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pubblicato il 6.11.08
Il movimento studentesco è antifascista e antirazzista
·



Bascetta e i Cùculi

da www.militant-blog.org


Questo articolo è stato scritto da due collettivi studenteschi di Roma ed è una risposta all’articolo di Bascetta pubblicato sul Manifesto del 29 ottobre scorso. Era stato chiesto allo stesso Manifesto di pubblicarlo ma, evidentemente, a loro non è interessato. Noi (www.militant-blog.org, ndr) lo riprendiamo perchè ne condividiamo ogni singola parola.


I movimenti studenteschi hanno spesso rappresentato la sentina del malessere sociale e del rifiuto delle pratiche liberiste: gli studenti della scuola media superiore e delle università hanno saputo cogliere, prima e meglio rispetto ad altri strati sociali, la pericolosità di politiche volte a indebolire lo Stato sociale, a ridurre i servizi, a privatizzare le risorse, ad attaccare la laicità dello Stato. Il movimento di protesta che ha unito, senza alcuna distinzione di grado, l’intera filiera dell’istruzione pubblica italiana, dalle elementari alla ricerca post-laurea, contro la riforma della scuola pensata dal ministro Gelmini e contro la futura riforma dell’università, non fa eccezione, in questo senso. Anzi, le lotte di questo autunno si sono segnalate per l’estrema varietà degli attori impegnati in esse: studenti, docenti, personale amministrativo e persino genitori hanno testimoniato l’inaccettabilità di un attacco così spudorato al sistema dell’istruzione pubblica, inquadrabile in una strategia più complessa, che ha già visto finire nel mirino la sanità e gli enti locali, per poi arrivare alle pensioni.

Per disinnescare una protesta così massiccia, il governo ha usato un’arma consueta: l’apparato mediatico di cui dispone. In particolare, in questi giorni è stato possibile notare due distinte tattiche: la prima – per la verità piuttosto inefficace – consisteva nel convincere l’opinione pubblica che la protesta fosse assolutamente limitata, perché la maggior parte degli studenti era in favore della riforma. Improbabili servizi dei telegiornali, risibili interviste a rappresentanti di sigle studentesche sconosciute e assurdi allarmismi su presunte violenze ai danni di crumiri hanno caratterizzato questa prima tattica, purtroppo con scarso esito. Si è passati, allora, a un secondo tentativo, più articolato: gli organi di stampa hanno iniziato a diffondere una nuova “favola post-modernaâ€, quella di una protesta bi-partisan, nella quale estrema destra e sinistra manifestassero insieme. L’obiettivo di tale rappresentazione era – bisogna ammetterlo – piuttosto sottile: se protesta la destra, quanto la sinistra, vuol dire che la mobilitazione è piuttosto confusa e non ha una base logica. Si tratterebbe, quindi, solamente del solito ribellismo giovanile, che si concretizza nelle consuete occupazioni scolastiche. Un fenomeno trascurabile e passeggero, al quale non attribuire alcuna importanza. Una interpretazione del genere ha avuto bisogno di poco tempo per diffondersi, anche perché – in un certo senso – chiudeva il cerchio rispetto all’ennesima rilettura di un segmento della storia italiana a cui stavamo assistendo: l’idea di un Sessantotto “scippato†alla destra e al suo ribellismo. Così, a quarant’anni da quell’epoca che i neo-fascisti non volevano più lasciare ai compagni e al movimento comunista, una nuova “onda†di protesta li vedrebbe addirittura protagonisti. Se è comprensibile come tale messaggio passi a livello mediatico, stupisce che abbia convinto anche un attento osservatore come Marco Bascetta. Questi, in un articolo su il manifesto di mercoledì 29 ottobre, afferma la sua sorprendente verità: il movimento studentesco è politico proprio perché non è “né di destra, né di sinistraâ€. Dietro questa espressione, secondo l’autore, “si manifestano contenuti di libertàâ€, come la volontà di autodeterminarsi, l’estensione dei diritti democratici, lo sconvolgimento delle rappresentanze parlamentari. E’ facile concordare su Bascetta a proposito del disagio degli studenti nei confronti della sinistra che ha da tempo accettato l’ideologia aziendalista applicata alla scuola e all’università (così da parlare di debiti e crediti), ma ci chiediamo come non si provi un minimo di imbarazzo a riproporre tesi che erano proprie, anni fa, di Terza Posizione. Allora come oggi, infatti, dietro allo slogan tanto amato da Bascetta (“né di destra, né di sinistraâ€), si nascondeva il grimaldello per affermare il protagonismo della destra tra i più giovani. Negare la propria identità neo-fascista, affermando di contro la natura a-politica dell’intero movimento permette oggi alle strutture di destra di entrare nei cortei e nelle manifestazioni, svuotandole – anche nei canti e negli slogan – di qualsiasi riferimento ai precedenti movimenti studenteschi, finendo per egemonizzarle culturalmente. Sfugge evidentemente a Bascetta come sono almeno tre anni che Fiamma Tricolore, Forza Nuova e l’area di Casa Pound lavorino con sistematicità per entrare nelle scuole romane. Non avendo, ovviamente, le forze (e le intelligenze) per creare un loro movimento di massa, questi gruppi sfruttano le mobilitazioni esistenti, sguazzando nella loro a-politicità e nella dichiarata estraneità rispetto alle categorie di destra e sinistra. In un certo senso, si può dire che sfruttino la tattica del cúculo, simpatico uccello che depone il proprio uovo nei nidi altrui e lo fa covare dagli uccelli “padroni di casaâ€, fin quando il giovane cúculo non caccia i fratellastri. Non è certo una novità: già altri contesti (dalle curve degli stadi alle periferie delle metropoli) hanno conosciuto lo stesso fenomeno. Stupisce semmai come Bascetta (e tutti i “bascettianiâ€) si rallegri di quello che chiama “rifiuto degli arroccamenti identitari e della prescrittività dei modelli politici tramandatiâ€: certo, neanche Bascetta può ignorare che l’assenza di bandiere rosse, nei cortei, rischi di lasciare lo spazio allo sventolio di bandiere nere, ma il Nostro rimane ingenuamente ottimista, quando afferma che “lì dove il discorso razionale del movimento si sviluppa, l’ideologia della destra sarà costretta al silenzioâ€. Cosa devono pensare i compagni/e e i semplici studenti convinti di partecipare a un pacifico corteo di protesta sotto il Senato e trovatisi a essere coinvolti in un’aggressione squadrista di persone armate di tutto punto? Forse era meglio lasciare che sventolassero al vento, quelle bandiere rosse, ma si sa che, con il senno del poi, non si ricuciono le teste dei manifestanti.

