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pubblicato il 13.07.05
Dssa - Rassegna stampa
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manifesto
Aliquò: «Tra serio e ridicolo»
«Una vicenda tra il serio e il ridicolo». Il segretario dell’Associazione nazionale funzionari di polizia (Anfp) Giovanni Aliquò riassume così la vicenda della Dssa che «rappresenta solo l’incapacità di agire contro abusivi e ciarlatani nel mondo della sicurezza»
Decapitata la piccola Gladio antiterrorismo
Arrestati i due capi del Dssa, un embrione di «polizia parallela» fatta di fascisti millantatori e poliziotti veri. Manette a un sostituto commissario: aveva armi da guerra. Perquisiti 24 indagati, undici delle forze dell’ordine. Il capo è Saya, il vicecapo Sindoca si faceva passare come collaboratore di Fini (netta smentita)
ALESSANDRO MANTOVANI
SARA MENAFRA
Rivendicavano, come in uno spot pubblicitario, l’eredità di Gladio. Avevano disegnato un simbolo in tutto e per tutto simile a quello della Cia. Ma ben più modestamente, i membri della polizia parallela «Dssa» finiti nell’indagine della procura di Genova, puntavano soprattutto ad entrare nel galoppante business della sicurezza, accreditandosi all’estero, magari negli Stati uniti, in Israele o presso la Nato. Certo in Italia è difficile prendere sul serio questo Dipartimento di studi strategici antiterrorismo. E in attesa di tempi migliori, visto che la faccenda è complicata, si accontentavano anche di usare documenti falsificati per acquistare automobili con lo sconto dell’Iva, parcheggiare in zone riservate e prendere gli aerei evitando quelle noiose file al controllo passaporti. Gli indagati sono ventiquattro in tutta Italia, di cui undici nelle forze dell’ordine. E gli arrestati sono tre, tutti con storie più o meno equivoche. Il primo è Gaetano Saya, 49 anni, presidente di questa Dssa che sul sito internet attivo fino a ieri mattina si presentava come «Dipartimento studi strategici antiterrorismo, istituito come ente di diritto pubblico dalle interforze di polizia della repubblica italiana». Saya è noto soprattutto come fondatore del partito «Destra nazionale, nuovo Msi». L’altro è Riccardo Sindona, 37 anni, vicepresidente della Dssa, «consulente di parte sul caso Gladio» a dar retta al sito www.destranazionale.org. L’ultimo è un sostituto commissario della polizia da poco in pensione, Salvatore Costanzo, perquisito e trovato in possesso di proiettili in dotazione alla Nato calibro 7,62, considerati armi da guerra, e di una pistola con matricola «non chiara», come dicono i suoi colleghi che gli hanno messo le manette.

Pur senza riuscire ad accreditarsi alla Nato, in un anno e mezzo di attività la Dssa ha organizzato le azioni più diverse. La sede legale era a Roma, ma in realtà l’organizzazione si muoveva soprattutto tra Firenze e Milano, con piccoli gruppetti sparsi in sette regioni, dal Piemonte alla Puglia. Pur avendo dedicato parecchie attenzioni alla caccia del giallista ricercato dall’Italia Cesare Battisti, la Dssa voleva accreditarsi soprattutto nella lotta al terrorismo internazionale. Le sue azioni come «dipartimento interforze» sono riuscite soprattutto a procurare un paio di allarmi falsi (uno al duomo di Milano). Con auto, palette e galloni contraffatti ed usando l’archivio del Viminale la Dssa si era accreditata tra poliziotti e finanzieri. L’episodio più imbarazzante per il governo italiano riguarda il ministro degli esteri Fini: tra le carte dell’inchiesta ce n’è una, targata Weber Shandwick (una agenzia di comunicazione inglese) in cui Sindoca risulta «capo di gabinetto» del vice presidente del consiglio Fini, proprio durante il semestre di presidenza Ue. La procura ha chiesto informazioni e l’ufficio del vicepremier ha smentito: nessun rapporto con quel signore.

L’indagine è partita dalle intercettazioni sull’arruolamento di Fabrizio Quattrocchi e degli altri bodyguard genovesi che andavano in Iraq. E dopo un anno è arrivata l’operazione di ieri mattina, illustrata in conferenza stampa dal questore genovese Salvatore Presenti e dal dirigente Digos Giuseppe Gonan, molto orgogliosi per quest’indagine lunga che ha scoperchiato un fenomeno di deviazioni nelle forze dell’ordine proprio nella città del G8. Accanto a loro, in questura, il procuratore capo Francesco Lalla, notoriamente più comprensivo di molti sostituti del suo ufficio verso i funzionari inquisiti per il G8. In realtà per convincersi che anche secondo i pm il gruppo non fosse nient’altro che una formazione di millantatori basta dare una occhiata alle accuse: associazione per delinquere finalizzata all’usurpazione di funzioni pubbliche e trattamento illecito di dati personali. Tutti reati che portano con se rischi di pena piuttosto lievi, almeno in confronto a quelli di una nuova Gladio.

