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pubblicato il 1.11.08
Guaglianone: Il "cassiere" dei Nar
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Il "cassiere" dei Nar
La storia giudiziaria di Pasquale Guaglianone: la sentenza della Corte di cassazione
Redazione - Osservatorio democratico - 03/10/2008

È comparsa nei giorni scorsi sul sito d'estrema destra www.vivamafarka.com una lamentela di tale “Orionâ€, alias Maurizio Murelli, circa una presunta diffamazione nei confronti di Pasquale Guaglianone, noto finanziatore di Cuore nero, definito da Saverio Ferrari in un'intervista “ex tesoriere dei Narâ€. Nell'occasione si è anche data notizia dell'intenzione dello stesso Guaglianone di procedere per vie legali.
Crediamo, a questo punto, di fare cosa utile, pubblicando la sentenza della Corte di cassazione del 6 aprile 1995, in cui lo stesso Guaglianone, definito dal giudice istruttore Guido Salvini, nella sua Ordinanaza di rinvio a giudizio del 9 ottobre 1989, “uomo di fiducia e cassiere di Cavalliniâ€, ovvero dei Nar milanesi, venne definitivamente condannato per associazione sovversiva, banda armata e riciclaggio.
In primo grado, il 22 ottobre 1992, Pasquale Guaglianone riportò una condanna a cinque anni di reclusione. Il 24 giugno 1994 la Corte di assise di appello di Milano confermò la sentenza, riconoscendo all'imputato le attenuanti generiche per i reati di partecipazione a banda armata e riciclaggio, riducendo la condanna di qualche mese.
Riguardo al sito “vivamafarka†e alle sue calunnie nei confronti di Saverio Ferrari, accusato di reati per i quali non fu mai imputato, ne tantomeno condannato, lo stesso procederà con regolare denuncia all'autorità giudiziaria.

CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg:
Dott.
Gaetano
SURIANO
Presidente

Dott.
Fortunato
PISANTI
Consigliere

Dott.
Bruno
OLIVA
Consigliere

Dott.
Francesco TRIFONE
Rel.

Dott.
Nicola MILO
Rel.

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sui ricorsi proposti da PRUDENTE LORENZO, nato a Torino il 22 gennaio 1956;
GUAGLIANONE PASQUALE, nato a San Sosti il 22 gennaio 1955;
CALVI ANDREA, nato a Milano il 10 giugno 1961;
ADDIS MAURO, nato a Carbonia il 21 dicembre 1954
avverso la sentenza della Corte di Assise di Appello di Milano deliberata in data 24 giugno 1994 e depositata il 31 agosto 1994

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso,
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dotto F. Trifone; Udito, per la parte civile, l'avv. -
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dottor Oscar Cedrangolo, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi di PRUDENTE, GUAGLIANONE, e CALVI e per la inammissibilità del ricorso di ADDIS; Dato atto che nessun difensore è comparso per gli imputati;

