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pubblicato il 1.04.14
L??ebreo antisemita
·
La giornata era fredda ma limpida, la folla era carica.
Alcuni erano in uniforme, altri portavano felpe con il cappuccio ornate con simboli patriottici. C??erano decine di bandiere. Le più in vista erano il tricolore rosso, bianco e verde dell??Ungheria moderna e un vessillo a strisce rosse e bianche noto a tutti gli ungheresi: l??emblema
dei fascisti magiari al tempo della seconda guerra mondiale. Poi c??erano centinaia di striscioni con la scritta ??Jobbik?: la versione abbreviata di Jobbik Magyarországért Mozgalom, che in ungherese signiica Movimento per un??Ungheria migliore ed è il nome del più grande partito di estrema destra del paese.
I militanti di Jobbik si erano dati appuntamento davanti alla sede della Commissione europea a Budapest per protestare contro l??Unione europea. Come gli altri partiti euroscettici, anche Jobbik è contrario al progetto plurinazionale europeo e respinge qualsiasi critica provenga da Bruxelles. Ma, a diferenza di altri partiti simili, Jobbik ammanta di una certa teatralità i suoi attacchi all??Europa.
La manifestazione del gennaio 2012 non ha fatto eccezione.
Gábor Vona, il giovane e fotogenico segretario del partito, era in piedi di fronte a uno slogan scritto a caratteri cubitali: ??Saremo membri o saremo liberi??. Lo slogan riecheggiava un famoso verso di Sándor Petöfi, il grande poeta della rivoluzione ungherese del 1848 (??Saremo schiavi oppure liberi??) ed era un chiaro invito a uscire dall??Ue.
Un altro dirigente di Jobbik, El?d Novák, vestito con una giacca nera che ricordava lo stile del leader cinese Mao, ha versato del liquido iniammabile su una bandiera dell??Ue e le ha dato fuoco. Mentre la
folla urlava ??Bruciala!?, un deputato di Jobbik l??ha calpestata gridando: ??Muori, Unione europea!?.
Quel giorno si è rivolto alla folla anche Csanád Szegedi, allora vicepresidente del partito. Szegedi, uno dei tre europarlamentari di Jobbik, ha proposto un referendum sull??uscita dall??Ue. Poi, con un ghigno, ha accusato le élite del paese di ??averci fatto credere che entrare nell??Unione europea ci avrebbe condotto nella terra di Canaan?. L??appartenenza all??Ue, invece, ??è servita solo a farci invadere da un sacco di cananei?. L??allusione era chiara: anziché condurre il paese nella terra promessa,Bruxelles aveva permesso agli ebrei di invadere l??Ungheria. Nonostante gli ebrei, cittadini o meno dell??Ue, rappresentino una minima percentuale della popolazione ungherese ?? circa centomila persone su quasi dieci milioni ?? tutti sono scoppiati a ridere e hanno applaudito.
Dai rom agli ebrei
La folla era la dimostrazione del successo di Jobbik. Quando il partito è stato fondato, nel 2003, buona parte dei suoi dirigenti, compresi Szegedi, Vona e Novák, studiava ancora all??università. Ma la loro abilità
nell??usare la retorica xenofoba, in particolare contro i rom, ha rapidamente contribuito a fargli conquistare consensi. In tutta l??Ungheria esiste una numerosa minoranza rom non integrata, che in qualche città raggiunge il 10 per cento della popolazione e in alcuni villaggi è maggioritaria. Nel 2006 una banda di rom ha ucciso un insegnante e in seguito a quell??episodio i leader di Jobbik hanno proposto la creazione di ??zone di ordine pubblico?, dove i rom siano sottoposti a pesanti controlli di polizia, e di appositi convitti dove segregare i loro bambini. Alle elezioni del 2010 Jobbik ha conquistato quasi il 17 per cento dei voti e 47 seggi in parlamento.
Con il passare del tempo, però, la retorica antirom aveva cominciato a perdere peso e i dirigenti di Jobbik avevano capito che per continuare a crescere dovevano individuare un nuovo capro espiatorio.
Tra il2008 e il 2009, quando l??economia del paese è crollata insieme alla sua valuta, il iorino, la rabbia si è indirizzata contro le banche e i mercati inanziari internazionali.
E, come in altri paesi europei, anche in Ungheria gli ebrei sono storicamente associati alle banche e alla finanza. Così i leader di
Jobbik si erano resi conto di poter cavalcare una nuova ondata: quella dell??antisemitismo.
L??antisemitismo di Jobbik è fatto spesso di allusioni. Nella primavera del 2013 la rivista del partito, Barikád, ha pubblicato una copertina in cui i leader dei tre principali partiti ungheresi ?? i socialisti, la coalizione democratica e Fidesz, il partito al governo, di destra ?? erano ritratti sotto una bandiera israeliana. Il senso era chiaro: tutti e tre i partiti sono filoisraeliani e amici degli ebrei. Solo Jobbik è diverso.
