Messico – Il narcotraffico non finirà con l’arresto del Chapo

Ed Vulliamy, The Guardian, Regno Unito. Traduzione a cura di Internazionale

A luglio il capo del cartello di Sinaloa era scappato da una prigione di massima sicurezza. Ora è di nuovo in carcere, ma la violenza in Messico non diminuirà

L’arresto del capo del cartello di Sinaloa, Joaquín Guzmán Loera detto El Chapo, avvenuto l’8 gennaio, segna un momento fondamentale per il Messico e per il narcotraffico globale, anche se non è chiaro quali saranno gli sviluppi. Per ora abbiamo alcu- ne certezze. Guzmán è un astuto uomo d’affari che vende prodotti da cui le società avanzate dipendono come dal petrolio: la cocaina e altre droghe, comprese l’eroina e la metanfetamina. I suoi affari sono garantiti dal fatto che la dipendenza dalla droga non scomparirà mai, così com’è impossibile che le banche decidano di non accogliere più gli enormi profitti provenienti dal narcotraffico. Guzmán sa benissimo che il consumo di stupefacenti continuerà anche dopo la sua morte. Ma cos’ha portato all’arresto del boss e quali saranno le conseguenze? La prima ipotesi è che sia stata una messa in scena e che Guzmán gestirà i suoi affari dalla prigione. Inoltre, anche se in carcere venisse neutralizzato, un suo erede potrebbe assumere il comando del cartello e gestirlo secondo i princìpi del vecchio capo.

Entrambe le ipotesi partono dal presupposto che il cartello di Sinaloa, la più grande e ricca organizzazione criminale del mondo, resti al suo posto e continui a sfruttare il legame (informale nella migliore delle ipotesi, complice nella peggiore) con lo stato messicano o almeno con molti suoi funzionari.

La vecchia generazione

L’alleanza tra lo stato e Guzmán esiste da decenni e risponde a una logica precisa: il cartello, con la sua struttura a piramide quasi aziendale, è nella posizione ideale per mantenere l’ordine, la cosiddetta pax mafiosa. La mafia preferisce la pace alla guerra. La violenza esplode solo quando la plaza, la piazza, è irrequieta, non quando il potere è solido. A volte, però, il referente dello stato nel mondo criminale diventa così potente da creare uno stato nello stato e trasformarsi in una minaccia. È successo al cartello di Medellín di Pablo Escobar. È possibile che il presidente messicano Enrique Peña Nieto abbia pensato che fosse il momento di far fuori Guzmán: molti commentatori propendono per quest’ipotesi. Forse Peña Nieto deciderà di estradare El Chapo negli Stati Uniti, dove sarebbe processato e non potrebbe organizzare nessuna “fuga” miracolosa. Guzmán ha ottimi amici da entrambi i lati della frontiera, anche negli ambienti finanziari e fra i trafficanti di armi. E se in tribunale giocasse le sue carte con intelligenza potrebbe trascinare nel fango diverse personalità di spicco. Per questo è probabile che il processo del secolo si svolgerà in segreto. C’è un precedente: il rivale di Guzmán, Osiel Cárdenas Guillén, fondatore e leader degli Zetas, fu estradato negli Stati Uniti nel 2007 e la stampa cercò invano di assistere al processo. Il riferimento agli Zetas ci porta a un’ultima possibilità. Quello di Sinaloa è l’ultimo dei vecchi cartelli patriarcali, simile per molti aspetti alla mafia siciliana. Nello stato di Sinaloa El Chapo è venerato e ammirato più di quanto sia temuto o odiato. Invece nelle zone controllate dagli Zetas la gente ha paura perfino di pronunciare il nome dell’organizzazione. È possibile che il cartello di Sinaloa sia in difficoltà, danneggiato dagli assalti alla sua egemonia sferrati dagli Zetas e dai loro alleati. I cartelli non sono nemici del capitalismo globale e nemmeno una sua parodia. Al contrario, sono i modelli a cui quel capitalismo s’ispira. Il libero commercio nel continente americano è stato inventato da Pablo Escobar.

Ma quella era un’altra generazione, la stessa che ha allevato Guzmán. Come in qualunque gruppo aziendale, anche nel business del narcotraffico la gestione si evolve con il succedersi delle generazioni: i nuovi cartelli come gli Zetas stanno preparando la scena per un mondo fatto di capitalismo puro e senza freni che si lasci alle spalle il vecchio modello aziendale patriarcale. Forse l’avanzata degli Zetas è stata uno dei presupposti per l’arresto di Guzmán. Magari El Chapo, non riuscendo più a garantire la pax mafiosa, è stato scaricato dai suoi alleati nello stato. Se questo ha contribuito al suo arresto, la situazione peggiorerà molto prima di migliorare. Se mai migliorerà.  as

Ed Vulliamy è un giornalista britannico. Ha scritto Amexica: war along the borderline (Vintage 2011).

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