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 22 ottobre 1992 la Corte di Assise di Milano condannava a pene ritenute di giustizia Lorenzo Prudente, Pasquale Guaglianone, Mauro Addis ed Andrea Calvi.
Lorenzo Prudente e Pasquale Guaglianone erano giudicati colpevoli:
A) del delitto di cui agli artt. 110, 112, n. 1, all'art. 270, comma 3, all'art. 270-bis, comma 2, c.p. e all'art. 11 della legge n. 304 del 1982 perché, in concorso con numerose persone, partecipavano ad una associazione volta a sovvertire gli ordinamenti economici e sociali costituiti nello Stato, a sopprimere il sistema delle rappresentanze parlamentari nonché a compiere atti di violenza con fini di terrorismo e di eversione dell'ordine costituzionale, in particolare contribuendo essi a creare una struttura associativa interamente clandestina, la quale, per il conseguimento dei suddetti fini terroristici e di eversione, progettava e compiva attività delittuose strumentali, fra cui reati contro la fede pubblica ed il patrimonio diretti al finanziamento dell'organizzazione ed al procacciamento di documenti di identità; predisponeva idonei rifugi per i militanti colpiti da provvedimenti restrittivi; acquistava ingenti quantitativi di armi, munizioni ed esplosivi per l'apprestamento degli strumenti operativi dell'associazione e per la installazione delle sue basi o "covi"; progettava e compiva attentati alla vita ed alla incolumità di persone nell'esercizio ovvero a causa delle loro pubbliche funzioni;
B) del delitto di cui agli arti. 110, 112, n. 1, all'art. 306, comma 2, c.p., all'art. 1 della legge n. 15 del 1980 ed all'art. 11 della legge n. 304 del 1982, perché, in concorso con numerose persone, al fine di commettere il delitto di associazione sovversiva, di cui innanzi, partecipavano ad una banda armata mediante l'acquisizione per gli associati, con forme e modalità diverse, di scorte di armi e di esplosivi, compendio di furti e rapine, ed avvalendosi di dette armi per la consumazione di attentati e delitti del tipo di quelli indicati innanzi. Il solo Prudente veniva dichiarato, altresì, responsabile di porto e detenzione di armi da guerra e comuni da sparo in luogo pubblico, in concorso con più di cinque persone, al fine di commettere più rapine in Lugano. Il Guaglianone veniva anche giudicato colpevole del delitto di cui agli artt. 110, 648-bis c.p., perché, in concorso con persone non identificate, compiva atti diretti a sostituire un rilevante numero di brillanti, provenienti dalla rapina compiuta in Roma il 16 settembre 1981 in danno dell'orefice Marletta, con denaro liquido al fine di aiutare gli autori di detta rapina, tra essi Stefano Soderini, ad assicurarsi il profitto del reato, ricevendo detti brillanti ed interessandosi per la vendita di essi. Mauro Addis era giudicato colpevole, a sua volta, di detenzione e porto illegale di armi comuni e da sparo, di ricettazione di un "camper" sottratto in Milano al detentore Domenico Olivieri, reati tutti in concorso con Gilberto Cavallini, Valerio e Cristiano Fioravanti, Francesca Mambro, Carla Martelli e Stefano Soderini, nonché di tentativo di procurata evasione di Giuseppe Di Girolamo, detenuto. Ad Andrea Calvi, infine, era attribuita la responsabilità, in ipotesi di reato continuato, di rapina commessa con armi dell'importo di lire 834.000, in danno della cassa del teatro ELFO in Milano - somma che, in concorso morale con gli autori materiali, sottraeva al personale dipendente - nonché di detenzione illegale delle armi, usate per la rapina medesima. L'istruttoria, che aveva dato luogo al processo, era iniziata a seguito delle dichiarazioni accusatorie di Stefano Soderini in ordine alla illecita sua attività connessa alla militanza in quel settore dei N.A.R., detto della "banda Cavallini, nel periodo degli anni 1980-1982, quando i componenti del sodalizio si erano spostati a Milano in cerca di aiuti nell'ambiente politico dell'estrema destra e da parte della delinquenza comune. Il trasferimento a Milano dei componenti della "banda" - che comprendeva come esponenti di rilievo, oltre al Soderini, i fratelli Fioravanti, Francesca Mambro e Pasquale Belsito - si era reso necessario a seguito dei pressanti controlli delle forze dell'ordine, successivi alla strage alla stazione di Bologna ed ai numerosi arresti, fra i militanti dell'eversione di destra, conseguenti alla collaborazione prestata all'autorità giudiziaria da Walter Sordi. In Milano, infatti, il Cavallini aveva conservato rapporti e contatti e, quivi, nel novembre 1980, Cavallini e Soderini avevano ucciso il brigadiere dei carabinieri