di Diana Alice Santini da Tokyo
Per mezzo secolo nel Paese nessuno aveva osato mettere in discussione il dogma nucleare. Adesso arrivano le prime proteste
(21 marzo 2011)
Erano un migliaio, o giù di lì. Pochi, per i nostri parametri, ma in Giappone le manifestazioni di piazza sono rarissime, lontane da una cultura che ha come primo valore la coesione sociale. Ancora più “inedito” il fatto che si sia sfilato contro l’energia nucleare, quasi un dogma in questo paese dagli anni ’50 fino a oggi.
O fino a ieri, appunto: bandiere e tamburi hanno invaso la centralissima Shibuya, a Tokyo, per chiedere la chiusura di tutte le centrali atomiche, in una domenica pomeriggio di shopping rarefatto e di sole tiepido, con i manifestanti stretti tra i pesanti cordoni di polizia da un lato e gli sguardi sospettosi dei passanti dai marciapiedi.
Tra gli striscioni rossi e gialli fitti di ideogrammi, spunta qua e là anche qualche carattere latino: no nuke, no al nucleare. A organizzare la manifestazione è un piccolo sindacato di sinistra. Ma tra i partecipanti ci sono anche tanti cittadini comuni, alcuni venuti da molto lontano: Hiroshima, Osaka, Shimonoseki.
«Siamo pochi», spiega una delle organizzatrici, «perché molti credono che in questo momento la priorità sia occuparsi dell’aiuto ai profughi, anche sopperendo alle eventuali mancanze del governo nell’organizzazione degli aiuti. Ma finita l’emergenza, cambierà». Secondo un altro manifestante, figlio di un sopravvissuto alla bomba di Hiroshima, c’è anche un fattore disinformazione: «La televisione non fa che ripetere che il nucleare non è pericoloso, che le radiazioni non fanno male. Noi siamo qui per aprire gli occhi alla gente, per gridare la verità, costi quel che costi».
Insomma, il migliaio in piazza potrebbe rappresentare molti: non ho parlato con una sola persona da quando sono arrivata qui che non mi abbia spiegato come, in modo o nell’altro, col nucleare il Giappone debba decidersi a farla finita. E i sondaggi, anche prima dell’incidente di Fukushima, rivelano che all’atomo è contraria la maggioranza della popolazione.
Tokio intanto si va svuotando. Anche lunedì qui è vacanza, è l’equinozio di primavera, e molti ne hanno approfittato per scappare dalla città. Piazza Hachiko, tradizionale luogo di socializzazione durante i week end, era quasi deserta. Molti centri commerciali sono rimasti chiusi, anche se i negozi più colpiti sono quelli di frutta e verdura: la gente non si fida ad acquistare prodotti freschi, non si sa dove vengono e se sono radioattivi. Tutti gli appuntamenti internazionali previsti nella capitale sono stati cancellati, dalla celebre fiera del fumetto (il Tokyo Anime Fair che doveva iniziare il 24 marzo) ai campionati mondiali di pattinaggio che invece dovevano iniziare oggi. La Svizzera ha spostato la sua ambasciata dalla capitale a Osaka, per far star tranquilli i suoi diplomatici. Tutto esaurito negli alberghi del sud, il più lontano possibile dalla centrale in panne.
Chi è rimasto nella città, s’inventa dei piccoli rituali per esorcizzare a paura: un cucchiaino di alghe nori al giorno, si dice, protegge la tiroide, due docce al giorno lavano via potenziali contaminazioni. Anche la dimensione religiosa, da molti anni messa da parte in un paese fortemente secolarizzando, sta ritrovando il suo spazio nei tempi shintoisti, spesso nascosti dietro i grattacieli.
Ma a Tokyo il sentimento prevalente, in tutti, è l’attesa, unita a un certo fatalismo. E’ la filosofia del «shikata ga nai», del ‘non ci si può fare niente’, perché ci sono eventi a cui la volontà umana non può opporsi. Anche per questo, forse, mille persone in corteo a Shibuia, in forndo, non erano poi così poche.
Tokyo, manifestazione contro centrale nucleare Hamaoka
ROMA – Circa 300 persone, in prevalenza mamme con bimbi, hanno protestato oggi a Tokyo contro la centrale nucleare di Hamaoka, nella prefettura di Shizuoka. La manifestazione, a poco più di due settimane dal grave incidente ancora irrisolto della centrale di Fukushima causato dal sisma/tsunami dell’11 marzo, ha puntato dritto verso un altro impianto ritenuto «ad altissimo rischio», distante solo 200 km a sud di Tokyo e a 120 dalla popolosissima Nagoya, costruito sul punto di congiunzione delle placche tettoniche.
La stampa nipponica ha oggi recuperato, tra l’altro, la testimonianza di Katsuhiko Ishibashi, professore della Kobe University e uno dei massimi esperti sulle Scienze della Terra, tenuta dinanzi a una commissione parlamentare a febbraio 2005. Nell’occasione, Ishibashi aveva parlato di «terremoto e della sua potenza in grado di colpire un impianto nucleare in più parti e produrre diverse rotture» con danni a parti vitali come il sistema di raffreddamento. Una descrizione che rispecchia quanto accaduto a Fukushima, ma che se ripetuto a Hamaoka porterebbe a un «colpo fatale al Giappone» con pesanti effetti «per tutte le generazioni future».
Domenica 27 Marzo 2011 – 16:09
13:12 27/03/11
Giappone: manifestazioni contro il nucleare a Nagoya e Tokyo
Centinaia di persone hanno manifestato oggi a Nagoya (centro) e Tokyo per chiedere l’abbandono delle centrali nucleari dopo l’incidente all’impianto di Fukushima provocato dal sisma e dallo tsunami di due settimane fa. Lo hanno constatato giornalisti della France Presse sul posto.
In un Paese dove tradizionalmente i cortei anti-nucleari sono rari e hanno poca partecipazione, almeno 300 manifestanti si sono riuniti a Nagoya rispondendo all’invito di studenti preoccupati dalla situazione alla centrale di Fukushima 1, situata nel nord-est dell’arcipelago.
“Non vogliamo un’altra Fukushima”, hanno scandito i manifestanti chiedendo la chiusura della centrale di Hamaoka situata a 120 chilometri da Nagoya, sulla costa sud dell’isola di Honshu, e pure a rischio sisma. A Tokyo, infine, circa 300 persone hanno sfilato nel quartiere chic di Ginza scandendo slogan come “Non abbiamo bisogno del nucleare”.
(ats)