NESSUNA COLLUSIONE,
IL MOVIMENTO STUDENTESCO E’ ANTIFASCISTA E ANTIRAZZISTA

- Collettivo Senza Tregua
- Rete dei Collettivi Studenteschi




Da Il Manifesto del 29 ottobre 2008

SCUOLA POLITICA
Marco Bascetta

«Né di destra, né di sinistra». Di questa definizione, da tempo utilizzata a piene mani dalla destra e dalla sinistra appunto, abbiamo imparato a diffidare. È infatti attraverso questa pretesa di oggettività indiscutibile, divinamente ispirata dall'«interesse generale» che sono stati imposti fino a oggi contenuti di natura restauratrice e repressiva: il controllo pervasivo delle nostre vite, la sicurezza come puro e semplice ordine pubblico, la repressione dei comportamenti giovanili, la discriminazione dei migranti.
Accade ora che questa stessa espressione venga impiegata dall'imponente movimento di studenti, insegnanti e cittadini, che da settimane attraversa tutto il paese, per descrivere se stesso. Ma rovesciandone interamente il senso. È soprattutto questa novità che ha fatto saltare i nervi a Silvio Berlusconi e al suo governo. Che, non a caso, si sono sforzati in ogni modo e contro ogni evidenza di ricondurre questa tumultuosa ripresa dei movimenti all'«estrema sinistra» (che sarà mai?) e al mondo dei centri sociali. Il conflitto «né di destra né di sinistra» che ha invaso scuole, università e piazze di tutta Italia comincia a trasformarsi in un incubo tanto per la maggioranza di governo quanto per le ombre dell'opposizione parlamentare.
Dietro quell'espressione, fin qui tanto apprezzata dai moderati, si manifestano questa volta contenuti di libertà: non la delega all'autorità del potere, ma la volontà del mondo della formazione di autodeterminarsi, non il ridimensionamento securitario dei diritti democratici, ma la pretesa di estenderli, non l'accettazione delle priorità e delle forme delle rappresentanze parlamentari, ma il loro sconvolgimento. È un movimento tutto politico, non esistono movimenti che non lo siano. Non si tratta di un espressione di «disagio» che attende di essere raccolta da qualcuno e tradotta in programma, ma di un percorso di autonomia che intende costruire in proprio, che non opera al di sotto della dimensione politica (dal basso) ma alla sua altezza. Come potrebbero gli studenti universitari e medi richiamarsi a una sinistra che ha contribuito nel tempo, vuoi accodandosi all'ideologia aziendalista, vuoi nutrendo nostalgie stataliste o utilitarismi industrialisti, a ridurre la scuola e l'università alla condizione di miseria culturale in cui versano e alla devastazione di ogni socialità nella vita degli studenti? Le numerose frottole che hanno accompagnato per anni le cosiddette riforme (l'allineamento al mercato del lavoro, gli investimenti privati, il miglioramento dei servizi e delle strutture, le magnifiche virtù del 3+2) sono franate una dietro l'altra. Per non parlare del gergo bancario (crediti, debiti), adottato dal sistema della formazione, ridotto oggi al triste gergo della bancarotta.
«Né di destra, né di sinistra», così come il movimento si autopercepisce, significa innanzitutto una rottura radicale con questa storia, un rifiuto degli arroccamenti identitari e della prescrittività dei modelli politici tramandati. Ma non si parte da zero, da una ingenua spontaneità. Vi è ormai un cospicuo patrimonio di analisi, di riflessioni, di pratiche politiche che, nel corso degli ultimi anni, hanno smontato pezzo per pezzo, l'applicazione di una miserabile logica costi/benefici al mondo della formazione, della produzione e trasmissione del sapere. Vi è infine il vissuto della «miseria della condizione studentesca» nell'università riformata.
Può accadere allora che qualcuno desuma dall'assenza di bandiere rosse l'esistenza di uno spazio per sventolare quelle nere. Può anche accadere che un gruppo organizzato prenda la testa di un grosso corteo. Ma è un tentativo tutto strumentale e con le gambe corte. Lì dove il discorso razionale del movimento si sviluppa, l'ideologia della destra sarà costretta al silenzio. La diversità dei linguaggi, delle pratiche e degli obiettivi non tarderà a manifestarsi, al di là delle apparenze. Ma un pericolo reale c'è, sia pure vecchio e abusato. La carta degli «opposti estremismi», delle fazioni in lotta. Qui i gruppi della destra organizzata possono davvero dare una mano al governo, innescare la risposta repressiva. Da questo bisogna guardarsi.

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