Ezio Lucarelli; nel novembre del 1982, nel caso di una rapina al Banco di Napoli di viale Zara, Soderini e Belsito avevano ucciso la guardia giurata Erminio Carloni e, ancor prima, Mauro Addis aveva compiuto l'omicidio di Cosimo Todaro e della sua convivente ed altri soggetti, collegati agli attuali imputati, erano stati scoperti come partecipanti a banda armata. Le dichiarazioni di Stefano Soderini, rese dopo che lo stesso aveva compiuto la scelta di collaborazione con l'autorità giudiziaria, avevano consentito di delineare i termini dei suoi rapporti con Andrea Calvi e con altri a costui collegati, quali Lorenzo Prudente e Pasquale Guaglianone, e di fare luce su altri episodi di minore valenza criminale. Oltre alle dichiarazioni accusatorie del Soderini, venivano acquisite anche quelle di analoga portata di Cristiano Fioravanti, componente dei N.A.R. Il solo Mauro Addis rendeva confessione per tutti i delitti a lui ascritti, mentre gli altri tre imputati protestavano la loro innocenza. Il giudice di primo grado ne affermava la responsabilità, per i delitti a ciascuno contestati, in base alle dichiarazioni accusatorie di Stefano Soderini, ritenute idonee perché confortate da risconti, provenienti da altri coimputati e da situazioni di fatto sicuramente accertate. Contro la sentenza proponevano appello tutti gli imputati. La impugnazione di Mauro Addis riguardava la sola richiesta di applicazione della continuazione tra i reati, di cui alla sentenza impugnata, e quelli di cui al precedente giudicato, in data 5 novembre 1987, della Corte di Assise di Appello di Milano.
Gli altri imputati, nel denunciare la erronea applicazione dell'art. 192 c.p.p. in tema di chiamata in correità, lamentavano che il primo giudice non aveva ritenuto inattendibili le dichiarazioni del Soderini, che in altri procedimenti era stato giudicato poco affidabile, tanto da essere stato denunciato per calunnia. Lorenzo Prudente deduceva, altresì, quanto alla affermata sua responsabilità per adesione alla banda armata, che al più la sua condotta poteva integrare il favoreggiamento del Cavallini e degli appartenenti al gruppo, secondo la tesi prospettata anche da Pasquale Guaglianone, il quale domandava anche la qualificazione come favoreggiamento reale o ricettazione del delitto di riciclaggio e, in via ulteriormente gradata, previa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale con l'ammissione come teste della moglie del Soderini, il riconoscimento della diminuente, di cui all'art. 114 c.p., e la riduzione della pena al minimo. Andrea Calvi, in via gradata, domandava il riconoscimento delle diminuenti ex artt. 114 e 116 c.p. con la riduzione della pena al minimo ed i benefici. La Corte di Assise di Appello di Milano, con sentenza deliberata in data 24 giugno 1994 e depositata il 31 agosto 1994, dichiarava estinto per intervenuta prescrizione il delitto di tentata procurata evasione ascritto a Mauro Addis, cui riconosceva la continuazione dei restanti reati con quelli, di cui al precedente giudicato, con conseguente rideterminazione della complessiva pena; riconosceva a Lorenzo Prudente ed a Pasquale Guaglianone le attenuanti generiche, anche per i reati di partecipazione a banda armata e riciclaggio ex art. 648-bis c.p., e riduceva, per l'effetto, le pene inflitte; confermava nel resto la sentenza impugnata. Quanto alla impugnazione del Prudente, la Corte di secondo grado giudicava attendibili le dichiarazioni del Soderini, confermate da quelle analoghe rese da altri imputati e per le quali un puntuale riscontro era nelle medesime ammissioni dello stesso imputato dei fatti attribuitigli, anche se dei medesimi veniva dato, da parte dell'interessato, un significato diverso. Rilevava, anche a confutazione di specifica argomentazione del Guaglianone, che la banda armata dei N.A.R. non era affatto in via di dissolvimento all'epoca in cui venivano attuate le condotte criminose degli imputati. Evidenziava la serie di comportamenti del Prudente, che denotavano non un mero favoreggiamento di alcuni appartenenti alla banda, ma la vera e propria partecipazione dello stesso alla associazione, mediante il contatto con i maggiori esponenti e lo svolgimento di intensa e precipua attività a favore di essa nel periodo in cui era avvenuto il trasferimento a Milano degli altri partecipanti. Considerava, infine, quanto al delitto in tema di armi, che l'imputato aveva ammesso i fatti contestatigli e le modalità con le quali gli espatri erano stati effettuati, con indicazione delle persone che aveva aiutato, nella consapevolezza che prestava la sua attività