Nel corso della giornata tutte le «strutture» citate dalla Dssa e dai suoi fondatori come basi dell’organizzazione hanno puntualmente preso le distanze. Ultimo il Gran maestro della massoneria italiana, Luigi Danesin, che ha chiarito: «Noi non c’entriamo nulla con la Dssa. Il termine massoneria è troppo astratto per poterlo identificare in qualcosa di preciso».

La notizia degli arresti ha suscitato un turbinio di commenti soprattutto da parte della sinistra, con il povero Cicchitto, vice coordinatore di Forza Italia, lasciato praticamente solo a parlare di «mediocre farsa» . Duro soprattutto il commento di Gigi Malabarba di Rifondazione: «La Dssa non è certo una Gladio, ma rappresenta il marciume che esiste tra le forze dell’ordine. Mi auguro che questo caso non venga alla luce solo per dimostrare che il vertice `sano’ della Ps possiede gli anticorpi per impedire qualsiasi ‘deviazione’, dato che il problema proprio il vertice di Ps riguarda». E il presidente dei deputati diessini Luciano Violante ha chiesto che il governo riferisca alla Camera quanto prima.


IL CAPO
Gaetano Saya, fascista da operetta e sedicente 007
A. MAN.
Gaetano Saya non vive nell’ombra. Anzi diffonde in rete le sue foto con lo sguardo torvo da poliziotto cileno o con i paramenti di chissà quale ordine massonico. Sul sito del suo partitino nostalgico chiamato «Destra nazionale-nuovo Msi», il cui simbolo somiglia a quello della Cia come notava due anni fa un’inchiesta apparsa su Indymedia Italia, Saya si presenta come un fascista legato a Giorgio Almirante, massone ed ex poliziotto passato ai servizi segreti, i peggiori servizi, quelli della P2 e del generale Giuseppe Santovito. Si accredita come ex gladiatore che la sa lunga sui misteri della storia della repubblica, con tanto di bigliettino in cui Licio Gelli, in data 5 giugno `91, scriveva di pugno: «A Gaetano Saya, la verità ha un solo volto, quello dell’onestà verso gli altri e verso se stesso. Con stima e molta simpatia, Licio Gelli». Ieri l’ex Maestro Venerabile, 86enne, ha risposto di non averlo mai conosciuto e spiegato che quella pubblicata nel sito di Saya è probabilmente una dedica su un suo libro, La Verità. Più che un pericolo per la democrazia Saya sembra un millantatore, un sedicente 007 e un fascista da operetta. Hanno cercato di processarlo un anno fa per le frasi sulla superiorità razziale apparse sul www.destranazionale.it. Al Viminale lo conoscono bene e si sono messi a ridere, tempo fa, quando ha chiesto la scorta «in qualità di presidente del Dipartimento per gli studi strategici antiterrorismo».

«Gaetano Saya nasce a Messina nel 1956 – si legge nel curriculum a cura dall’interessato – [...] fin da giovanissimo simpatizza per il Movimento sociale italiano – Destra nazionale e nel 1970 appena quattordicenne partecipa alle giornate di Reggio Calabria (rivolta per il capoluogo), a diciotto anni si arruola nel disciolto Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, dopo l’addestramento viene ingaggiato dai servizi segreti della Nato esperto in Ispeg, controspionaggio e antiterrorismo. Raggiunti i massimilivelli si congeda nel 1997. Cooptato nel 1975 dal Generale Giuseppe Santovito, allora capo del Sismi, viene iniziato in una loggia massonica riservata; da apprendista di primo grado in breve diviene Maestro venerabile della loggia `Divulgazione 1’». C’è una vecchia fotografia senza data che lo ritrae con Giovanni Spadolini, «ministro della difesa dell’epoca» secondo destranazionale.it, ma non c’è conferma che fosse in servizio. In polizia sarebbe rimasto «un paio d’anni». Dal Sismi la procura ha acquisito una netta presa di distanza da Saya.

L’uomo arrestato ieri, nel suo sito, si definisce «principale teste d’accusa della procura della repubblica di Palermo, nel processo contro Giulio Andreotti». Il 13 novembre del `97 lo ascoltarono davvero in aula e fu una scena curiosa. Saya raccontò che Santovito, nel `78 direttore piduista del Sismi, gli aveva detto che Andreotti aveva fatto ammazzare Dalla Chiesa in Sicilia per via delle carte di Moro trovate in via Montenevoso. Si definì «ex agente di una struttura segreta della Nato», si trincerò dietro il «segreto Nato» e disse di avere un tatuaggio che dimostrava la sua appartenenza a una loggia legata ai servizi. La corte a porte chiuse accertò, sotto l’ascella sinistra di Saya, «un tatuaggio che raffigura una squadra e un compasso sovrastati da una stella fiammeggiante e dalla lettera G, iniziale della parola greca che vuol dire conoscenza», Gnosis. Testimonianza inutile, ovviamente.

