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pubblicato il 15.06.13
Europa nera. Russia
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La polizia ne ha censiti ufficialmente 70mila ma ne sono in realtà il doppio. Orgoglio nazionalista e purezza razziale sono le loro idee guida. Capaci di raid particolarmente feroci contro gli immigrati asiatici sono stati tollerati e usati dal regime. Ora capita di vederli in piazza a fianco dei comunisti e dei democratici filo-occidentali
MOSCA - Può di capitare vederli perfino al fianco dei comunisti, degli ambientalisti, dei democratici filo occidentali. Hanno le svastiche tatuate sulle braccia, oscuri simboli esoterici dappertutto, e i capelli rigorosamente rasati a zero. Da qualche tempo scendono in piazza contro Putin, protestano contro gli uomini dei servizi segreti. Tutti loro amici o comunque gente che li ha sempre protetti, consentito di prosperare e anche di compiere impunemente pestaggi, omicidi di una violenza senza limiti, persecuzioni programmate di gay, neri, immigrati asiatici. E' la prima grande contraddizione dei movimenti di ultra destra di queste parti, divisi tra l'essere uno strumento marginale del potere e la voglia di alzare il prezzo, chiedere più spazio, minacciando in caso contrario di passare definitivamente dall'altra parte.

E' un mondo oscuro è difficile da collocare politicamente, quello dei neonazisti di Russia. Un esercito ringhioso e violento di oltre 70mila persone. E parliamo solo di quelli censiti ufficialmente dalla polizia e dai vari istituti di ricerca sociale. Ma in realtà sono certamente più del doppio, se si aggiungono i militanti ben mimetizzati dietro sigle e associazioni apparentemente innocue, e soprattutto i tanti simpatizzanti della violenza pura: quelli che calano dalle periferie più disperate e che si aggregano sempre con piacere quando c'è da menare le mani a prescindere dal senso ideologico della cosa. A rendere ancora più complicate le indagini degli statistici e della polizia, c'è poi la nuova tendenza, tutta russa, di frammentarsi in gruppi sempre più piccoli con riferimenti minimi, un edificio di borgata, il retrobottega di una merceria, il circolo ricreativo di una fabbrica.

Nascono così gruppi di massimo 15 persone ma a volte anche di 4-5, ognuna con un proprio simbolo, nome e leader. Tutti pronti ad allearsi spontaneamente nei "momenti di lotta" ma praticamente invisibili nella rete sociale. Le storie, i protagonisti, perfino i metodi di reclutamento sono gli stessi dei loro colleghi del resto d'Europa. Subiscono il fascino degli skinheads inglesi, unendo alla passione per le croci celtiche e le mazze ferrate, quella più prosaica per le birre Ale e per le partite di calcio della Premier League. Ma sono a loro volta esempi da imitare per i cugini delle ex repubbliche sovietiche e dei paesi del defunto Patto di Varsavia. Qualche loro leader, magari sconosciuto a Mosca e dintorni, potete vederlo raffigurato e idolatrato nei covi nazi di Praga, Minsk, Varsavia e, soprattutto Kiev. La capitale ucraina è del resto la Città Santa dei nazisti di Russia, la culla del nazionalismo essendo stata la prima città della Grande Russia quando Mosca era ancora nemmeno un villaggio sperduto tra i ghiacci.

Perché l'orgoglio nazionalista e il mito della purezza razziale sono, come da copione, il credo di base degli estremisti russi. E per un popolo che ha vissuto tanti anni nella convivenza forzata con etnie e culture diverse, prima nell'impero dello Zar e poi nell'Unione Sovietica, il messaggio è particolarmente accattivante. Inquietante il fatto che oltre il 60 percento degli abitanti del Paese condivida comunque l'unico slogan comune alle varie formazioni neonaziste: "La Russia ai russi". Un po' meno, ma non troppo, il numero di cittadini che è d'accordo anche con l'altro slogan più netto: "Una Russia senza stranieri né omosessuali". Che l'estrema destra avesse terreno fertile in Russia si capì subito, proprio alla fine dell'Urss quando l'associazione culturale "Pamjat"(Memoria) fondata sul "patriottismo cristiano ortodosso", e che aveva visto tra i suoi simpatizzanti perfino oppositori al regime come lo scrittore Solgenitsyn, si trasformò rapidamente in una miriade di gruppuscoli e poi nel cosiddetto Partito nazional socialista russo padre delle formazioni di oggi.

