Contratto nazionale di nome, salario minimo di fatto

Editoriale del n. 37 di “Alternativa di Classe”

giuliano poletti

Ormai scaduto “l’ultimatum” del Ministro Poletti per la presentazione da parte dei sindacati confederali CGIL, CISL e UIL di un unico documento sulle “nuove regole” della contrattazione, il periodo natalizio pare aver favorito l’accordo. Ed ecco che Giovedì 14 i loro “Esecutivi unitari” (210 dirigenti sindacali! Quasi tutti funzionari…) hanno approvato all’unanimità “un documento di venti pagine”, che lascia fuori, per ora, solo il pubblico impiego. Va ricordato, innanzi tutto, che la proposta emerge da un quadro in cui il “diritto del lavoro”, per come era stato conosciuto dalla maggior parte dei lavoratori, di fatto non esiste più, anche se solo pochi e solo ora cominciano ad accorgersene, con il “Jobs act”, che rappresenta la “ciliegia” sulla torta che, fetta per fetta, si sono mangiati.

Con questo testo, intitolato “Un moderno sistema di relazioni industriali”, dichiaratamente per lo “sviluppo economico” e “la crescita del valore aggiunto”, tutto imperniato sulla “centralità dell’impresa”, e che andrà poi anche mediato con Confindustria, i sindacati confederali si dispongono pienamente “sdraiati” sul piano della “controparte”, che, per essi, rimane tale in modo sempre più sfumato, verso un’unità corporativa a diversi livelli. Nonostante la mera enunciazione del primato “del contratto a tempo indeterminato”, la netta preponderanza data al piano contrattuale “di II° livello” (aziendale o territoriale), con il livello nazionale a carattere prescrittivo (cioè contenente le “linee guida per lo sviluppo della contrattazione di secondo livello”), e non più fondativo ed unificante della condizione di lavoro, dà bene il senso di questo ennesimo misfatto!

Significativamente il quotidiano “La Stampa”, qualche giorno prima, già lo definiva come “salario minimo esteso a tutti”; altro che le lamentele di Squinzi per il fatto che è stata confermata l’esistenza del I° livello contrattuale! Certamente l’introduzione per legge di un basso “salario minimo”, come minaccia di fare il Governo Renzi, sarebbe preferibile per il padronato, innestando così un inseguimento al “ribasso salariale” nelle categorie più forti (o forse oggi è più esatto dire “meno deboli”), ma questo non può significare, ovviamente, continuare a perseguire, da parte sindacale, la “contrattazione di restituzione” di salari e diritti!
Il ragionamento di fondo del documento è che i cambiamenti sopravvenuti nel “sistema di impresa” non richiederebbero più “schemi rigidi ed immutabili” (com’era il vecchio “diritto del lavoro”), ma necessiterebbe una nuova “flessibilità”, tale da includere le nuove forme di lavoro “frammentato” (leggi: precarietà) sul terreno contrattuale. Unendo questo alla richiesta di un “intervento legislativo di sostegno”, a recepire il Testo Unico sulla Rappresentanza (TUR) del 10 Gennaio ’14 ed a definire “l’erga omnes dei Ccnl”, cioè la validità universale dei contratti, in alternativa al “salario minimo legale” di Poletti, si arriva a capire quale sia l’aspirazione fondamentale della “Triplice”: il monopolio della contrattazione sancito per legge dallo Stato! …affiancandolo, così, con un altro obiettivo, di certo per loro “non disprezzabile”: togliersi di torno anche quel “fastidioso” sindacalismo di base che continua a praticare la conflittualità. In definitiva, IL SINDACATO “CONFEDERALE” ED I SUOI FUNZIONARI STANNO “LOTTANDO” PER LA SOPRAVVIVENZA: la loro sopravvivenza!

Ma i guasti per i lavoratori, che questa “piattaforma” va ad introdurre, non si limitano a quanto detto finora! Ci sono le nuove forme di “partecipazione” al posto della “informazione”, le conferme della “flessibilità dei rapporti di lavoro”, sia in entrata che in uscita, e della “previdenza complementare”, l’apertura su una gestione anche sindacale dei licenziamenti collettivi, la “bilateralità”, compresa una sua “articolazione”, ed, infine, il cosiddetto “welfare contrattuale”, per giunta contrattato “nel quadro di un miglioramento complessivo della produttività…”. Il resto rimane immutato, quando non si tratta di fumose annunciazioni, a parte la questione salariale.
Infatti, rispetto all’evidente arretramento del salario sociale complessivo (cioè delle risorse di cui usufruiscono i proletari) di questi ultimi anni, causato da licenziamenti e contenimento salariale, dovuti alla volontà di lorsignori di far pagare la crisi ai proletari, su questo tema il documento è, quanto meno, disarmante. Di fatto non si perseguono più la difesa e l’ampliamento del potere d’acquisto dei salari, ma questo dipenderà anche dal welfare contrattuale, dai premi variabili, ecc. In altre parole, i minimi salariali nei quattro anni di vigenza contrattuale (che ritornano in auge) varieranno, ed il loro andamento dipenderà da “verifica e monitoraggio” di come saranno andati gli “indicatori di crescita economica e degli andamenti settoriali”; la contrattazione di II° livello, la sola per la quale si chiede la detassazione, sarà, invece, legata alla produttività, agli obiettivi aziendali, e via di questo passo. 