Saya sul sito parla delle «camice nere, reparti protezione» della sua Dn-nuovo Msi, annuncia che si presenterà alle elezioni e si definisce «presidente onorario dell’Unfp, Unione nazionale forze di polizia» in realtà sconosciuta. A sinistra, surreale: «Link di servizio: chiunque abbia notizie di attentati terroristici contro gli Stati uniti o contro lo stato di Israele o contro stati alleati, può comunicarlo dai link sottostanti», diretti ai siti della Cia e del Mossad. A centro pagina: «Dio benedica George W. Bush. Dio benedica gli Stati uniti d’America. Il male sceso tra noi trova in uomini come George Bush in America, in uomini come Gaetano Saya in Italia, un baluardo inespugnabile».


«Agenti-falsi-agenti» tra le moschee e i cpt
La Digos documenta pedinamenti e controlli sugli stranieri: «Siamo dell’antiterrorismo», dicevano. E cercavano anche Battisti in Francia
A. MAN.
La Digos e la procura di Genova, un anno fa, indagavano sui bodyguard liguri che andavano in Iraq come addetti alla sicurezza, mercenari o contractors. Il giro di Fabrizio Quattrocchi, insomma, emerso ad aprile del 2004 quando il giovane siciliano trapiantato in Liguria venne sequestrato e ucciso. Quasi tutta gente di destra, con l’interessante eccezione del presunto reclutatore, muscolosa e con il mito dei reparti speciali. L’ipotesi di partenza era arruolamento al servizio dello straniero. E nell’ambito di intercettazioni telefoniche disposte dai magistrati sulle utenze di personaggi come Luigi Valle, uno che al ritorno da Baghdad raccontava agli amici di averne fatte e viste di tutti i colori, gli uomini della Digos si sono accorti che gli aspiranti contractors erano in contatto con un diversi poliziotti e carabinieri, gente che non prestava servizio in uffici investigativi e tuttavia, al telefono, sembrava parlare di indagini, pedinamenti, identificazioni. Così l’inchiesta ha preso un’altra strada, fino a Gaetano Saya e al suo Dipartimento per gli studi strategici antiterrorismo, una sigla come mille altre, vere e fasulle, pubbliche e private, affidabili o criminali, che sono nate in Italia e nel mondo dopo l’11 settembre e sull’onda della lotta al terrorismo. E’ lo stesso mondo a cui appartiene la misteriosa Presidium di Salvatore Stefio, uno dei tre italiani rapiti con Quattrocchi e liberati dopo trattative, riscatti mai confermati e un blitz americano che sembrò a tutti una messinscena. La Digos di Genova ha documentato che i 24 indagati perquisiti ieri, undici dei quali appartenenti a polizia, carabinieri, finanza e polizia penitenziaria, più altrettanti non iscritti nel registro della procura, erano coinvolti a Firenze, Milano e in altre città, in attività di appostamento nelle moschee, di schedature di presunti terroristi, di mappatura delle macellerie musulmane. A volte fermavano gli stranieri e chiedevano i documenti: «Siamo dell’antiterrorismo». In diversi casi hanno acquisito, illecitamente, notizie provenienti dagli archivi delle forze di polizia. Hanno filmato alcuni centri di permanenza per stranieri. Hanno cercato contatti in Francia per agganciare Cesare Battisti, latitante dopo l’estradizione verso l’Italia decisa per le antiche vicende dei Proletari armati per il comunismo. E in almeno tre casi, cercando di accreditarsi, hanno dato notizie alla stampa, notizie più o meno fasulle ma in alcuni casi apparse sui giornali: Libero ad esempio parlò di un progetto di attentato all’aeroporto di Linate e di moschee sotterranee; il settimanale News a maggio scrisse del Dssa come di un «servizio segreto parallelo» per il quale avrebbe lavorato anche Quattrocchi. Gli investigatori e il procuratore Francesco Lalla hanno smentito questa circostanza ma la direzione di News insiste sulle notizie pubblicate e su un fimato che «provano in maniera inequivocabile l’attività di intelligence condotta a Baghdad da Fabrizio Quattrocchi insieme ad altri agenti». La procura non ha del tutto abbandonato i bodyguard se è vero che Valle figura anche tra gli indagati perquisiti ieri.

Il Dssa si presenta come una struttura complessa, articolata in sei divisioni. La sede è a Roma ma di fatto ha le sue basi a Firenze dove vive Saya e Milano, dove opera Riccardo Sindoca. Secondo l’inchiesta il «Dipartimento» disponeva di due auto e di placche, distintivi e palette in uso alle forze dell’ordine. E ieri è venuto fuori a Como, durante la perquisizione a casa della compagna di un indagato milanese, un deposito o «covo» con una sorta di stamperia per fabbricare tesserini e placche, ricetrasmittenti e molti documenti tuttora al vaglio degli investigatori.