Gli eccessi retorici antisemiti di Jobbik hanno stupito molti. Tra il 1944 e il 1945, durante l??occupazione nazista, oltre 550mila ebrei ungheresi morirono nei campi di sterminio. Oggi la popolazione ebraica
d??Ungheria è ridotta a meno di un quinto rispetto a prima della guerra e si concentra soprattutto a Budapest. Nelle zone di campagna spesso le tensioni tra rom e ungheresi sono reali, ma in gran parte del paese gliebrei sono praticamente assenti.
Puntare esplicitamente sull??antisemitismo è una strategia elettorale rischiosa. Per questo Jobbik nega di essere antisemita.
Ma i suoi elettori capiscono perfettamente le allusioni dei leader del partito. Mentre buona parte dei partiti europei di estrema destra è su posizioni antislamiche, Jobbik ha scelto di puntare il dito contro Israele e ha spesso invitato uomini d??afari iraniani a incontrare i suoi dirigenti a Budapest. Nel 2010 Vona e Szegedi hanno tenuto un comizio di fronte a una statua di Mihály Károlyi, il nobile cattolico che fu primo ministro durante la prima guerra mondiale. Sulla testa della statua avevano piazzato una kippà e sul braccio gli avevano sistemato
un cartello con su scritto: ??Sono il colpevole del Trianon?. La messa in scena voleva suggerire che furono gli ebrei i responsabili della firma del trattato di pace del Trianon, a causa del quale nel 1920 l??Ungheria
perse due terzi del suo territorio.
La pessima gestione dell??economia, che ha strozzato la crescita del paese, ha alimentato in Ungheria una specie di paranoia: tutti sono convinti di non aver avuto quello che gli era stato promesso. E la politica ha complicato le cose: il paese è spaccato tra i socialisti, eredi del vecchio partito comunista, e Fidesz, la formazione nata alla fine degli anni ottanta da un gruppo giovanile di dissidenti liberali. In questo clima sclerotizzato, i fondatori di Jobbik hanno capito che c??era spazio per un partito che parlasse a nome dei ??veri ungheresi? e criticasse l??establishment, secondo loro foraggiato da stranieri ed ebrei.
L??intelligenza del politico
Tra tutti i dirigenti di Jobbik, quello che aveva capito meglio il clima politico del paese era proprio Csanád Szegedi. Entrato nel partito a 21 anni, nel 2003, alla sua fondazione, ha fatto carriera rapidamente. ?
entrato subito nella segreteria e ha lavorato come coordinatore nella sua città natale, Miskolc, un centro industriale ormai in rovina trasformato in una roccaforte di Jobbik a causa dell??alto tasso di disoccupazione e della numerosa popolazione rom.
Szegedi è stato anche il primo a capire come commercializzare l??ideologia di Jobbik. Nel 2009 lui e Vona hanno fondato la
Hungarian News ltd., la casa editrice che pubblica Barikád. Prima ancora, nel 2006, insieme a un altro dei fondatori del partito, Gábor Szabó, aveva aperto a Budapest un negozio chiamato Turul, dal nome di un uccello dell??antica mitologia ungherese.
Turul vendeva magliette, fibbie per cinture, bandiere e poster ??100% made in Hungary? con simboli di estrema destra e mappe della Grande Ungheria, cioè il paese con i confini precedenti al trattato di Trianon.
Ma da Turul si trovava anche musica heavy metal ??nazionalista?, con testi come ??White Christmas, white Christmas... odio gli zingari puzzolenti?.
Szegedi ha inoltre pubblicato un??autobiograia in cui sosteneva di discendere da una storica famiglia ungherese e faceva risalire gli antenati del padre all??epoca dell??Ungheria precristiana. Ha persino guidato una campagna per riportare in auge l??antica scrittura runica ungherese, usataprima dell??alfabeto latino.
Con un??altra iniziativa, poi, Szegedi ha assicurato al suo negozio guadagni ancora maggiori. Nel 2007, infatti, è stato tra i fondatori della Guardia ungherese, un??organizzazione paramilitare i cui aderenti indossavano divise nere simili a quelle delle croci frecciate, i fascisti ungheresi che collaborarono con i nazisti durante la seconda guerra mondiale.
La Guardia svolgeva esercitazioni militari e in varie città del paese ha organizzato cortei contro ??la criminalità zingara? spesso sfociati in violenze.
In breve tempo ha raccolto migliaia di iscritti, soprattutto giovani, molti dei quali hanno acquistato divise, berretti, stivali, bandiere e distintivi proprio da Turul. Nel 2009 la Guardia ungherese è stata messa fuori legge. Tuttavia alla sua prima seduta al parlamento europeo Szegedi si è presentato vestito con la divisa paramilitare. Se-
condo quanto ha riferito un deputato polacco, sul momento tutti l??hanno preso per un elettricista.
Pur avendo avuto vita breve, la Guardia ungherese ha cambiato il carattere di Jobbik, a cui si sono avvicinati militanti meno istruiti e più estremisti degli studenti che avevano fondato il partito.
