10 punti sullo stato dell’economia italiana

Corricchiare sul posto fischiettando. 10 punti sull’economia italiana

1. La fiducia dei consumatori torna ai livelli del 2002. Questa è la notizia. Per Renzi: “gli italiani tornano a sognare”. Il problema non è sognare, ma risvegliarsi.

Soprattutto se pensavi che il sogno fosse realtà. “l’Italia che riparte”: la retorica di Renzi è falsa. Tuttavia sarebbe sbagliato negare qualsiasi segnale di ripresa. E’ importante capirne al contrario la natura fragile e contraddittoria. Il marxismo non è la teoria della crisi permanente del sistema, ma delle contraddizioni che il sistema accumula. Nella buona e nella cattiva sorte.

2. Una ripresa così debole fa notizia solo perché clamorosamente lungo è stato il declino italiano sommato al resto della crisi internazionale.

Dopo 7 anni il Pil del meridione torna a crescere dello 0,1%. Nel 2014 il Pil nazionale è calato solo dello 0,4%, e nel 2015 segna una crescita tra lo 0,2 e lo 0,7. Le vendite al dettaglio nell’agosto 2015 crescono di un “imponente” 0,2% rispetto a luglio e 1% rispetto all’anno precedente. Dati deboli e per giunta unilaterali. Il quadro è più complesso: il fatturato e gli ordinativi dell’industria ad esempio hanno registrato un calo ad agosto. L’auto che ha trainato questa “ripresina” sta già rallentando e sull’esportazione inizia a pesare la crisi della Cina e dei cosiddetti emergenti.

3. I ceti popolari non vedono mutare qualitativamente le loro condizioni di vita.

Secondo Eurostat il numero di persone povere o a rischio esclusione sociale continua a crescere (28% della popolazione). Tuttavia una conseguenza momentanea sulla loro psicologia c’è. Si è così abbassato il livello di aspettativa dei lavoratori durante la crisi che anche una ripresa così rachitica sembra trasmettere sollievo. Ricevi qualche telefonata in più dalle agenzie interinali, qualche cantiere torna a cercare muratori per qualche giorno, lavori due mesi sì e uno no, invece che tre mesi no. Tiri una boccata d’ossigeno. Prendere casa, farsi una famiglia: questo però è tutt’altra cosa. Un senso di sollievo che è la base per una relativa stabilità di Renzi. Ma è fragile, passeggero e illusorio come la ripresa di cui parliamo.

4. Questa “ripresina” non si basa su nuovi elementi di forza nell’economia capitalista italiana, ma sull’approfondirsi di vecchi elementi di debolezza e contraddizione.

Prima dell’introduzione dell’euro il capitalismo italiano nascondeva le proprie debolezze stampando moneta con cui sostenere il proprio indebitamento. Con l’introduzione dell’Euro questo meccanismo è stato parzialmente bloccato. Oggi che la politica europea è stampare moneta per sostenere l’indebitamento generale, il capitalismo italiano ha potuto godere di nuovo del proprio vizietto.

5. In qualche articolo il Sole 24 Ore lascia trasparire la propria preoccupazione per quanto sta accadendo (“sembra che in Italia ormai ci siano soldi per tutto”), BankItalia fa qualche richiamo all’eccessiva crescita del debito e qualche zelante commissione europea prova a bacchettare. Ma il carnevale è cominciato e nessuno vuole mancare.

Mentre si compiono tagli frontali sulla sanità pubblica, piovono finanziamenti e sgravi fiscali con cui drogare l’economia. Sgravi che hanno avuto un effetto particolarmente rivitalizzante in termini relativi nell’edilizia. Per accedere agli sgravi bisogna pagare un certo livello di tasse e avere la capienza fiscale per poterle scaricare. Vengono così esclusi dal meccanismo i redditi bassi. Un’immensa partita di giro fiscale che complessivamente si prefigura come distribuzione della ricchezza dal settore pubblico a quello privato, dai più poveri ai più ricchi.

