Agosto non è MAi tranquillo nelle carceri: quello di 40 anni fa, 1975

Ripubblichiamo da www.contromaelstrom.com  l’articolo 25 agosto 1975: dalle carceri un NO di rivolta alla “riforma” che non accoglie gli obiettivi del movimento dei detenuti!

LA RISPOSTA DEI DETENUTI ALLA “RIFORMA TRUFFA”

Nel 1975 con la legge n.354 del 26 luglio viene varata la “riforma penitenziaria” della quale si discuteva dal dopoguerra e che non avrebbe visto la luce senza le lotte e le rivolte dei prigionieri. Il testo non attua una rottura profonda con la logica fascista del regolamento penitenziario del 1931 che, al contrario, viene richiamato esplicitamente molto spesso; la gestione del carcere si muove nel senso trasgressione –uguale-punizione, senza prendere in considerazione le relazioni tra reato e la struttura politica ed economica del contesto.

Questa “riforma” non riesce a realizzare il coinvolgimento del tessuto sociale attraverso la sensibilizzazione e l’apertura dell’istituzione carceraria al territorio e alla società esterna. Il carcere continua ad essere una “cosa” separata e ignorata: una sorta di contenitore dove si cerca di cacciare a forza -e tenere in silenzio- tutti i problemi e le contraddizioni di una società che non è in grado di interrogare se stessa. Nel momento che la legge viene varata è già vecchia e obsoleta sia negli strumenti eccessivamente discriminatori e punitivi cui si ispira, sia negli inadeguati e reazionari personaggi che sono chiamati ad applicarla: direttori di carcere, funzionari del Ministero di Grazia e Giustizia, magistrati, che la gestiscono in maniera restrittiva.

Una riforma di tal genere non soddisfa le esigenze dei detenuti che sono costretti a riprendere le lotte. Lo squallore intellettuale della classe dirigente, in questa come in altre occasione, è la più efficace propaganda a favore di chi da tempo sosteneva la tesi che era inutile attendere una riforma che desse un po’ di respiro ai problemi dei carcerati e che era invece necessario organizzarsi autonomamente e lottare per costruire un rapporto di forza per conquistarsi la libertà e condizioni di vita dignitose.
Che questa legge di riforma sia ben misera cosa e sopratutto inadeguata, oltre che parzialmente in contrasto con la Costituzione, è un giudizio che al tempo espressero anche numerosi giuristi: quelli italiani lo dissero talmente sottovoce che non si riuscì ad ascoltarli e non se ne accorse nessuno; in altri paesi il giudizio fu molto duro al punto che in numerosi ambienti giuridici europei si disse che l’Italia si era definitivamente conquistata un posto nel “terzo mondo giuridico” (in seguito con l’uso della tortura, con i “processi di regime”, con l’istituzione delle carceri speciali e con l’uso spregiudicato della carcerazione preventiva, dei mandati di cattura a “grappolo” l’Italia si collocò tranquillamente nel 4° o 5° mondo sul terreno della giustizia).

Alcuni giuristi cominciarono a pensare da allora ad alcune correzioni della “riforma”; correzioni che non vedranno la luce prima del 1986 sempre a causa di quella timidezza civile, più esplicitamente ideologia fascista, che caratterizza il ceto politico italiano. La “riforma della riforma” varata il 10 ottobre 1986 n. 663 che va sotto il nome di “Legge Gozzini”, modifica qualche aspetto assurdo e reazionario della riforma del 75, ma non raggiunge gli obiettivi che si era proposta: ignora ancora una volta il contesto sociale e soprattutto si basa su uno scambio mercantile, sconti di pena in cambio di accettazione del carcere. Il carcere divenne un mercato, le lotte man mano si diradarono, la solidarietà dei movimenti esterni sempre più rara e debole…

Si è lasciata mano libera ai repressori di stato e il carcere è diventato di nuovo “silenzioso”, sovraffollato e terrorizzante. Il movimento antagonista è completamente assente, manca si analisi e consapevolezza dei problemi del carcere e del ruolo che il carcere riveste nel “nuovo ordine capitalistico”, tranne a occuparsene quando componenti del movimento ci finiscono. Ma non si interessa affatto dei problemi e della vita e della resistenza della popolazione detenuta, e dei percorsi di organizzazione interno-esterno necessari a dare di nuovo vita a un movimento dei  “dannati della terra“.

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