Poliziotti, carabinieri, finanzieri e agenti penitenziari, alcuni in pensione, aderivano «su base volontaria», forse nella speranza di fare qualche soldo o di acquisire esperienza e titoli per un po’ di carriera. L’aspetto più inquietante è proprio la miseria politica e culturale che regna nelle forze di polizia, dove decine e decine di persone hanno dato credito a un personaggio come Saya, sul quale una rapida ricerca su internet offre tutti gli elementi per stare alla larga. Molti, segnalano i colleghi che li hanno inquisiti, erano in buona fede, hanno poi capito da soli e hanno fatto marcia indietro.

La procura di Genova ha precisato che il Dssa non è un’organizzazione segreta, come del resto dimostra la gran quantità di informazioni pubblicitarie diffuse su internet da Saya e soci, e non ha finalità eversive. Le posizioni di estrema destra di Saya e del suo gruppuscolo chiamato Destra sociale-Nuovo Msi, non hanno di per sé nulla di illecito, anche se il fondatore potrebbe puntare davvero a farsi eleggere in parlamento o a Messina. Scopo del «Dipartimento», secondo l’inchiesta genovese, era ottenere finanziamenti fornendo servizi specifici, dossier e analisi ai più diversi committenti, pubblici e privati, italiani e stranieri. Stati, enti, forze di polizia e di intelligence. Chiunque sia interessato alla guerra al terrorismo nel senso che piace a George W. Bush. Committenti solo eventuali, però. L’organizzazione, a quanto pare, non era ancora riuscita a trovarli.


LIBERAZIONE

Dall’indagine sull’arruolamento di Quattrocchi spunta un apparato che svolgeva operazioni coperte di antiterrorismo. Indagati in tutta Italia.
L’incontro tra l’ambasciatore Sembler e Berlusconi non risolve il caso Omar. Il “New York Times” insiste: i due governi sapevano del blitz a Milano
La digos scopre la “polizia parallela”
Imam rapito, gli Usa non chiariscono Tornano i fantasmi del passato. Risuona ancora una volta quel vocabolo che ha oscurato la vita democratica del Paese: parallelo, spesso sinonimo di deviazione e depistaggio. Il pensiero vola subito a Gladio e ai suoi misteri non risolti, anche se il paragone è chiaramente una forzatura. Un’indagine della Digos di Genova sull’arruolamento di Fabrizio Quattrocchi, la guardia del corpo uccisa in Iraq, si è imbattuta infatti in una specie di polizia parallela nel campo della lotta al terrorismo.
Dipartimento studi strategici antiterrorismo (Dssa), questo il nome dell’organizzazione. Per i magistrati una vera e propria associazione a delinquere con lo scopo di ottenere finanziamenti da paesi e organizzazioni internazionali, come Stati Uniti, Israele e Nato. Almeno 28 le perquisizioni in nove regioni italiane (Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Molise, Sicilia e Sardegna). Con ventuno indagati tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e uomini della polizia penitenziaria.
Inquietanti i nomi dei due arrestati alla guida della struttura: Gaetano Saya e Roberto Sindoca, ambedue noti alle cronache per aver guidato l’organizzazione Destra Nazionale, che ereditò la sigla da Almirante.
Saya, in particolare, un ex massone con tanto di foto con dedica di Gelli, vanta rapporti con la Nato, con gli ex gladiatori e con ambienti del Sismi, affermando di essere stato cooptato nel 1975 nella Loggia P2 dallo stesso generale Santovito, all’epoca capo degli 007 militari italiani. A Milano è già sotto processo per propaganda di idee fondate sulla superiorità e l’odio razziale.
Insomma, secondo gli investigatori, ci troviamo sì di fronte ad un indistinto mix di affari sporchi, ma con l’aggravante del contesto ideologico in cui l’organismo agiva: «Per difendere la Fede Giudeo Cristiana e l’Occidente», come si leggeva nel sito oscurato della Dssa. Con personale che aveva anche accesso alla banca dati del Viminale.
Lo scandalo è esploso proprio nel giorno in cui l’ambasciatore Usa Sembler incontrava Berlusconi per il sequestro a Milano dell’imam Abu Omar da parte di agenti della Cia. Un’ora di colloquio, la foto con stretta di mano e nulla più. Se non le consuete rassicurazioni. Quella del premier, «gli Usa hanno garantito pieno rispetto della sovranità italiana», e quella del diplomatico americano: «La sovranità italiana non sarà intaccata».
Completo silenzio su chi sapeva cosa. E cioè se vi erano stati dei preventivi contatti tra la Cia e i servizi italiani sul rapimento di Abu Omar e sul suo successivo trasferimento in Egitto. Un arresto privo di qualsiasi copertura legale e compiuto in sfregio delle leggi internazionali.
Intanto, dopo il “Washington Post”, anche l’autorevole “New York Times” insiste sul fatto che i due governi erano al corrente del blitz e pronti a smentire qualsiasi coinvolgimento se qualcosa fosse andato storto. Come appunto sta avvenendo.