6. Nel 2014 il debito pubblico ha toccato il 132% del Pil e nell’aprile del 2015 ha avuto un ulteriore record. Era del 106% nel 2008 e del 128% nel 2013.

Eppure gli spread calano e non si assiste a nessuna isteria da crisi del debito. Nessuno invoca il “pareggio di bilancio”. Un’ulteriore dimostrazione di quanto già sappiamo: oltre ad essere un’entità economica e finanziaria, il debito pubblico di uno Stato borghese è un’entità politica. La sua funzione non è quella di essere ripagato, ma di essere rifinanziato concedendo alla finanza privata un sicuro approdo per il proprio credito. La sua funzione non è quella di tenere i conti “pubblici” in ordine ma di garantire un continuo flusso di soldi dai lavoratori e dalla piccola borghesia verso una sorta di cassa comune del grande capitale. Spread e debito pubblico hanno generato la politica di Renzi e Draghi, la politica di Renzi e Draghi genera il debito pubblico. Un’entità che finanzia il capitale tramite gli interessi, gli appalti, gli sgravi. E che giustifica la distruzione del diritto allo stato sociale all’ombra della spesa del capitale.

7. I timidi segnali di ripresa sono quindi il completamento di una piccola ristrutturazione del motore logoro dell’economia italiana e del rafforzamento dei suoi due pistoni principali: il consumo del suolo e la manifattura da esportarzione.

Entrambe sono risposte alla sovrapproduzione, entrambe sono la via principe alla competitività per il capitale italiano. Una ristrutturazione economica che si riflette e necessita di quella politica: del Pd di Renzi, delle controriforme istituzionali, del Jobs Act, dell’attacco al sindacato, dello smantellamento della contrattazione, della corruzione, dell’evasione, della lobby.

8. Il consumo del suolo: un mercato trainato dalla spesa pubblica, che non necessita di particolari investimenti e per sua natura non soggetto ad alcuna crisi di sovrapproduzione.

Nel 2014 sono stati coperti 200 chilometri quadrati di suolo, 55 ettari al giorno, 7 metri quadri al secondo. Dal 1951 ci sono state 74 alluvioni. Di queste, 55 si sono verificate dopo il 1990 e 26 negli ultimi quattro anni (Fonti Ispra). Non c’è nessun nesso con il bisogno abitativo: le città perdono abitanti e aumentano gli edifici sfitti. E’ il regno perfetto per la tangente, per l’appalto, per il subappalto, per l’operaio in nero, per il padroncino razzista che assume in nero il clandestino, per lo sgravio, per il salario da fame, per l’emergenza ambientale che poi genera anche l’appalto per la sua gestione.

9. Manifattura per esportare: l’Italia è la seconda o prima esportatrice mondiale in settori come calzatura, cuoio, meccanica di precisione, chimica ecc.

“Negli anni della crisi più buia sul petto della manifattura italiana ha continuato a brillare la medaglia dell’export” (Sole 24 Ore). E’ la via per comprimere i salari sperando di trovare capacità d’acquisto altrove: caratteristica in verità generale del capitalismo, particolarmente spiccata in quello italiano. Per questo la gioia dell’export è richiesta di permanente abbassamento salariale. E così dopo il Jobs Act, arriva il passaggio del contratto di lavoro. La linea di Confindustria è semplice: il Clup (Costo del lavoro per unità di prodotto) va abbassato, per poi essere ribassato, per poi essere di nuovo tagliato.

10. La ripresa è solo ripresa di tutte le contraddizioni già presenti. Il capitalismo internazionale balla sull’orlo di un nuovo crack, siede sulla montagna della sovrapproduzione, alimenta i venti di una guerra mondiale. E in mezzo a questo scenario infernale, c’è un tizio. Che corricchia piano e stancamente sempre sullo stesso posto. Con i suoi vecchi vizietti di stampare moneta, accumulare debito, consumare territorio. Fischietta contento, ha la faccia beota di Renzi, la battuta stronza di Berlusconi, la pulsione razzista di Salvini. Ecco, lo vedi quel tizio là: è il capitalismo italiano.

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