito solo leggermente. L’introduzione di nuove combinazioni di codici è tuttavia aumentata di pari passo con il numero dei brevetti concessi, e questo indica che oggi le invenzioni sono soprattutto il risultato di ricombinazioni di tecnologie esistenti e che in passato, per certi versi, erano più importanti.

Resta da vedere se la biotecnologia cambierà qualcosa. Finora la maggior parte delle invenzioni si è basata sulla fisica o la chimica, ma le attuali conoscenze nel campo della biologia equivalgono più o meno a quelle delle scienze fisiche nell’ottocento. La biologia è pronta a sfornare nuove classi di brevetti, magari per cose inimmaginabili come computer neurologici o mobili nati da un seme? Allora forse nascerà una nuova generazione di inventori eroici.

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