Decine di indagati in tutta Italia. I capi sono noti neofascisti: Gaetano Saya e Roberto Sindoca, fondatori del Nuovo Msi-Destra Nazionale.
Tra i reati contestati l’«associazione per delinquere finalizzata all’usurpazione di funzioni pubbliche in materia di prevenzione e repressione dei reati»
Terrorismo, scoperta una polizia “segreta”. Coinvolti agenti e carabinieri Claudio Jampaglia
Sciacalli della guerra al terrorismo, neofascisti e forze dell’ordine deviate. C’è un po’ di tutto questo nell’operazione di Digos e Procura di Genova che ha smascherato ieri mattina in mezza Italia un fantomatico Dipartimento Studi Strategici Antiterrorismo (Dssa) che operava come una vera e propria “polizia parallela”. 28 perquisizioni in nove regioni italiane (Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Molise, Sicilia e Sardegna), 24 indagati tra cui 12 appartenenti alle forze dell’ordine in servizio (un sottufficiale della Gdf, due agenti della polizia penitenziaria a Firenze; due appartenenti alle forze dell’ordine a Roma; mentre a Milano, dove la Digos locale conduceva un’altra inchiesta sulla Dssa, tra i destinatari dei provvedimenti risultano un maresciallo dei carabinieri, un vicesovrintendente e due assistenti della Polizia di Stato). Gli altri sono civili, in maggior parte “ex colleghi”, un fisioterapista, tre “faccendieri”. I capi della struttura organizzata come una “polizia parallela” sono noti neofascisti. Gaetano Saya e Roberto Sindoca, agli arresti domiciliari a Firenze e Pavia, fondatori – e rispettivamente presidente e capo gabinetto – del Nuovo Msi-Destra Nazionale, gli eredi della fiamma di Almirante. Saya, ex massone (con tanto di biglietto di «stima e solidarietà» dal “venerabile” Licio Gelli), ex gladiatore, già teste d’accusa al processo Andreotti, ha spesso rivendicato rapporti con il Sismi (grazie «all’amico fraterno generale Giuseppe Santovito», ex capo dei servizi militari). Sindoca, ufficiale in congedo era portavoce di un sedicente sindacato Unione nazionale forze di polizia diretto da Saya. Tra gli impegni “politici” promuovevano la Dssa (sottotitolo: “Interforze di polizia in funzione antiterrorismo islamico”) alla luce del sole con tanto di sito internet, campagne pubblicitarie sui giornali e richieste di tariffe agevolate e sconti per auto e servizi come struttura “ufficiale”.
I reati contestati dalla Procura di Genova sono di «associazione per delinquere finalizzata all’usurpazione di funzioni pubbliche in materia di prevenzione e repressione dei reati» e «illecito utilizzo di dati ed informazioni riservate attraverso l’illegale consultazione delle banche dati del ministero dell’Interno». La Dssa entrava comodamente nel centro di elaborazione dati della polizia, operava controlli in aeroporti, pedinamenti, perquisizioni, usando distintivi e palette. «Creando tutti i presupposti – ha spiegato il procuratore capo di Genova Francesco Lalla – perché l’attività istituzionale di organi di polizia e dei servizi di sicurezza venisse pericolosamente ed illecitamente intralciata o subisse indebite interferenze». «Li abbiamo fermati in tempo – hanno commentato dalla questura di Genova – a seguito delle loro indagini illegittime, avevano seminato il panico a tutti i livelli mandando informative su presunti possibili attentati agli organi di stampa, e in un secondo tempo addirittura alle questure».
Il riferimento non casuale è a TGCom (Mediaset) e Libero che il 10 dicembre 2004 hanno accreditato un allarme terrorismo islamico a Milano (“Linate nel mirino di Al Qaeda”) sulla scorta di un dossier della Dssa. Lo scopo dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, sarebbe più veniale: accreditarsi presso importanti organismi nazionali e internazionali, tra i quali probabilmente anche servizi segreti stranieri (la Procura cita Usa, Israele e Nato) per ottenere finanziamenti. La pista da cui è partita la Digos di Genova, invece, non è così banale. Il tutto sarebbe cominciato dall’intercettazione telefonica di Paolo Simeone, l’ex sminatore dell’esercito, mercenario in Iraq, finito nell’inchiesta sull’omicidio di Fabrizio Quattrocchi e sul reclutamento dei bodyguard italiani rapiti nell’aprile 2004 in Iraq. Quattrocchi era stato presentato dal settimanale News come membro della Dssa nel tentativo di accreditarne il ruolo di “agente contractor impegnato nella lotta al terrorismo” (altro dossier dell’organizzazione). La polizia esclude collegamenti diretti, ma fa sapere che l’indagine è stata complessa, un segnale che questi “millantatori” non erano di primo pelo.
Ufficialmente la Dssa sarebbe nata dopo gli attentati di Madrid (operativa dal 26 marzo 2004) e conterebbe oltre ai direttori (Saya e Sindoca) – come riferisce il sito dell’organizzazione ora oscurato – “ex agenti e collaboratori dei servizi segreti, ufficiali operativi dell’organizzazione Stay behind (Gladio) ”, “consulenti di nazionalità estera”. Una società privata che faceva finta di avere contatti e referenze istituzionali per entrare nel business dei “servizi di sicurezza”? Millantatori che usavano gli stemmi della Cia, del Mossad e di tutte le intelligence antiterrorismo occidentali per accreditarsi? Struttura dedicata alla “deviazione”? La risposta rimane aperta. Di sicuro Saya e Sindoca avevano il vizio del paramilitare vista la promozione sul sito del Nuovo Msi dei “Reparti di protezione nazionale”, una sorta di formazione patriottica “in aiuto delle forze dell’ordine” (con tanto di divisa in offerta via internet) che rispondeva al motto: “Vieni a combattere con noi diventa una camicia grigia”. Esistono collegamenti tra Dssa e “camice grigie”? Si addestravano insieme? Sarebbe bene sapere fino a dove si è spinto chi, nelle forze dell’ordine, gli ha creduto.