non a favore di amici in difficoltà, bensì per personaggi di spicco dell'organizzazione. Relativamente alla impugnazione del Guaglianone, il giudice di appello ribadiva la intrinseca attendibilità di Stefano Soderini, non inficiata da eventuali e contrari giudizi espressi in altri processi, poiché per una esatta valutazione di una specifica chiamata in correità non è metodologicamente corretto una generale formulazione di credibilità, ma occorre procedere alla verifica della singola accusa. Esponeva analiticamente tutte le circostanze [elencate da sub a) a sub g) alle pagine da 36 a 38 della sentenza] utilizzabili quali riscontri esterni ai sensi dell'art. 192, comma 3, c.p.p. Aggiungeva che il medesimo imputato aveva ammesso di conoscere e di avere frequentato le persone in vario modo collegate agli episodi delittuosi, che lo riguardavano. Concludeva circa la insussistenza di dubbi in ordine alla ipotizzabilità dei reati associativi, giacché la intensità dei comportamenti, la reiterazione dei medesimi e lo stabile inserimento dell'imputato nella organizzazione eversiva si collocavano in epoca, in cui la banda armata, denominata N.A.R., si era trasferita nella zona di Milano, ove svolgeva la sua attività. Per il reato di riciclaggio ex art. 648-bis c.p. - premesso che il contesto d'illegalità, in cui l'operazione era stata realizzata; la personalità del Soderini, che non poteva disporre in modo lecito di un ingente quantitativo di brillanti; il fatto notorio del finanziamento dei movimenti eversivi con il provento di rapina erano circostanze univocamente escludenti la buona fede dell'imputato, quanto all'illecita provenienza dei preziosi - la prova di esso la Corte di merito traeva dalle dichiarazioni di Moccia e Castoldi e dalle annotazioni sull'agenda delle somme ricevute. Nelle condotte del Guaglianone, infine, la Corte territoriale non ravvisava in alcun modo spazio di applicabilità delle norme ex artt. 114 e 116 c.p., invocate, peraltro, in motivo di appello solo enunciato e privo di argomentazioni. Sull'appello del Calvi, disattesa la istanza di rinnovazione del dibattimento al fine di sentire la concorrente Serena De Pisa, la quale, pur avendo definito la sua posizione processuale ai sensi dell'art. 599, comma 4, c.p.p., aveva tuttavia sempre manifestato la sua estraneità alla rapina, la Corte di merito ribadiva il giudizio di colpevolezza dell'imputato, basato sulla chiamata in correità "de relato", secondo quanto l'altro concorrente Belsito aveva dichiarato al Soderini circa le informazioni che il Calvi aveva fornito per la commissione del reato e la indicazione del luogo esatto ove il danaro veniva riposto. Il Calvi, infatti, - considerava la Corte di merito - era bene a conoscenza dei particolari e delle circostanze relativi al luogo della rapina, poiché in precedenza aveva lavorato al teatro dell'ELFO. Lo stesso, inoltre, aveva sempre offerto il suo aiuto a "camerati" in difficoltà, quali in quel momento erano i due concorrenti De Pisa e Belsito. Sulla richiesta dell'attenuante ex art. 114 c.p. e della applicazione dell'art. 116 c.p., immotivatamente reclamate, la Corte non ravvisava le condizioni per la ipotizzabilità in concreto di nessuna delle due norme. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati. Mauro Addis alla impugnazione non ha fatto seguire i motivi. Lorenzo Prudente e Pasquale Guaglianone denunciano, come motivi ad essi comuni, vizio di motivazione della sentenza, quanto alla ritenuta attendibilità di Stefano Soderini, la cui credibilità in altra sede era stata del tutto esclusa, e violazione della norma di cui all'art. 306 c.p. per l'assenza del dolo specifico richiesto dalla norma. Il Guaglianone lamenta, altresì, travisamento del fatto, per non avere la Corte considerato che i contatti con il Soderini erano avvenuti quando il gruppo dei N.A.R. non era più operante, onde più esatta doveva essere la qualificazione del reato come favoreggiamento, nonché omessa motivazione ed erronea applicazione della legge penale, quanto al delitto di riciclaggio. Il Prudente denuncia, a sua volta, vizio di omessa motivazione in relazione al delitto in tema di armi. Andrea Calvi, infine, censura la sentenza a suo carico per omessa motivazione circa l'affermazione di responsabilità per i reati in concorso con De Pisa e Belsito e circa la mancata applicazione a suo favore degli artt. 114 e 116 c.p. All'udienza odierna il P.G. ha concluso per il rigetto dei ricorsi di Lorenzo Prudente, Pasquale Guaglianone ed Andrea Calvi e per la declaratoria d'inammissibilità della impugnazione di Mauro Addis