Le manifestazioni di Jobbik sono sempre più esplicitamente antisemite e un ruolo chiave nelle dinamiche interne al partito ha cominciato a svolgerlo il sito web kuruc (i kuruc furono ribelli antiasburgici del seicento).
Il sito pubblica articoli apertamente antirom, antisemiti e negazionisti, e i suoi collaboratori, rigorosamente anonimi, postano regolarmente nomi, foto e numeri di telefono di giornalisti, intellettuali e personalità pubbliche di orientamento progressista, cioè ebree, e invitano i lettori a molestarli per posta o per telefono.
Prima delle elezioni del 2010, kuruc era il terzo sito di attualità dell??Ungheria. Da allora il numero dei lettori è sceso, ma la sua influenza è ancora evidente: da un sondaggio condotto nel 2012 è emerso che il 63 per cento degli ungheresi prova ostilità nei confronti degli ebrei. Nel 2009 la percentuale era del 47 per cento.
Kuruc.info è gestito da un server di Healdsburg, in California, e da un ungherese-americano di estrema destra. Il governo di Budapest non può far nulla per chiuderlo. Ufficialmente, Jobbik non ha alcun rapporto con il sito. Eppure Barikád si fa pubblicità su kuruc.info e i dirigenti di Jobbik lo appoggiano in diversi modi.
Szegedi, per esempio, ha versato denaro tratto dal suo budget di europarlamentare a tre persone legate a kuruc.info, tra cui El?d No-
vák, l??uomo che aveva bruciato la bandiera dell??Ue. Spiegando il motivo di quei versamenti, Szegedi si è sempre tenuto sul vago,
facendo intendere di essere stato quasi costretto a farli. Novák, invece, ha spiegato di essere stato retribuito ??per il lavoro di con-
sulente in materia di comunicazione?.
Tuttavia, sei mesi dopo il comizio in cui era stata data alle fiamme la bandiera euroea, Szegedi ha improvvisamente interrotto i versamenti e si è bruscamente dimesso da Jobbik. Aveva cominciato a circolare una notizia sconcertante: Csanád Szegedi aveva scoperto di essere ebreo.
Sua nonna materna, ormai più che novantenne, è una sopravvissuta di Auschwitz.
Ho conosciuto Szegedi nella primaveradel 2013 a Budapest nella sede di Chabad Lubavitch, il più importante movimento internazionale legato all??ebraismo chassidico. Era in compagnia del rabbino Slomó
Köves. I due formavano una strana coppia: Köves è un ometto basso e paffuto, simile a un folletto, con una lunga barba rossa e l??accento di Brooklyn, acquisito in una yeshivà, un centro di studi ebraico, di New York; Szegedi, che parla male l??inglese, è alto e robusto, con i baffi neri e un pizzetto degno di un uiciale della cavalleria asburgica. Oggi porta la kippà.
Una settimana prima di dimettersi da Jobbik, Szegedi aveva inviato un sms a Köves per chiedergli un incontro. Voleva parlare della sua scoperta con una persona preparata, e aveva letto il nome del rabbino
sul giornale.
Köves ha pensato subito che qualcuno lo stesse prendendo in giro.
Ma poi, da buon rabbino Lubavitch, ha pensato che se qualcuno voleva incontrarlo per parlare del suo ebraismo non poteva riiutarsi.
L??esperienza è stata memorabile. ??? scioccante incontrare una persona che due settimane prima hai visto in tv tra i dirigenti di
un partito antisemita?, ha raccontato Köves. ??Da una parte, naturalmente, si prova pietà. Ma dall??altra... Szegedi ha una grandissima responsabilità, e non solo verso gli ebrei, per tutto ciò che è successo in Ungheria negli ultimi anni?.
In quel periodo Szegedi era un uomo distrutto: aveva perso gli amici ed era uscito dall??organizzazione politica che aveva contribuito a creare. Durante il primo incontro, Szegedi ha spiegato a Köves che
desiderava scusarsi per il ruolo avuto nella fondazione di Jobbik. Si era già scusato con la nonna, ma sentiva che non era suifficiente.
Il movimento Lubavitch è dedito alla ??riconversione? degli ebrei non osservanti, e Köves ha pensato di poter far qualcosa per Szegedi. Tanto per cominciare, gli ha suggerito di smettere di parlare con i giornalisti, consiglio che l??ex dirigente di Jobbik da allora ha sempre seguito. Poi l??ha spinto a dedicarsi a quello che chiama il ??lavoro
sull??anima?, cioè il tentativo di comprendere se stesso e la religione ebraica. L??ha invitato alle funzioni del venerdì sera e alle cene dello shabbat.
La prima volta che Szege di è entrato in sinagoga molti dei presenti
non l??hanno presa bene e alcuni si sono riiutati di stringergli la mano. Szegedi, che non aveva mai messo piede in una sinagoga, ha raccontato di essersi sentito fuori posto. Indossare la kippà, mi ha raccontato, ??mi ha fatto una stranissima impressione. Sembrava che mi bruciasse in testa?. La collera di alcuni fedeli non l??ha sorpreso. A
stupirlo è stato invece il numero di quanti hanno mostrato gentilezza, seguendo l??esempio del rabbino: ??In quei primi passi ho trovato persone pronte ad aiutarmi?.