Il buco nero di un paese dove i servizi segreti militari e civili sono stati con i loro vertici per anni nelle mani della P2 Fare chiarezza su questa “nuova gladio”, ma senza dimenticare il resto Falco Accame
La questione dell’arresto (ai domiciliari) dei due dirigenti al dipartimento studi strategici antiterrorismo è una questione che merita tutti i possibili approfondimenti e le azioni appropriate. Tuttavia bisogna tener ben presente che le modalità istitutive dell’organismo figurano su internet e che la stessa Dssa aveva accesso alla banca dati del ministero degli Interni, il quale quindi non ne ignorava certo, almeno sulla carta, le attività.
La questione solleva comunque anche una serie di problematiche collaterali a partire da quella delle “strutture parallele” le strutture che dall’epoca dei “servizi paralleli” (i “doppi servizi” italiani: quelli istituzionali e quelli deviati) sembra davvero caratterizzare in modo inesauribile questo paese. Nei suoi documenti istitutivi il Dssa indica come scopi della sua attività, degli scopi fissati da una risoluzione del parlamento europeo in merito alla lotta al terrorismo: dunque una istituzione schierata “dalla parte del bene contro il male” in sintonia quindi con la totalità o quasi dell’opinione, pubblica che condivide la lotta al terrorismo. Una lotta appunto del bene contro il male, che ha sostituito di recente quella che per decenni era stata un’altra lotta del bene contro il male la lotta del mondo libero contro il mondo non libero.
Non bisogna dimenticare però, quando si parla di lotta al terrorismo che occorrono delle distinzioni. Infatti vi possono essere azioni di guerriglia “a difesa della patria” (resistenza contro gli invasori) e vi possono essere azioni di guerriglia ispirate a finalità puramente terroristica. Una distinzione di non poco conto in merito a cui non sappiamo la posizione nel suddetto dipartimento di studi strategici. Una distinzione che tra l’altro si è rivelata necessaria anche nell’inchiesta di Milano condotta dalla dottoressa Forleo nei riguardi dei presunti terroristi, inchiesta che si è dovuta basare su informazioni e valutazioni incerte e fuorvianti. Si tratta di situazioni non facili da affrontare come ci ricorda quanto accaduto recentemente circa il rapimento di un presunto terrorista egiziano in territorio italiano, una operazione dove il retroterra che l’ha resa possibile presenta non poche ombre.
In un paese dove i servizi segreti militari e civili sono stati con i loro vertici per anni nelle mani della P2, dove l’infiltrazione ha raggiunto il massimo vertice della difesa italiana non è certo facile districarsi in situazioni come in quelle che si sono create. Per la Dssa si pone il problema della differenza tra il livello culturale dichiarato (studi strategici) e il livello operativo non dichiarato. Ciò che stupisce è che si è parlato subito a proposito di questa Dssa di una struttura “tipo gladio” facendo riferimento ovviamente alla nostra “Stay behind” dei 622 gladiatori “dichiarati” in parlamento. Mentre non si è fatto cenno ad un’altra gladio cioè alla “Stay behind/marina” che pure ha operato, come si legge in un altro sito internet, armata all’estero e che ha avuto tra l’altro il compito di addestramento di guerriglieri locali. Una gladio impegnata in un’operazione clamorosa di risonanza internazionale come la destituzione del presidente tunisino Burghiba, gladio parallela sulla quale è stata calata una impenetrabile cortina di silenzio.
Dunque ci troviamo di fronte a una gladio da scoprire e a una gladio da coprire. Dal 28 marzo 2000 tutte le autorità italiane furono rese edotte della esistenza di questa gladio armata (per l’esattezza Sb/M) il Copaco, la commissione stragi, la commissione Mitrokhin. Tra le operazioni di quella gladio ve ne sono alcune che fanno riflettere come il preavviso recapitato a Beirut al colonnello Giovannone circa la strage di via Fani su cui “Liberazione” scrisse ampiamente qualche anno fa. E così pure l’esistenza di un covo delle Br a “Gradoli Strasse” anziché a “Gradoli paese” come aveva indicato il tavolo a tre gambe di Bologna. Silenzio totale su queste operazioni, come su quelle degli Ossi gli operatori armati dei servizi che due atti della magistratura hanno definito come “eversivi dell’ordine costituzionale”.
E’ dunque necessario cercare di capire se la Dssa ha operato in un campo diverso da quello degli studi e in modo non legale, ma dobbiamo anche chiederci perché per cinque anni non è stato ascoltato dagli organi parlamentari, chi ha denunciato l’esistenza di una gladio armata. Viene allora in mente un detto cinese di tremila anni fa: colpire ad oriente per coprire ad occidente. Non dimentichiamoci che è in questo modo che sono state occultate le stragi e quant’altro in questo paese.