Motivi della decisione

Osserva questa Suprema Corte che alle richieste del P.G. deve seguire conforma sentenza di questa Suprema Corte. Innanzitutto, quanto alla impugnazione di Mauro Addis, poiché il ricorso non contiene la indicazione dei motivi, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso medesimo, ai sensi dell'art. 591 c.p.p., comma 1, letto c), in relazione all'art. 581 c.p.p., lett. c), con la conseguente condanna del ricorrente alle spese del procedimento e al pagamento alla cassa delle ammende della sanzione pecuniaria nella misura minima di lire cinquecentomila, equa e proporzionata agli elementi tutti della fattispecie decisa. Con motivo comune Lorenzo Prudente e Pasquale Guaglianone lamentano vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere il giudice di merito ritenuto la attendibilità delle dichiarazioni accusatorie, nei loro confronti, di Stefano Soderini, la cui credibilità era stata, invece, esclusa in altro processo, secondo le conclusioni, cui era pervenuta la sentenza in data 24 giugno 1988 della Corte di Assise di Bologna. Il motivo non è fondato. In tema di chiamata in correità e di dichiarazioni accusatorie, ex art. 192, comma 3, c.p.p., questo giudice di legittimità ha già numerose altre volte ribadito il principio della cosiddetta frazionabilità della chiamata in correità, nel senso che è perfettamente lecita la valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie, provenienti da taluno dei soggetti indicati nella predetta norma, per cui la attendibilità di un chiamante, anche se denegata per una parte del suo racconto, non ne coinvolge necessariamente tutte le altre, che reggono alla verifica giudiziale del riscontro, in quanto suffragate da idonei elementi di controllo esterno. Nella specie, la Corte territoriale del principio, di cui innanzi, ha compiuto esatta applicazione, considerando che l'attendibilità del Soderini non può essere inficiata dalle apodittiche allegazioni difensive, sulla base di valutazioni che sarebbero state oggetto di altri procedimenti penali scaturenti da diverse dichiarazioni del chiamante in correità, e che non appare metodologicamente corretto, per una esatta valutazione della chiamata di correo, effettuare un giudizio d'ordine generale sull'attendibilità del collaboratore di giustizia, essendo necessario esaminare le singole dichiarazioni rese e verificare se esse siano o meno suffragate da altri elementi probatori. Sicché - riassume la Corte di merito - in questo processo costituiscono circostanze irrilevanti per la valutazione della attendibilità delle dichiarazioni del Soderini il fatto che lo stesso per altre vicende sia stato imputato di calunnia e che la moglie abbia espresso giudizio non favorevole di credibilità.
Infondato è anche l'altro motivo di ricorso, comune ai due imputati e relativo alla violazione dell'art. 306 C.p., per avere il giudice di merito ritenuta la responsabilità per il delitto previsto dalla norma in questione in assenza del richiesto dolo specifico.
Il delitto di banda armata, nelle due distinte ipotesi previste dal primo e dal secondo comma dell'art. 306 c.p., rientra nel più vasto fenomeno associativo criminoso contro la personalità dello Stato e, nella ipotesi di semplice partecipazione, siccome questa Suprema Corte ha già precisato, il reato costituisce una fattispecie monosoggettiva, integrata dalla manifestazione anche individuale della volontà di adesione ad una banda armata già formata.
L'elemento soggettivo del delitto ex art. 306, comma 2, c.p., pertanto, richiede che il soggetto agisca con volontà cosciente e libera di attuare una condotta partecipativa ad una banda armata già costituita, di questa conoscendo il precipuo programma di realizzazione di uno o più delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato,