La scoperta delle radici
Non stupisce che Szegedi fosse all??oscuro dell??ebraismo di sua nonna. Dopo l??esperienza della Shoah molti ebrei europei sopravvissuti alla seconda guerra mondiale hanno pensato che non avrebbero mai po-
tuto essere accettati nei rispettivi paesi come cittadini con pari diritti e che, in un modo o nell??altro, sarebbero sempre stati discriminati. La stragrande maggioranza dei sopravvissuti ?? che venissero dall??Unghe-
ria, dalla Polonia o dalla Germania ?? è emigrata. E molti di quelli rimasti, soprattutto nei paesi dell??Europa comunista, hanno nascosto le loro origini perché avevano paura, perché non volevano farsi notare o semplicemente perché volevano dimenticare il passato e andare avanti.
Quasi tutti gli ebrei di Budapest conoscono qualcuno che ha scoperto da adulto le sue origini ebraiche. Lo stesso rabbino Köves è figlio di un ebreo che sposò una donna ebrea contro la volontà della madre.
??Dopo la guerra?, mi ha spiegato Köves,??mia nonna decise che lo scopo principale della sua vita sarebbe stato impedire a tutti i suoi figli di sposare altri ebrei?. Sposando una donna ebrea, il padre di Köves entrò in contrasto con la famiglia, ormai laica e as­similata. La famiglia di Szegedi ha fatto una scelta simile a quella dei Köves. La nonna,
tornata viva da Auschwitz, non ha mai vo­luto indossare vestiti a maniche corte per non far vedere il numero di matricola ta­tuato sul braccio. Il nonno era sopravvissu­to a un campo di concentramento. Entram­bi avevano ritenuto che fosse meglio non parlare del loro passato alla figlia Katalin, nata a Miskolc nel 1953. A sentire Szegedi,
il nonno ??era convinto che le deportazioni sarebbero riprese e che ci sarebbe stato un nuovo sterminio. Per salvarci, quindi, do­vevamo assimilarci il più rapidamente pos­sibile?. Solo quando sua madre, Katalin, fu adolescente il padre le rivelò le sue origini ebraiche. Poi le spiegò che la famiglia non era più ebrea, ma era diventata cristiana.
??Il nonno le fece promettere che non avreb­be sposato un ebreo: l??assimilazione dove­va essere più rapida possibile?. Quando poi
Katalin si fidanzò, i suoi genitori rassicura­rono il futuro genero: un tempo erano stati ebrei, ma ormai erano cristiani. Il padre di Szegedi accettò la spiegazione, e i suoceri furono più che contenti di vederlo diventa­re un nazionalista ungherese.
A quel tempo, negli anni settanta e ot­tanta, i nazionalisti ungheresi andavano in chiesa e organizzavano cortei per le festivi­tà nazionali: due attività che erano scorag­giate, se non proibite, dal governo comuni­sta, ma che non avevano necessariamente caratteristiche xenofobe, antisemite o an­tirom. Tuttavia, anche allora certi
pregiu­dizi già esistevano. Tra gli stalinisti che avevano guidato l??Ungheria subito dopo la guerra molti erano ebrei, in particolare
Mátyás Rákosi, che fu segretario generale del Partito comunista ungherese alla fine degli anni quaranta, e alcuni dirigenti della
polizia segreta. Quella generazione di co­munisti, inoltre, tentò cinicamente di svia­re verso altri bersagli i sentimenti antise­miti. Consapevoli che le politiche econo­miche del governo erano fallimentari, e coscienti di non essere amati dai cittadini, fecero di tutto per incanalare la rabbia po­polare per la penuria di beni e l??iperinfla­zione contro gli ??speculatori? e i ??profitta­tori del mercato nero?, che talvolta erano raffigurati sui manifesti di propaganda con
il naso ricurvo. Nel 1946, proprio a Miskolc, Rákosi dichiarò in un discorso che chi si arricchiva con il mercato nero andava ??im­piccato sulla forca?. Pochi giorni più tardi, durante un corteo in cui sventolavano stri­scioni con su scritto ??morte agli ebrei? e ??morte ai pescecani?, fu ucciso un com­merciante ebreo. Due giorni dopo, la folla
linciò un poliziotto ebreo. Qulle uccisioni furono tenute nascoste dal governo. Sze­gedi non ne ha mai sentito parlare.
