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pubblicato il 30.05.08
Comunicati e commenti dopo ultime dichiarazioni sull'aggressione al Pigneto
·
COMUNICATO DOPO ULTIME DICHIARAZIONE SU AGGRESSIONE AL PIGNETO

Le mobilitazioni spontanee che sono seguite all’aggressione rappresentano la reazione di un quartiere a quello che, nei modi e nello spirito, rimane un’aggressione fascista.
Le assemblee e il corteo hanno rappresentato il modo di riprendersi le strade senza paura e prendere distanza dal teorema folcloristico dell’assalto neonazista, funzionale solo a fomentare un clima di paura e securitario che noi rifiutiamo.
Il Pigneto ha preso parola per dichiarare che non vuole sceriffi, speculatori, razzisti e non vuole una guerra tra poveri ma affermare il diritto di tutti ad essere rispettati. Gli immigrati hanno gridato di essere parte integrante ed attiva della collettività e di non voler essere il capro espiatorio del malessere sociale e del degrado di questa città .
Il centro sociale insieme agli abitanti del quartiere hanno dato una lettura chiara dell’accaduto, condannando l’atto fascista e nello stesso tempo mettendo in luce le responsabilità politiche, il disagio sociale e la matrice xenofoba da cui scaturisce l’aggressione.
La matrice xenofoba sta nel sentirsi padroni di casa e sentirsi legittimati ad armarsi contro il bengalese oggi, la zecca e la lesbica domani.
Le responsabilità politiche sono di chi fomenta l’odio per il diverso e la caccia allo straniero e di chi in questi anni ha amministrato questa città e questo municipio privilegiando gli interessi economici di pochi a discapito di tutti.
Il Pigneto non può accettare nessuna strumentalizzazione della destra tendente a ribaltare il clima politico-culturale in cui l’aggressione si inserisce e nessuna ipocrita deresponsabilizzazione della sinistra istituzionale.
Spenti i riflettori del circo mediatico il disagio al Pigneto rimane quello di pagare 500 euro un posto letto, stare sotto sfratto, non avere spazi gioco per i più piccoli, non avere accesso agli asili nido, ritrovarsi un’isola pedonale trasformata in un divertimentificio al servizio del profitto lecito e illecito e non dei cittadini, senza essere quello spazio di socialità e incontro per il quale il quartiere ha lottato per anni.
A questo punto la rabbia da esprimere, ogni giorno, sarà quella per affermare il diritto ad una vita dignitosa.

C.S.O.A. EX SNIA VISCOSA





mail ad infoantifa del giovedì 29/05/2008 23.35


la testata del Messagero sulla confessione di uno dei squadristi che hanno attaccato gli stranieri del Pignete romano va così:

"Pigneto, confessa l'aggressore: «Sono di sinistra»" «Non chiamatemi razzista, ho il Che tatuato sul braccio e sono di sinistra.»

il Messagero falsifica cosi il testo dell'unica intervista che ha dato Dario Chianelli alla Repubblica. Cosa ha detto Chianelli...

«Eccome qua, io sarei il nazista che stanno a cercà da tutti i pizzi. Guarda qua. Guarda quanto so´ nazista...». La mano sinistra solleva la manica destra del giubbetto di cotone verde che indossa, scoprendo la pelle.
L´avambraccio è un unico, grande tatuaggio di Ernesto Che Guevara.

«Hai capito? Nazista a me? Io sono nato il primo maggio, il giorno della festa dei lavoratori e al nonno di mia moglie, nel ventennio, i fascisti fecero chiudere la panetteria al Pigneto perché non aveva preso la tessera».
L´uomo ha 48 anni. Delle figlie ancora piccole. Una storia difficile di galera e di imputazioni per rapina.