con la speciale intenzione - in ciò realizzandosi il richiesto dolo specifico, che caratterizza il reato in questione - che il personale apporto causale alla attività del sodalizio contribuisce a perseguire il programma comune.
In piena aderenza al principio, di cui innanzi, la Corte di merito, in base a dettagliata esposizione di numerosi episodi e delle molteplici attività prestate dai due imputati, ha delineato un preciso contesto per il quale il complesso delle condotte, attuate da Guaglianone e da Prudente, doveva essere interpretato come consapevole adesione alle strutture associative, di cui ai capi di imputazione, di banda armata ed associazione sovversiva, per avere gli stessi fornito l'indispensabile contributo alla sopravvivenza del gruppo ed alla sua eventuale riaggregazione, pur non apparendo dette attività caratterizzate da compiti propulsivi, direttivi o di organizzazione generale, per cui correttamente esse erano state riferite a quelle del soggetto semplicemente partecipe.
Quanto al motivo di impugnazione del solo Guaglianone - il quale deduce travisamento del fatto per non avere il giudice di merito considerato che i contatti con il Soderini erano avvenuti quando il gruppo dei N.AR. non era più operante, onde più esatta doveva essere la qualificazione del reato come favoreggiamento - rileva questa Suprema Corte che trattasi di censura in fatto, diretta ad ottenere una diversa valutazione delle circostanze considerate dal giudice di merito, il quale, con motivazione congrua, logica e priva di interne contraddittorietà, ha escluso che all'epoca dei fatti la banda armata N.AR. fosse allo sbando o in via di dissolvimento, precisando che le condotte ascritte al Guaglianone erano state tenute ben prima degli arresti, che avevano determinato lo smembramento dell'organizzazione, per cui nessun contrasto sussisteva con quanto attenuato dallo stesso giudice in altra sentenza.
Circa l'altro motivo di impugnazione esclusivo del Guaglianone e relativo al vizio di motivazione sulla sussistenza del delitto ex art. 648-bis c.p., che necessita di preciso accertamento in ordine alla consapevolezza dell'agente della provenienza dei valori da uno dei reati espressamente previsti dalla norma, questo giudice di legittimità premesso, secondo affermazioni già compiute, che il termine "proveniente", contenuto nella norma incriminatrice, deve assumersi sul significato lato, comprensivo di ogni ipotesi nella quale sussiste una derivazione anche mediata dagli specifici reati indicati, perché di detta provenienza l'agente sia consapevole - osserva che la scienza in ordine alla suddetta provenienza può essere desunta da qualsiasi elemento e sussiste quando gli indizi in proposito siano così gravi ed univoci da autorizzare la logica conclusione della certezza che il danaro, i beni o i valori ricevuti per il riciclaggio siano di derivazione delittuosa specifica.
Di conseguenza, non merita censura la sentenza di merito che - per un soggetto appartenente a movimento eversivo, il cui finanziamento viene ricavato notoriamente ed essenzialmente con il provento di delitti di rapina - dal contesto di illegalità in cui l'operazione viene realizzata, dalla consapevolezza della illecita provenienza di quanto affidatogli, dalla natura dei beni (preziosi e brillanti) e dalla qualità nota dell'offerente, come di persona non in grado di disporre in maniera lecita dei valori, trae la conclusione della consapevole provenienza di essi da un reato di rapina, effettivamente perpetrato.