Nel li­ceo protestante che ha frequentato, non si parlava molto di ebrei. La Shoah l??ha stu­diata, ma negli anni novanta, dopo il crollo
del comunismo, tutto sembrava sottoso­pra, anche l??insegnamento della storia: temi un tempo rimossi, come la rivolta an­ticomunista del 1956, erano di nuovo im­portanti, mentre venivano trascurate alcu­ne vicende che in passato avevano avuto un grande peso nei programmi scolastici, per esempio le gesta eroiche dei partigiani comunisti. In quel periodo uno degli inse­gnanti di Szegedi fece proiettare in classe
un film vietato nelle sale in cui si metteva in dubbio il numero dei morti ad Ausch­witz. Szegedi sapeva che in passato spesso si proibivano i film che dicevano la verità: la Shoah era forse l??ennesima esagerazione dei comunisti?
Suo padre, che gestiva una piccola azienda a Miskolc, amava raccontare bar­zellette antisemite simili a quelle che circo­lavano a scuola. Sua madre non aveva nien­te da ridire. Szegedi ricorda di essere stato rimproverato solo una volta, quando aveva otto anni. Davanti a un gruppo di bambini che giocando facevano un gran chiasso, aveva detto alla madre: ??Senti come strilla­no quei giudei?. ??Non voglio mai più sen­tirti parlare in questo modo?, aveva detto
lei dopo avergli dato uno schiaffo. ??L??ebrai­smo dev??essere una cosa proprio brutta, se non posso neanche parlarne?, aveva pensa­to allora Szegedi: è questa la lezione che imparò da quel rimprovero. Più tardi, alla fine degli anni novanta, in Ungheria si af­fermò un tipo di nazionalismo di stampo xenofobo che servì a dare sicurezza ai ragazzi come Szegedi, facendogli credere di avere una missione. ??Provavamo un forte sentimento di appartenenza?, ricorda oggi.
In quella fase il giovane Szegedi strinse rapporti con amici e insegnanti che la pen­savano come lui e cominciò a leggere i libri
e a vedere i film consigliati dai militanti più esperti. All??interno della cerchia chiusa dell??estrema destra si stava difondendo rapidamente l??idea che gli zingari stessero prosciugando le risorse degli ungheresi,
che i comunisti ebrei fossero responsabili della miseria del paese e che gli stranieri e gli intellettuali ebrei minacciassero la so­vranità ungherese.
Nel 2002, a vent??anni, Szegedi si avvici­nò al partito Fidesz di Viktor Orbán, l??attua­le primo ministro ungherese. Ma alle ele­zioni politiche di quell??anno Orbán fu scon­fitto dai socialisti e la sua strategia comin­ciò a sembrare troppo moderata e ineffica­ce. Allora Szegedi decise di andare in Au­stria con alcuni amici per ascoltare un co­mizio del leader di estrema destra JörgHaider. ??Era elegante e ben vestito?, ricor­da Szegedi. ??Ed era molto radicale, ma non di quel radicalismo di destra vecchio stam­po. Era qualcosa di nuovo. Usava il rap, per­ché conosceva il linguaggio dei giovani?.
I ragazzi che hanno fondato Jobbik avevano in mente un progetto simile.
Dopo Auschwitz
Con il crescere della popolarità, sono au­mentate anche le rivalità interne al partito. Szegedi e suo fratello Márton, anche lui di­rigente di Jobbik, sono entrati in conlitto con alcuni militanti invidiosi della loro ra­pida ascesa. Tra questi c??erano Zsolt En­drésik, dal 2011 presidente della sezione del partito della provincia di Borsod­Abaúj­ Zemplén, il cui capoluogo è Miskolc, e il suo amico Zoltán Ambrus, proprietario di
una fattoria nei pressi della città, dove invi­tava gli amici ad allenarsi nel tiro a segno.
Alcuni di quei ragazzi erano iscritti a Job­bik, altri erano su posizioni ancor più estre­miste. Nell??autunno del 2009 un conoscen­te di Ambrus è stato arrestato perché so­spettato di aver ucciso alcuni rom. Ambrus è stato arrestato dopo una perquisizione della polizia, che nella sua azienda aveva trovato alcune armi non dichiarate. Ha
chiamato subito in aiuto gli amici di Jobbik, ma i fratelli Szegedi hanno consigliato alla dirigenza nazionale del partito di non im­mischiarsi nel caso.
Uscito di prigione, Ambrus serbava an­cora rancore nei confronti di Szegedi. Dopo qualche tempo, il certiicato di nascita della nonna di Szegedi è finito chissà come nelle sue mani. Oggi Szegedi fa vaghi accenni ad alcuni ??investigatori privati?. I giornalisti ungheresi che si sono occupati della vicenda sono sicuri del coinvolgimento dei vecchi servizi segreti, che nell??Ungheria post-comunista sono stati addomesticati ma non aboliti. In efetti, Endrésik aveva già contattato diversi giornalisti (e anche alcuni dirigenti di Jobbik) sostenendo di avere in mano del materiale esplosivo sul conto dei fratelli Szegedi, ma senza ottenere la reazione sperata. Comunque siano andate
le cose, nell??estate del 2010 Ambrus ha attirato Szegedi nella sua fattoria e gli ha rivelato di avere in mano dei documenti che
dimostravano le sue origini ebraiche. Non glieli ha mostrati ma, come Szegedi ha saputo in seguito, ha registrato il colloquio.
