Ikea e…il carcere
Tutte e tutti conosciamo il marchio Ikea. Forse abbiamo dentro casa qualcuno degli oggetti in vendita. Comprensibile, ha i prezzi bassi.
Ma ci siamo mai domandati come la multinazionale Ikea si può permettere quei prezzi bassi?
*per un verso i suoi manufatti sono prodotti in paesi dove il salario dei lavoratori è a livelli infimi e le condizioni di lavoro sono vicine alla schiavitù;
*per un altro verso perché sfrutta pesantemente i lavoratori nei suoi magazzini, depositi e punti vendita in Italia. Vedi post precedenti qui e qui
Le condizioni di sfruttamento per chi lavora in Ikea sono conosciute ovunque da quando alcuni lavoratori Ikea addetti al facchinaggio, volendo migliorare le proprie condizioni salariali e di lavoro, si sono autorganizzati con un sindacato di base (il SI Cobas) e, con l’appoggio di compagni e compagne, hanno iniziato una vertenza su alcuni obiettivi importanti. Per tutta risposta la direzione Ikea non ha saputo far altro che licenziare 24 facchini del deposito di Piacenza, i più attivi in questa vertenza. Un licenziamento vigliacco, che ci riporta ai tempi passati e bui quando il rapporto tra padroni e lavoratori salariati era dittatoriale. Ikea vuole che i “propri” lavoratori subiscano in silenzio lo sfruttamento e non ardiscano ad alzare la testa.
Ma la solidarietà attiva stavolta si è fatta sentire e molti lavoratori della logistica (facchinaggio) di tutte le aziende si stanno battendo, da mesi, per la riassunzione dei 24 licenziati con picchetti e manifestazioni di fronte al deposito Ikea di Piacenza.
L’immagine dorata di Ikea si è infranta grazie a questa lotta e alla solidarietà che si è estesa in tutto il paese, mandando in frantumi gli sforzi di padron Ikea che aveva intrigato tanto per costruirsi un’immagine nobile, anche facendo “donazioni” a luoghi di pena, ossia alle carceri:
*Come si arreda un Carcere insieme ad Ikea e A Roma Insieme, con un progetto di riarredamento degli spazi comuni e dell’area esterna della sezione femminile del carcere romano di Rebibbia sostenuto dalla nostra Associazione e dal punto vendita Ikea di Anagnina. Leggi qui
*Caffè per i familiari, scivoli per i figli: così cambierà lo spazio-incontri. Un bar e un’area giochi firmati Ikea nel Giardino degli Incontri di Sollicciano. Leggi qui
E via così. Far vedere che si vuole aiutare chi sta in carcere, hanno pensato i dirigenti Ikea, ripulisce l’immagine sporcata dai licenziamenti ingiustificati.
Inoltre padron Ikea ha un altro obiettivo. Poiché la sua politica aziendale si basa su salari bassi e sfruttamento durissimo, e poiché i lavoratori, dopo un po’, si incazzano e passano a lotte per miglioramenti, qual’è la soluzione? Semplice: far lavorare i carcerati. Dentro il carcere chi lavora ha una paga inferiore a chi lavora da “libero”, non può organizzarsi in sindacato, né tenere assemblee, e nemmeno fare scioperi, né volantinaggi, né picchetti, deve lavorare e…non può ribellarsi.
…quindi:
Il carcere diventa la sartoria dell’Ikea (da: Il Resto del Carlino, 1 ottobre 2014)
Bologna, 1 ottobre 2014 – Per modificare orli, merletti, grembiuli e tovaglie dell’Ikea di Casalecchio di Reno rivolgersi alla sartoria del carcere della Dozza a Bologna “Gomito a Gomito”. A
personalizzare l’acquisto dei clienti che lo richiedono, penseranno le detenute che da 4 anni lavorano nel laboratorio sartoriale realizzato dell’Amministrazione penitenziaria e dalla cooperativa Siamo qua. Una collaborazione, quella con il punto vendita della multinazionale svedese, iniziata già un anno fa quando furono donate stoffe e altri materiali al laboratorio…
(l’intero articolo su il Resto del Carlino si può leggere qui e anche su la Repubblica qui )
Chi sta in carcere e chi è appena uscito/a ha urgente bisogno di salario e lavoro per sopravvivere ed è costretto/a di accettare qualunque condizione.
Anche per questo sporco business esistono le galere!
ABOLIAMOLE!!!