Alti ufficiali nella polizia parallela

Genova, altre dodici persone sotto inchiesta per l’organizzazione illegale antiterrorismo. Pisanu sospende i tre agenti coinvolti. Si allunga la lista degli indagati. E spuntano nomi delle gerarchie militari.

GENOVA – Ci sono quelli, come un questore del centro Italia che, come fecero alcuni affiliati alla P2, ad un certo punto si confida con finanziere e gli dice “dio in che casino mi sono infilato”. Ma per qualcuno che ha peccato credendo di iscriversi solo all’ultimo club segreto dei difensori dell’Occidente, ci sono molti altri tesserati del Dssa, il Dipartimento Studi Strategici Antiterrorismo, che stanno per avere guai seri.

Sono, infatti, almeno una dozzina, e questa volta non solo agenti e militari semplici, ma ufficiali di alto livello, i nuovi indagati dell’indagine della procura e della Digos di Genova che conta tre arrestati, Gaetano Saya, Riccardo Sindoca e l’ispettore milanese Salvatore Costanzo (fermato per il possesso di armi non dichiarate), e 24 già sotto inchiesta. Le accuse sono di associazione a delinquere per l’usurpazione di titolo e l’utilizzo di dati riservati utilizzando le banche dati ministeriali.

Ma l’attenzione degli investigatori in queste ore si sta concentrando in particolare a due altri aspetti dell’indagine. Intanto il ruolo di uno degli indagati, Gilberto Di Benedetto, misterioso e facoltoso immobiliarista romano, meno esaltato dei suoi capi Saya e Sindoca, e più interessato a coltivare amicizie importanti come quella con persone vicine al Vaticano.

E poi, c’è un secondo inquietante aspetto che stanno esaminando i pm Francesca Nanni e Nicola Piacente. In un anno d’indagine, troppe volte pedinamenti e intercettazioni hanno dimostrato che i fanatici della Dssa potevano contare, anche se in maniera periferica, ufficiosa, su qualche aggancio con il Sismi.

Insomma, da un’indagine su un gruppo di neofascisti che pensava di ottenere l’appalto per la sicurezza del Papa o coltivava la speranza di catturare il terrorista latitante Cesare Battisti, si è finiti prima con lo scoprire l’organizzazione di un’attività di intelligence abusiva che pedinava e controllava cittadini stranieri, diffondendo anche informazioni fasulle su presunti pericoli islamici.

E adesso si batte questa nuova, per ora fumosa, pista dei servizi. Quella di alcuni contatti con il Servizio segreto militare in particolare, anche se Saya, Di Benedetto e altri indagati come l’ex ufficiale dell’esercito Bruno Palermo, napoletano 45enne, negli anni passati avevano fatto domanda di assunzione, sempre respinta, sia al servizio militare che a quello civile, il Sisde. Avevano effettuato anche una sorta di periodo di prova senza mai superare l’esame finale per “scarsa attendibilità” come sta scritto su alcuni rapporti. Ma qualche vecchio contatto, forse, era rimasto grazie anche all’affiliazione nella Dssa di ex soldati di Gladio come Antonino Arconte, o lo si sperava di ottenere attraverso i body guard amici di Fabrizio Quattrocchi, impegnati in Iraq. Ancora, sul fronte inchiesta, mercoledì sono previsti i primi interrogatori di convalida degli arresti domiciliari. A Saya e Sindoca è stato notificato un provvedimento con cui viene loro vietato di parlare alla stampa, pena il carcere.

Intanto, ieri, poche ore dopo che il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu aveva annunciato “l’immediato avvio del procedimento di sospensione cautelare dei tre agenti di polizia coinvolti nelle attività truffaldine del sedicente Dssa”, l’avvocato Carlo Taormina ha fatto pesanti insinuazioni. Il parlamentare di Forza Italia sostiene che il Dssa dovrebbe “essere ringraziato per essersi fatto carico del dilagante tessuto terroristico che occupa il territorio nazionale. La struttura che faceva capo a Saya forniva ai ministeri dell’Interno e della Difesa, al Sismi, al Sisde e alla Digos informazioni attraverso atti formali. Non è credibile, perciò, che fosse estranea alle istituzioni dello Stato e che agisse contro di esso. È probabile che il Dssa conosca la verità sull’uccisione di Nicola Calipari e sulle ragioni per le quali si salvò Giuliana Sgrena”.