Szegedi racconta di aver pensato che Ambrus mentisse: sapeva che su internet giravano voci sul conto di alcuni membri di Jobbik insieme a finti ??certificati di barmitzvà? e altri documenti simili. Così ha
deciso di far finta di niente. Ha continuato a raccontare le sue barzellette antisemite, a gestire il negozio Turul e a partecipare a
comizi estremisti.
Però ha parlato del colloquio con Ambrus ad alcuni colleghi e, visto
che la vicenda l??aveva turbato, ha cercato di procurarsi altre informazioni. Nel suo successivo incontro con la nonna, per il Natale
del 2011, le ha chiesto di raccontargli la sua infanzia. ??? stata una conversazione molto lunga?, mi ha raccontato Szegedi. La nonna
gli ha spiegato di essere stata cresciuta da genitori adottivi, che erano stati deportati in quanto ebrei. ??A quel punto mi sono tranquillizzato?, ha continuato, ??perché voleva dire che non c??erano legami di sangue?.
Nonostante quei chiarimenti, Szegedi continuava comunque a provare ancora un certo disagio: in tutta la storia qualcosa non quadrava. Così a Pasqua è tornato sull??argomento e ha chiesto nuovamente alla nonna di parlargli del suo passato.
Quella volta le informazioni furono più esaurienti: ??Mi ha parlato del padre adottivo e mi ha spiegato che si trattavo dello zio, che l??aveva presa con sé dopo la morte del la madre?.
A quel punto Szegedi ha capito di essere davvero ebreo. ??Che cosa ti è successo durante la guerra??, ha chiesto alla nonna. Lei gli ha raccontato di essere stata deportata ad Auschwitz e di essere sopravvissuta.
Il marito, invece, era stato destinato a un campo di lavoro forzato, mentre tutti i suoi parenti erano stati uccisi, compresi i genitori adottivi. Aveva assistito a scene spaventose, aveva sofferto fame e percosse e per poco non era finita nelle camere a gas.
Szegedi è rimasto scosso dal racconto della nonna, ma la sua prima reazione non è stata di pentimento. ? andato invece a trovare il suo amico Gábor Szabó, militante di Jobbik e comproprietario di Turul, che ha capito subito l??importanza della notizia, anche perché Szegedi era scoppiato a piangere nel riferirgliela. ??A quel punto?, mi ha raccontato Szegedi, ??Szabó mi ha chiesto: ??Ma se è stata deportata, come mai è ancora viva???. Io gli ho risposto: ??L??ha scampata??. Allora Szabó ha ribattuto: ??Teniamo tutto sotto silenzio???.
I suoi genitori, che erano di un??altra generazione, avevano creduto che l??ebraismo fosse qualcosa di cui ci si poteva facilmente disfare. Ma per l??elettorato di Jobbik basta avere un parente ebreo per essere un ??elemento straniero?. ??Gli antisemiti sono convinti che se anche solo il nonno di tuo nonno era ebreo, lo sei anche tu?, mi ha spiegato Szegedi.
Un vero cristiano
La notizia non è rimasta segreta a lungo.
Nel giugno del 2012, proprio durante le elezioni per la guida del partito nella provincia di Borsod-Abaúj-Zemplén, vinte da Szegedi, un sito di estrema destra ha pubblicato i certificati di nascita dei suoi nonni. Sul sito kuruc i commenti sono rioccati: le rivelazioni sulle origini di Szegedi hanno alimentato ogni possibile stereotipo sull??influsso esercitato in segreto dagli ebrei. ??? una strategia tipica degli ebrei infiltrarsi in un movimento per distruggerlo dall??interno?,
??Quelli sono dovunque, ce li abbiamo pure sotto la pelle?. Solo pochi commentatori anonimi hanno espresso solidarietà. Anche se Szegedi è ebreo, ha scritto qualcuno, ??ha fatto molto per noi. Si comporta da vero cristiano?. Nessuno, però, si è chiesto se si poteva davvero definire ebreo un uomo cresciuto senza sapere di essere figlio di
una donna ebrea e fondatore di un partito antisemita. A quel punto i dirigenti di Jobbik hanno indetto una riunione, a cui ha partecipato anche Szegedi. Gábor Vona ha sostenuto che Szegedi doveva restare nel partito come dirigente, così nessuno avrebbe più potuto accusare Jobbik di antisemitismo. Ma Novák non era d??accordo: ??Se avessimo saputo che era ebreo?, ha scritto in un??email inviata a tutti i dirigenti, ??non l??avremmo mai fatto diventare vicepresidente?. Novák ha accusato Szegedi di aver alimentato ??una spirale di menzogne? e ne
ha chiesto le dimissioni. La riunione non ha portato a nessuna decisione. Ma mentre Szegedi si allontanava dalla sala, un altro
dirigente di Jobbik, che un tempo gli era stato amico, gli ha rivolto queste parole: ??La cosa migliore che potrebbe succedere adesso è che qualcuno ti sparasse in testa e tu rinascessi già diciottenne e senza sangue ebraico?.