Non si riesce a capire l’insoddisfazione manifestata da Squinzi e dalla Confindustria per questo documento, considerato “peggiorativo”, se non si pensa al contratto dei chimici, già firmato, ed alla proposta di Federmeccanica per quello dei metalmeccanici. In essa, in coerenza con i principi del “pentalogo di Squinzi”, il contratto nazionale, a parte i minimi, dovrebbe rinviare tutto alla contrattazione decentrata, gli eventuali aumenti salariali non sarebbero per tutti e, per giunta, ne andrebbe “verificata”, l’anno successivo, la congruità con uno o più indicatori , i “premi di risultato” potrebbero anche essere erogati sotto la forma di “welfare aziendale”, gli scatti di anzianità andrebbero cancellati, sarebbero ridotti i poteri di contrattazione delle RSU, e via di questo passo! In pratica un ulteriore peggioramento rispetto ai “contratti di restituzione” firmati negli ultimi tempi! Inoltre, in una fase di rimescolamento di carte in Confindustria (a Maggio sarà eletto il nuovo presidente), la proposta governativa del “salario minimo legale” continua ad attrarre; se si pensa che la FIM-CISL ha eccepito, come riserva sul “Documento unitario del 14”, che il minimo salariale per i metalmeccanici, per via contrattuale, resterebbe troppo alto!…
Per quanto riguarda la CGIL, che ha ritrovato l’unità burocratica con CISL e UIL su di una proposta di modello contrattuale sostanzialmente corporativa, i media vogliono far passare la “Carta dei diritti universali del Lavoro”, da essa elaborata, come una sorta di “alternativa referendaria” al “Jobs act”. In realtà, si tratta di una bozza di “proposta di legge di iniziativa popolare”, ad oggi di 93 articoli, di un “nuovo statuto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori”, che riguarda anche il falso lavoro autonomo (legittimandolo, così, come tale), e sulla quale ha deciso di consultare in assemblea i propri iscritti per due mesi, fino al 19 Marzo. Si sono susseguite diverse presentazioni nelle principali città, l’ultima delle quali è stata quella di Lunedì 18 a Roma da parte di Susanna Camusso.
La bozza di proposta è, ovviamente, completamente emendabile, ed infatti sembra fatta apposta per recuperare consenso fra la propria base, giustamente delusa dalla sostanziale assenza della CGIL, specialmente in questo ultimo anno, dai problemi concreti dei lavoratori: insieme ad una generica “autocritica”, cui non corrisponde una vera prassi diversa dal recente passato, le strutture camerali hanno l’indicazione di svolgere capillari assemblee, in cui verrà chiesto agli iscritti l’assenso sui “principi cardine” (tra cui il TUR del 10 Gennaio ’14, e tutto quel che ne consegue…) ed una delega, in bianco, alla struttura nazionale ad elaborare il testo definitivo insieme a tutte le altre “forze sociali”, per portare in Parlamento una “proposta epocale” di regole nuove e diverse dal passato. Il tutto, che, viene detto, potrà essere accompagnato da (malaugurate – ndr) proposte referendarie ufficiali, è giocato sul piano della “democrazia formale”.
Il fatto che la CGIL preannunci che, da ora in poi, l’attenzione di tutta l’organizzazione, dalle assemblee di questi mesi, fino a tutto il 2016, sarà rivolta in modo prevalente all’affermazione di questi “nuovi diritti” (ad esempio, ed è fra i punti più validi, il reintegro nel posto di lavoro viene previsto solo per i “licenziamenti disciplinari” e nelle aziende sopra i cinque dipendenti), dopo aver lasciato passare, con sostanziale disattenzione, di tutto e di più contro gli stessi lavoratori, e mentre si appresta a trattare finanche sulla base del modello contrattuale corporativo, la dice lunga sulla sua intenzione per il futuro di continuare a non promuovere lotte vere, ed, anzi, di cercare di sviare i lavoratori da esse, per portarli sul solo, vischioso, piano del “confronto democratico”. E’ evidente che, insieme all’Area “Il sindacato è un’altra cosa – Opposizione CGIL”, contraria a tale operazione, questi intendimenti andranno ostacolati in tutti i modi, ben oltre il voto negativo nella consultazione!
Nel frattempo la crisi, nonostante i proclami di Renzi, smentito dagli stessi dati ISTAT, procede: i lavoratori e gli altri proletari la vivono sulla propria pelle, e, stando così le cose, un futuro in tinte rosa lo possono vedere solo lorsignori! Ma se da un lato incombono le illusioni elettorali, dall’altro i venti di guerra, con il diretto coinvolgimento italiano, si rafforzano: in Afghanistan, Kosovo, Iraq, Palestina, Libano e Sinai già sono presenti truppe italiane, come anche in Libia, dove si parla, addirittura, di assumere “il comando delle operazioni” belliche. Il peggioramento continuo delle condizioni proletarie può essere battuto solo con una concreta ripresa della lotta di classe, sia qui, che in tutta Europa, collegandosi agli altri proletari: con urgenza ne va capita l’urgente necessità!

Alternativa di Classe

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