A proposito delle nuove schiave del sud Italia

donne nei campiLeggete questa inchiesta di Repubblica. Non scopre nulla di nuovo, e però segnala, a proposito dei casi degli ultimi giorni, molte cose interessanti. Innanzitutto che nei campi lavorano molti italiani, anzi italiane, meridionali. Come in altri settori del lavoro, le donne vengono identificate come soggetti più passivi, perché più prese in reti familiari, più terrorizzabili…

Ma non solo: che le donne vengono scelte in molti casi perché gli immigrati si ribellavano, chiedevano migliori condizioni di lavoro, e facevano rimettere soldi ai padroni. Cosa che ci dimostra come gli immigrati non siano soggetto debole e da tutelare, ma compagni di lotta che spesso stanno anche più avanti di noi.

Certo, non stiamo qui a stupirci o inorridirci perché lo sfruttamento più spietato e odioso ha preso a selezionare altri tipi di vittime. Perché ora sono italiane, donne italiane a finire nel tritacarne, e non solo immigrate e immigrati. Questa differenza non ha alcun senso per noi che rifiutiamo in blocco ogni forma di sfruttamento di qualsiasi uomo e donna su qualsiasi uomo e donna.

E tuttavia tutto questo di senso sembra averne molto per chi su queste differenze continua a fare soldi, tanti soldi. I padroni dei campi, come altri datori di lavoro in altri settori, ricorrono spesso a queste strategie: ci dividono in base a demarcatori sociali, se così possiamo chiamarli, usano le nostre differenze di sesso, età, provenienza e religione a loro vantaggio, selezionando le categorie di volta in volta più vulnerabili, che determinate circostanze storiche hanno reso tali, per metterci gli uni contro gli altri e avere una manodopera sempre più docile, flessibile, ricattabile e fare soldi…

Se oggi molte nostre mamme, sorelle e figlie italiane sono le nuove schiave dei campi evidentemente le loro condizioni sono precipitate a tal punto da renderle estremamente docili e mansuete. Donne doppiamente schiacciate, da una parte da reti familiari, che la crisi ha iniziato a sfilacciare ma che si basano ancora prevalentemente sul loro lavoro di cura non pagato e dall’altra dal carico di un lavoro disumano a cui sono costrette a ricorrere proprio per compensare questo sistema di welfare nostrano in frantumi, tanto che è sufficiente la minaccia ‘domani resti a casa’ per renderle ancor più controllabili.

Le circostanze possono cambiare repentinamente, possiamo trovarci da un giorno all’altro a negoziare condizioni di vita assurde che pensavamo lontane anni luce, che credevamo potessero appartenere a ‘qualcun altro’ ma non a noi. Evidentemente ‘qualcun altro’ e noi siamo più vicini di quanto pensiamo.

Allora forse quando sentiamo storie atroci di sfruttamento sugli immigrati non possiamo più pensare che tutto questo non ci riguardi… le loro storie sono le nostre storie. E allo stesso modo il loro coraggio deve diventare il nostro coraggio. Molti nostri amici immigrati hanno iniziato a dire ‘basta!’, hanno iniziato a rifiutare queste condizioni di vita e di lavoro inumane. Per questo i padroni si sono messi alla ricerca di nuovi schiavi e schiave che possano facilmente rimpiazzare chi ha iniziato a ribellarsi a questo stato di cose.

Dobbiamo rompere questo giochetto dei padroni e lo possiamo fare solo se in questa lotta ci siamo tutti, e uniti.

da http://www.clashcityworkers.org/

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