Per qualche giorno Szegedi ha continuato a comportarsi come se niente fosse cambiato. In un??intervista a Barikád ha ipotizzato che fossero stati i nemici di Jobbik a rendere di pubblico dominio il certiicato di nascita della nonna per danneggiare il movimento: ??Il governo?, ha detto, ??si è servito dei servizi segreti per distruggere Jobbik, perché è la punta di diamante della nazione?. Ma le parole del suo ex amico continuavano a ronzargli in testa. ??Significava che tutto quello che avevo fatto per Jobbik non contava niente solo perché sono
ebreo?, mi ha detto.
Ma c??era un??altra verità che l??aveva colpito nel vivo. Sua nonna non aveva mai visto Schindler??s list né letto La notte di Elie Wiesel, eppure descriveva Auschwitz esattamente come i libri di storia: i crematori,
la fame, l??assassinio su scala industriale degli ebrei. Szegedi si è reso conto che i racconti sulla Shoah non potevano essere solo propaganda comunista: erano veri.
La corruzione intollerabile
Mentre la leadership di Jobbik pensava ai possibili vantaggi legati alla presenza di Szegedi, i suoi rivali nel partito non potevano tollerarlo. Così, di lì a poco, nel mese di luglio qualcuno ha fatto uscire la registrazione del colloquio del 2010 con Ambrus, in cui Szegedi sembrava offrirgli dei soldi del parlamento europeo. A quel punto il
portavoce di Jobbik, Márton Gyöngyösi, ha dichiarato che era stato superato il limite.
Szegedi doveva andarsene: non per il suo ebraismo, si è affrettato a spiegare, ma perché per Jobbik la corruzione è inaccettabile,specie se riguarda soldi dell??Unione europea. Szegedi contesta l??attendibilità della
registrazione, sostenendo che le sue parole sono state manipolate per dare l??impressione che stesse ofrendo una tangente. Inoltre, si chiede, se i dirigenti di Jobbik non devono assolutamente prendere soldi dall??Europa, perché nessuno aveva battuto ciglio quando a farlo era stato Novák?
Alla fine, Szegedi si è dimesso. Ma i dirigenti di Jobbik, i quali continuano a dichiarare che per loro il problema non era il suo
ebraismo, sostengono di averlo cacciato.
Considerati i diversi elementi della storia ancora poco chiari ?? il certificato di nascita segreto, la registrazione fatta di nascosto, i
fondi neri in ballo, il possibile coinvolgimento della polizia segreta ?? la vicenda di Szegedi continua a suscitare polemiche.
Novák, per esempio, è convinto che Szegedi abbia sempre mentito a proposito delle sue origini ebraiche. In in dei conti ?? sostiene ?? ??era proprio lui a fare tanta attenzione alle sue origini. Nella sua autobiografia parla difusamente degli antenati del padre, ma guardacaso dimentica le origini ebraiche della madre?. Altri, invece, so-
spettano che Szegedi abbia conosciuto la vera storia della nonna prima del 2012. Altri ancora si domandano se non si sia trattato
di un complotto ordito dai socialisti o da Fidesz per danneggiare Jobbik, oppure di una trama di qualcuno interno al partito per disfarsi di Szegedi.
L??aspetto paradossale dell??intera faccenda è che l??unica parte verificabile della storia di Szegedi, cioè quella pienamente documentata, è anche in apparenza la più incredibile: la sua conversione all??ebraismo ortodosso. Dopo aver contattato il rabbino
Köves, l??ex militante di Jobbik ha staccato dalla sua auto tutti gli adesivi di estrema destra, ha gettato via manifesti e libri estremisti, ha venduto il negozio Turul e ha cominciato a frequentare le funzioni dello shabbat guidate da Köves. Oggi ci porta perfino moglie e figli. Su consiglio del rabbino, Szegedi ha conservato il suo seggio al parlamento europeo, ma i colleghi non gli rivolgono più la parola. Ha fatto sapere che non si ricandiderà alle elezioni europee di maggio e al parlamento di Bruxelles ha tenuto un discorso filoisraeliano. ? perfino
andato in Israele, dove ?? dice ?? si è sentito ??vicino a Dio?.
Ora che ha perso i vecchi amici, i compagni di partito e molti contatti d??affari, Szegedi ha più tempo per sé. A volte riflette sul passato e si chiede come abbia potuto credere a certe cose: ??Quando sei in politica non riesci a vederti chiaramente dall??esterno. Tendi a reprimere i sentimenti e a rimuovere i fatti che dimostrano i tuoi stessi errori?, afferma oggi. ? ancora orgoglioso della campagna condotta per l??uso
degli antichi caratteri runici ungheresi sui cartelli stradali, ed è contento di aver contribuito ad aiutare gli ungheresi che abitano fuori dei conini nazionali. Ma sa di aver commesso alcuni gravi sbagli. ??La cosa più dolorosa è aver usato l??espressione ??criminalità zingara?? e aver condotto una politica antirom. Mi fa stare malissimo perché ha
causato dolore a molti rom innocenti, estranei ai reati commessi dagli altri?.