Indica la foto sulla prima pagina dell´edizione di "Repubblica" del 27 maggio. Quella scattata durante il raid con il telefono cellulare da uno dei testimoni dell´aggressione. «Ecco. Io sono questo qua. Questo cerchiato con il marsupio e la maglietta rossa, che si vede di spalle. La maglietta è una Lacoste. Adesso ti racconto davvero come è andata. Ti racconto la verità prima che mi si bevono. Perché la verità, come diceva il Che, è rivoluzionaria. La politica non c´entra un cazzo. Destra e sinistra si devono rassegnare. Devono fare pace con il cervello loro. Non c´entrano un cazzo le razze. Non c´entra - com´è che se dice? - la xenofobia."

il messaggio di Dario Chianelli sembra chiaro: "la destra=la sinistra"...la solita tesi degli "opposti estremismi", il Messagero fa il resto...




Testimone la giornalista conferma Raid Fascista al Pigneto

Raid del Pigneto. «Non era Chianelli il capo della banda: il capo era un nazista»
L’unica testimone ripete: «L’ho già detto alla Digos: il capo era giovane, aveva una bandana, un foulard con la svastica».
di Anna Tarquini

Simona, la giornalista dell’Agenzia Italia testimone diretta del raid xenofobo al Pigneto, ha ancora «l’immagine chiara» davanti a se. «Quell’uomo - racconta a l’Unità - avrà avuto sui 25 anni e aveva la svastica, era lui che guidava i violenti». Eppure tutta l’attenzione si è spostata sul pregiudicato Dario Chianelli, e sulla sua versione dei fatti: «Non è razzismo, ma la vendetta di quartiere contro uno scippo». Ma tante cose in questa ricostruzione non tornano: «Ha detto che avevano tutti il casco, ma stranamente - prosegue Simona - quello che ho visto io il casco non ce l’aveva. Dicono che c’era anche un ragazzo di colore tra gli aggressori, ma certo l’avrei notato». Ma forse per tanti - anche giornalisti - è più comodo credere a un balordo...
Ripartiamo dalla svastica. L’aggressore del Pigneto aveva o non aveva la svastica? Simona, la cronista dell’Agi che in diretta, seduta sul sellino del suo motorino, ha dettato il primo lancio di agenzia sul raid ancora oggi è sicura di sì, c’era. Ed è certa anche di un’altra cosa: questa storia è molto brutta e si sta dando più credito alla versione di un uomo che ha pure più di un precedente penale rispetto a quella di una giornalista che suo malgrado è stata testimone diretta. «Io ho visto quello che ho scritto, né più né meno. Ho visto questa bandana o questo foulard con dei segni tra cui la svastica. L’ho già detto anche alla Digos». Simona, lo diciamo subito noi, è stata minacciata. In questi giorni ha mantenuto un rigoroso silenzio sulla vicenda, anche se il suo mestiere è raccontare. Lo ha fatto perché è testimone, naturalmente, ma anche perché qualcuno le ha detto papale papale: «Al Pigneto è meglio che non ti fai rivedere per un po’». Simona non crede alla versione di Dario Chianelli, non ricorda di averlo visto davanti all’alimentari del bengalese. Dice: «può essere pure che ci fosse, ma io ho denunciato un’altra cosa, ho descritto un altro uomo come capobanda».
Ripartiamo dai fatti. La rabbia del quartiere, la violenza, l’intolleranza. Poche ore dopo il pestaggio già gira una versione che dice: «Non è razzismo, ma la storia di uno scippo vendicata dal quartiere». Ma in quelle stesse ore e ancora oggi c’è un altro fatto incontestabile: Simona, sabato 24 maggio, alle 17.15 è seduta sul motorino davanti all’alimentari del bengalese e vede arrivare un uomo seguito da altri dieci ragazzi urlanti. Alza il telefono e cerca, invano, di chiamare il 113. «L’immagine è ancora chiara davanti a me. Avrà avuto 20 forse 25 anni e aveva la svastica». Ecco il suo racconto: «Io in questi giorni non sono intervenuta. Ho fatto il mio dovere di cronista, l’ho detto alla Digos, loro hanno detto la loro verità va bene così. La cosa più bella è che per alcuni giornali, come dire, quello che ha detto una persona che comunque ha precedenti penali è oro colato. È arrivato là da solo, c’era casualmente, insomma. Ha detto che avevano tutti il casco, ma