Né la medesima sentenza impugnata incorre in vizio di motivazione circa l'affermata responsabilità del Prudente per il reato continuato in tema di armi, giacché, avendo l'imputato ammesso di avere più volte facilitato ed attuato l'espatrio in Svizzera di altri personaggi di spicco della organizzazione eversiva, logicamente il giudice di merito ha argomentato in ordine alla piena consapevolezza dello stesso delle finalità specifiche, che muovevano all'estero gli associati (intento di compiere rapine per attività di finanziamento), e dell'inevitabile possesso di armi, anche perché essi associati non si sarebbero affidati a persona estranea alla organizzazione, che del programma da attuare fuori dell'Italia già non conoscesse le modalità di esecuzione con l'uso di armi.
Infine, deve rilevarsi la infondatezza anche del ricorso di Andrea Calvi, il quale prospetta vizio di motivazione della sentenza, quanto alla prova della sua partecipazione come basista al reato di rapina aggravata con armi, nonché omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti, di cui agli arti. 114 e 116 c.p. Quanto alla dimostrazione della responsabilità per la rapina, la corte di merito, infatti, ha considerato che la identificazione del Calvi, quale autore morale del delitto, è stata resa possibile dalle informazioni "de relato" del Soderini, sulla scorta di quanto appreso dal Belsito, autore materiale in concorso con la Di Pisa, e delle suddette informazioni ha individuato negli atti del processo altri adeguati elementi di convalida, quali la inattendibile argomentazione difensiva di una responsabilità a riguardo del Soderini e la circostanza per la quale la perfetta conoscenza dei luoghi e del posto, ove era custodito l'incasso in una cassetta di sicurezza, da parte degli autori materiali, poteva farsi derivare soltanto dalle precise indicazioni del Calvi, che aveva frequentato a lungo il teatro.
Quanto alla esclusione dell'attenuante ex art. 114 c.p. la Corte ha espressamente considerato che l'attività espletata dal Calvi nella rapina non può in nessun modo qualificarsi come di minima importanza e l'affermazione è conforme alla giurisprudenza di legittimità, la quale ravvisa realizzata l'attenuante soltanto sul caso in cui la condotta del partecipante abbia esplicato efficienza causale del tutto marginale nella realizzazione dell'evento, laddove nella specie le indicazioni fornite circa la ubicazione dei luoghi ed il nascondiglio della somma di denaro sono state implicitamente qualificate come indispensabili per la riuscita del piano criminoso.
Quanto alla attenuante di cui all'art. 116 c.p., immotivatamente reclamata con il solo riferimento alla norma invocata, neppure il ricorso per cassazione ha chiarito la portata della censura svolta, in ordine alla quale il giudice di appello ha rilevato come non era dato comprendere le ragioni per le quali il Calvi avrebbe potuto beneficiare del trattamento sanzionatorio previsto dalla norma. Di conseguenza, i ricorsi di Prudente, Guaglianone e Calvi debbono essere rigettati, con la condanna degli stessi, in solido anche con Mauro Addis, ai pagamento delle spese del procedimento.

P. Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di Mauro Addis, rigetta gli altri ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e l'Addis, inoltre al versamento di lire 500.000 (cinquecentomila) alla cassa delle ammende. Così deciso in Roma alla pubblica udienza del giorno 6 aprile 1995.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA
IL 25 AGOSTO 1995.

http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp?ID=2951&Class_ID=1001

documentazione
r_nazionale


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