Per il futuro, Szegedi non ha le idee chiare. Ha pensato di creare un movimento che possa aiutare altri estremisti a fare il suo percorso: ??Sento il dovere di farlo, ora che ho ultimato il mio cammino?, mi ha
detto. Ma non è sicuro di voler tornare alla politica. Forse è una scelta saggia: è probabile che molti ungheresi non vedrebbero di buon occhio un suo ritorno sulla scena. Ancora oggi il sito kuruc.info gli dedica vignette sarcastiche (??Szegedi festeggia Hanukkà per la prima volta?), mentre gli intellettuali ungheresi, di sinistra come di centrodestra, lo tengono a distanza. Secondo il filosofo Gáspár Miklós Tamás, la conversione all??ebraismo ortodosso dimostra che Szegedi ha ancora ??una mentalità basata sull??importanza della razza? ed è solo passato da un estremo all??altro: ??Deve aver pensato: ??Ah, sono ebreo, allora devo cambiare tutte le mie convinzioni???, ha commentato Tamás.
Da qualche tempo Jobbik è lacerato da divisioni interne e sembra aver adottato un linguaggio più moderato, che ha deluso molti dei sostenitori più radicali. Il partito ha anche risentito della strategia di Fidesz, che ha cominciato ad affrontare apertamente e con una retorica fortemente nazionalista la questione del conlitto tra rom e
ungheresi. Orbán è perfino arrivato a fare riferimento al mitologico Turul. In questa situazione, l??ultima cosa che Jobbik si augura è l??emergere di una nuova figura politica fortemente critica nei suoi confronti e magari proveniente proprio dai ranghi del partito. Insomma, gli ex compagni di Szegedi non gli renderanno facile il ritorno alla vita pubblica.
Orgoglio e orrore
Oggi Szegedi non parla della posizione della sua famiglia né dei genitori. Si limita a dire che suo padre inizialmente non ha capito la sua decisione e che sua madre ??non ha ancora digerito? il fatto di essere ebrea.
Ammette che, dopo le dimissioni da Jobbik, nelle cene in famiglia c??è stato qualche momento di imbarazzo, ma poi spiega che ultimamente le cose vanno meglio. Anche suo fratello Márton ha dato le dimissioni
dal partito, ma non l??ha seguito nel movimento Chabad Lubavitch. Quanto a sua moglie, dice in tono deciso, ??a lei interesso io, non la politica?. E comunque i suoi amici di Jobbik non le erano mai piaciuti. Tutti dicono che sembra abbastanza contenta di andare in sinagoga, anche se quando è lì non ha molto da dire. Non vuole svolgere
nessun ruolo pubblico e vuole tenersi alla larga dai personaggi politici che suo marito frequentava un tempo. A farsi intervistare non ci pensa nemmeno. Quanto alla nonna, lo avverte ancora di stare lontano dalle tradizioni ebraiche. Come tanti sopravvissuti alla Shoah vive nel timore che la violenza possa tornare. Ogni tanto, racconta
Szegedi, dice che ??ci sarà un??altra Shoah?.
Secondo il nipote, tuttavia, per lei alcune tradizioni ebraiche sono ancora fonte di gioia. Qualche tempo fa lui e il fratello l??hanno accompagnata alla tomba della madre, sepolta in un cimitero ebraico. Prima di uscire la nonna ha frugato in casa alla ricerca di un vecchio libro di preghiere che teneva nascosto da decenni e pare che al cimitero, leggendolo, abbia pianto. Un signore che frequenta la stessa sinagoga di Szegedi mi ha detto che, dopo aver saputo della sua esperienza con la nonna, molti membri della comunità inizialmente scettici si sono convinti della sua sincerità.
Per cancellare il suo passato Szegedi ha compiuto anche gesti più concreti: per esempio ha cercato di procurarsi tutte le copie della sua autobiograia per distruggerle ed evitare che i suoi ??pensieri negativi? si diffondano. Quando gli ho raccontato di aver cercato il volume perfino nei negozi di libri usati e di non averne trovata neanche una copia, il suo commento è stato: ??Bene?.
Sembra che lui stesso abbia gettato una pila di copie in un cassonetto
dietro casa e si sia accorto, allontanandosi, che lo spazzino ne prendeva una e se la metteva in tasca. Quella scena l??ha riempito di un misto di orgoglio e orrore: ??Quell??uomo doveva essere un ammirato
re del mio vecchio io. Dello Csanád Szegedi di un tempo?.

L??AUTRICE
Anne Applebaum è una giornalista e scrittrice statunitense. Si occupa di Europa centrorientale e paesi ex sovietici. Ha scritto Gulag. Storia dei campi di concentramento sovietici (Mondadori 2005).

Fonte: internazionale.it

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