stranamente quello che ho visto io il casco non ce l’aveva. Poi ora dicono che c’era anche un ragazzo di colore tra gli aggressori, ma forse l’avrei notato invece non l’ho notato. Insomma una serie di cose che mi lasciano francamente perplessa. Però, siccome io non faccio la commentatrice, e siccome mi hanno fatto capire che devo stare attenta e non avvicinarmi al Pigneto, allora il mio profilo è ancora più basso. Dopodiché magari venisse fuori, ma a questo punto secondo me non verrà mai fuori». Per carità. Tutto può essere. «Magari - dice Simona - quelli erano veramente un’accozzaglia di gente del quartiere, magari la svastica non sanno nemmeno che vuol dire. Boh. Però so che la svastica uno ce l’aveva, poi figurati se può venir fuori, evidente che no».
Il giorno dopo il pestaggio la Digos offre la sua versione: la politica non c’entra. È uno sgarro mischiato all’intolleranza del quartiere che non ne può più di spaccio e risse. Il responsabile - dice sempre la Digos - è un uomo che cercava di riavere il portafogli da un certo Mustafà. Poi è la vendetta verso i bengalesi a colpi di bastone e di sloga: «Immigrati bastardi».
L’altra versione. Niente slogan, niente frasi come «negri bastardi». I dieci, quindici energumeni che hanno preso a mazzate le vetrine dei bengalesi non parlavano, urlavano, come se la spedizione punitiva fosse studiata da tempo a tavolino e dovesse essere rapida e precisa. Già una settimana fa Simona era stata precisa su questa circostanza. Oggi lo è ancora di più. «Sì, urlava e chiamava gli altri. Tra l’altro io ho letto che quello con la magliettina rossa, quello che si è costituito, Chianelli, dice che era il primo. E che poi gli altri sarebbero arrivati dopo. Ora, io ero seduta sul mio motorino, quindi se lui è venuto, a volto scoperto, passeggiando tranquillamente e si è messo davanti all’alimentari può anche essere che io non l’abbia visto. È possibile. E poi sono arrivati gli esagitati dietro, può essere. Detto questo io però ho davanti l’immagine del primo che arriva urlando come un pazzo, arrivano tutti urlando e insieme come massa di dieci persone, quindici persone si gettano contro quello là, contro il bengalese». Il primo che arriva davanti all’alimentari, il capo, secondo Simona non è Chianelli. «Mi sembrava un giovane. Io ho detto anche alla Digos che, considerato che era abbastanza snello, poteva avere sui 25 anni. Però questa è proprio una deduzione. Non era assolutamente Chianelli, anche perché la magliettina rossa mi avrebbe colpito, no? Invece proprio no, non aveva la maglietta rossa. Chianelli dice che è arrivato da solo, questi non li conosceva, giusto? Però poi lui dice: “però io sono di sinistra quindi non c’entra questo fatto della svastica, il razzismo non c’entraâ€. Però se tu non li conosci non sai quelli come si sono bardati, no? O forse li conosci perché hai visto che possono essere ragazzotti del quartiere, ma tu, se non li conosci, non lo sai quello che si sono messi addosso. Almeno dovrebbe essere così. C’è qualcosa che non mi torna, dopodiché...». Dopodiché Dario Chianelli si offre alla stampa. Racconta il raid, dice: «Sono stato io e la politica non c’entra». Giovedì 29 a mezzogiorno si costituisce. Viene interrogato e poi viene lasciato libero di tornare a casa, accolto tra gli applausi dal Pigneto. Di più. Ormai rinfrancato il quartiere confessa che tra i mazzieri c’è anche un immigrato. «La cosa più grave è la strumentalizzazione - dice Simona - , nel senso che tu fai una cosa, per me è stato uno choc terribile, e tu vedi poi che i colleghi credono più a un balordo che dice delle cose piuttosto che a una persona che non ha motivo di dirti una cazzata. Perché c’era la svastica o non c’era la svastica, sempre quello è. Sempre violenza è. Quindi non capisco perché se c’è la svastica allora è fascista ed è più grave? Io non scrivo per l’Unità, io lavoro per l’Agi quindi... non avrebbe proprio senso. Una storia proprio brutta, proprio brutta».

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