Come nel resto del mondo, la paura e l'odio per il diverso rappresentano il collante più forte. E come sempre il tutto viene esasperato in periodi di crisi economica dove diventa più facile seminare sentimenti negativi contro le masse di immigrati che popolano le grandi e le piccole città alla ricerca di lavori umili ma per loro molto remunerativi. Centinaia di migliaia di immigrati dalle ex periferie dell'impero, dal Kirghizistan, dal Tagikistan, dall'Uzbekistan hanno riempito in pochi anni i quartieri dormitorio delle periferie , portandosi dietro le loro tradizioni, e soprattutto la loro fede islamica. Sono loro, "i ladri di lavoro", "i terroristi islamici" gli obiettivi delle incursioni più spettacolari e a volte anche sanguinarie. I teppisti con la svastica colpiscono nell'indifferenza o quasi del cittadino medio che magari "non approva certi metodi" ma che cova una sempre più incontrollabile insofferenza per "l'invasione straniera".

Non è un caso se partiti di ben altra tradizione come il Partito Comunista cavalchino l'onda della xenofobia, chiedendo al Parlamento di imporre la "certificazione etnica" nei passaporti. O se un sedicente liberale come il blogger anticorruzione Aleksej Navalnyj, mito della opposizione di piazza a Putin, finisce per ammettere di partecipare alle "Marce russe" organizzate periodicamente dai neonazisti. "E' bene non lasciarli soli - spiega con qualche contorsione - Alcune idee non sono male e non devono restare monopolio dei violenti". "Alcune idee non sono male" è il ragionamento fatto per lungo tempo anche da Vladimir Putin in persona. Nel lanciare dieci anni fa la campagna militare contro la repubblica ribelle caucasica della Cecenia, l'arma dei movimenti neonazisti risultò molto utile. Gli orrori commessi da una parte e dall'altra in una guerra di rara ferocia, alimentò ancora di più l'odio generalizzato contro il caucasico.

Peccato però, che i movimenti dei "nipotini di Hitler" lasciati troppo a lungo indisturbati e perfino agevolati nel loro proliferare, siano diventati incontrollabili. Con logiche a metà tra il paramilitare e la gang da Chicago anni Trenta, hanno allargato il loro ramo di attività alla vendetta, e alle rappresaglie mortali contro giudici e poliziotti. Come sempre accade, legandosi anche alla malavita comune che sa perdonare anche qualche "Sieg Heil" sparato a casaccio, molti neonazisti sono entrati nel traffico di droga e di armi. Qualcuno di loro dotato di un buon spirito imprenditoriale ha trovato, nello sterminato territorio russo campi e foreste da utilizzare come campi di addestramento a pagamento per aspiranti skinheads in arrivo da ogni parte dell'Europa dell'Est con tanto denaro in contante per pagarsi il brivido di un po' di esercizi guerreschi tra laghi e betulle . Un po' troppo per un regime che pretende un controllo totale di ogni attività. Per questo il governo ha cercato di emarginarli creando i "Nashisti", un movimento che si definisce "antifascista" ma che in realtà propugna le stesse confuse idee dei suoi rivali. Ispirato come organizzazione, un po' alla gioventù hitleriana e un po' ai pionieri di Stalin, vive di grandi raduni, indottrinamento ideologico e chiassose manifestazioni regolarmente organizzate. Ma sono giovani di città, istruiti, benestanti. Non riescono ad affascinare gli emarginati e i violenti senza scrupoli che preferiscono confluire nelle organizzazioni con la svastica. E che ora sono impegnati in una tacita, segretissima trattativa con il governo: "Torna a proteggerci o ci mettiamo contro".

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2012/05/14/news/neonazismo_in_europa_-_russia-35109648/

documentazione
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