Il senatore del Pdci Gianfranco Pagliarulo ha invitato i ministri Pisanu e Martino a querelare per diffamazione Taormina, mentre il procuratore di Genova Francesco Lalla ribatte: “Le forze di polizia istituzionali non erano assolutamente a conoscenza dell’attività dell’organizzazione di Dssa. L’indagine della Digos è stata svolta in maniera approfondita e con efficienza. Semmai può essere un sintomo di malessere che ci porta ad aumentare l’attenzione nei controlli anche all’interno delle forze di polizia, che pure hanno gli anticorpi per eliminare queste deviazioni”.

Fonte: Repubblica


Genova, il ministro Pisanu avvia il procedimento di sospensione dei poliziotti indagati
«Eravamo in 150, farò i nomi al giudice»

L’inchiesta sull’«antiterrorismo» parallelo. Il Dap mise in guardia gli agenti. L’ipotesi di contatti con gli 007
GENOVA – «La magistratura non conosce tutti gli elenchi dei nostri iscritti, ma io ho 150 schede personali degli aderenti al Dipartimento di Studi Strategici Antiterrorismo e ho intenzione di portarle tutte ai giudici». Quella di Gaetano Saya, fondatore del Dssa, da venerdì agli arresti domiciliari a Firenze con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’usurpazione di pubbliche funzioni, è una dichiarazione di collaborazione che ha il sapore della provocazione. Mentre Saya continua a dichiarare «legale» la sua organizzazione di «lotta al terrorismo islamico», che raccoglieva civili con la passione per l’intelligence e le armi e appartenenti alle forze dell’ordine, il procuratore capo di Genova Francesco Lalla ribadisce che «solo le autorità istituzionali possono e debbono garantire la legalità». Lalla ha anche aggiunto che le forze di polizia istituzionali non erano a conoscenza dell’attività del Dssa.

LA DELIBERA – La «polizia parallela» si dava compiti come «limitare e controllare l’accesso dei terroristi alle risorse finanziare» o «massimizzare l’individuazione di terroristi e prevenire attacchi». Tutti scopi contenuti nella «delibera» con cui il Dssa si fonda poco dopo l’attentato dell’11 marzo a Madrid. «Delibera» che Saya e il suo braccio destro Riccardo Sindoca (agli arresti domiciliari a Pavia) inviano a Viminale, presidenza del Consiglio, Sismi e Sisde (dove però non sarebbe mai arrivata), organi di polizia.
LA SOSPENSIONE – Saya e i suoi si autoproclamano paladini della sicurezza del cittadino, reclutano quel che possono tra le forze dell’ordine. Fra i 22 indagati dalla procura genovese tre sono poliziotti in servizio, uno è un poliziotto in pensione, due carabinieri, un finanziere, cinque guardie carcerarie. E ieri il ministro degli Interni Giuseppe Pisanu ha disposto «l’immediato avvio del procedimento di sospensione cautelare dei tre agenti di polizia coinvolti nell’indagine della sedicente Dssa». Gli agenti sono accusati anche di aver cercato informazioni nella banca dati del Viminale per trasferirle al Dssa. Ora Saya dice: «Ho molti nomi nei miei elenchi». E rilascia interviste per dire che tutti lo conoscevano, da Ratzinger in giù. Sicuramente nei suoi elenchi ci sono i nomi di appartenenti alle forze dell’ordine che erano stati contattati. Alcuni avevano ascoltato Saya per allontanarsi poi rendendosi conto del pericolo. È il caso di un vicequestore in Toscana (che i magistrati hanno quindi valutato di non dover indagare).

TINEBRA – L’attività di reclutamento fra le guardie carcerarie non era passata inosservata, tanto che il direttore del Dap Giovanni Tinebra aveva mandato una nota negli istituti penitenziari per mettere in guardia dal Dssa. E nelle intercettazioni telefoniche gli aspiranti «gladiatori» si sfogano contro il «rosso» Tinebra. Dai loro colloqui è evidente che sanno di essere «ascoltati». A fornirgli notizia sulle indagini che li riguardano ci pensa più volte l’ex maresciallo dei carabinieri Giovanni Vergottini che sembrerebbe prendere le informazioni da suoi ex colleghi. Un’altra persona che sostiene di essere ben introdotta in alcuni Palazzi e avere contatti con i Servizi è l’imprenditore romano Gilberto Di Benedetto. Sono questi due, secondo gli investigatori, i personaggi più «interessanti». Saya e Sindoca saranno interrogati mercoledì dal gip di Genova. Intanto, i giudici hanno ribadito loro, con ordinanza aggiuntiva, che la custodia cautelare ai domiciliari comporta l’obbligo di parlare solo con gli stretti familiari. Ha ottenuto i domiciliari anche l’ex poliziotto Salvatore Costanzo, arrestato venerdì a Milano per detenzione di due pistole non denunciate.

Erika Dellacasa

Corriere.it

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