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Da Il Manifesto del 4 Gennaio 2006
Le pensioni di Salò
Enzo Collotti
Alla vigilia della cessazione dell’attività parlamentare della legislazione prossima a spirare i nostri postfascisti non vogliono perdere l’occasione per lanciare un ultimo velenoso messaggio destinato a infliggere una nuova lesione all’identità resistenziale della nostra repubblica. La riproposizione al Senato del progetto di un provvedimento legislativo tendente al riconoscimento della qualifica di militari belligeranti per coloro che nel periodo 1943-45 prestarono servizio sotto le bandiere della Repubblica sociale non deve passare sotto silenzio.
«Belligeranti» tutti uguali.
Torna il progetto di legge per riconoscere come militari i combattenti della Rsi. Obiettivo dell’iniziativa è far sancire al parlamento l’equiparazione tra repubblichini e partigiani
Non si tratta di un banale provvedimento di ordinaria amministrazione ma di una ennesima insidiosa manovra equiparabile ad un vero e proprio atto eversivo. Obiettivo dell’iniziativa è infatti arrivare a fare sancire dal parlamento della repubblica l’equiparazione tra i combattenti della Rsi e i combattenti per la libertà della Resistenza: un risultato che equivarrebbe ad una sorta di suicidio ideologico del parlamento repubblicano, indotto da una maggioranza priva di senso storico e di responsabilità civica a smentire le proprie origini. Soltanto l’insensibilità istituzionale e l’indifferenza ai valori su cui è stata costruita questa repubblica potrebbero consentire un esito positivo all’iniziativa in questione. Ci si potrebbe anche domandare se i n un paese più attento alla memoria delle proprie origini e meno incline a ipocrisie perdoniste il presidente del Senato non avrebbe dovuto dichiarare irricevibile una proposta di legge che mira a rinnegare i valori su cui è stata fondata la rinascita democratica dell’Italia dopo il fascismo. Si tratta fra l’altro di una iniziativa che nasce anche da premesse false e menzognere, come se la repubblica democratica non avesse dato mai prova di indulgenza nei confronti dei combattenti della Rsi. Sul numero 65 (maggio-giugno del 2005) della rivista Passato e Presente un attento studioso dei nostri ordinamenti militari, Agostino Bistarelli, ricorda le sanatorie e i benefici che non sono stati lesinati nei fatti ai militari della Rsi negli scorsi decenni, al punto che molti di essi furono riassunti in servizio nelle forze armate della repubblica: di quanti partigiani si potrebbe dire altrettanto?
E’ evidente che con il provvedimento ora in agenda non si intendono tutelare posizioni individuali ma proporre un provvedimento generale destinato a capovolgere un paradigma interpretativo di fondamentale importanza per l’identità della repubblica antifascista. Il significato infatti del disegno di legge non è di risarcire nessuno: il centro del problema è quella di riabilitare i combattenti della Rsi e attraverso di essi l’intera esperienza della Repubblica sociale di Mussolini. E contemporaneamente, così facendo, si realizza la delegittimazione della Resistenza e della Repubblica che ne è stata l’esito. A questo punto giungerebbe a conclusione anche il processo di lento svuotamento dei contenuti antifascisti della Repubblica tenacemente perseguito dai cosiddetti postfascisti al governo con l’indifferenza ideologica e il consenso di una maggioranza insensibile ai valori e interessata soltanto alla conquista di posizioni di potere senza alcuna pregiudiziale etica né politica.
La posta in gioco non è di poco conto. Non si tratta di salvaguardare prerogative amministrative e piccoli benefici per pochi ma di una questione di principio, che non investe come surretiziamente vorrebbe dare a intendere l’intitolazione del progetto di legge soltanto l’esercito della Rsi, che già di per sé sarebbe grave, ma il complesso delle forze armate della Repubblica sociale, come risulta dalla relazione che accompagna il disegno di legge dalla quale traspare esplicita l’intenzione di ricevere un certificato di buona condotta per i comportamenti di quanti dopo l’8 settembre del 1943 si sono schierati dalla parte di Mussolini e del Terzo Reich. Non si tratta soltanto di ristabilire le coordinate storiche degli eventi di allora ma anche di capire quale memoria si vuole trasmettere con l’autorità di una sanzione parlamentare. Ancora una volta tornano a galla i problemi sollevati dall’ambiguità di chi ha continuato a perseguire ad ogni costo una memoria condivisa di fronte all’arroganza dei nostri postfascisti (ma poi, perché post?), che oltre a volersi presentare come vittime della repubblica democratica, che ha lasciato loro fin troppo spazio consentendo a fior di manigoldi della Rsi di sedere precocemente negli organismi rappresentativi della nostra repubblica, vogliono oggi prendersi la rivincita sulle forze che hanno restituito la libertà a questo paese. Per costoro nessun atto conciliatorio della repubblica sarebbe stato mai sufficiente a mettere a tacere le rivendicazioni di orgoglio patriottico di quanti dopo l’8 settembre hanno scelto di continuare la lotta dalla parte dei nazisti. Dall’amnistia Togliatti ai molti atti di clemenza scaturiti dalle sentenze di una magistratura anche troppo incline a minimizzare la drammaticità di comportamenti criminali a carico di seviziatori di partigiani, di delatori di ebrei e antifascisti, di responsabili di deportazioni risoltesi nella più parte dei casi in viaggi senza ritorno ai campi di sterminio: è su questo che bisognerebbe riflettere prima di considerare normale che gli eredi di questo torbido passato si possono arrogare il diritto di fare il processo alla Resistenza e di portare a conclusione la loro resa di conti con l’antifascismo e con le origini resistenziali del nostro stato.
Bisogna smetterla di indulgere ad atteggiamenti che volendo essere equanimi finiscono per essere equidistanti o peggio, come se si trattasse di giustapporre combattenti al di qua e al di là della linea di demarcazione rappresentata dal fronte alleato e dal fronte nazifascista. Non è un caso che gli studi che negli ultimi anni si vanno moltiplicando sulla Rsi (da Ganapini a Gagliani, da Germinario ai più recenti e più giovani) analizzano con particolare evidenza la specificità della violenza esercitata dai corpi armati (non solo esercito, ma Gnr, bande e polizia, SS) della repubblica di Salò, ben al di là di una rinnovata insorgenza neosquadristica. Non di violenza cieca o folle si deve parlare ma di premeditata violenza politica e ideologica, come è stato opportunamente sottolineato. Era questa la lezione appresa dal nazismo, con la guerra di sterminio all’est e lo sterminio degli ebrei, che le forze armate e il fascismo di Salò si studiarono di imporre anche in Italia dopo l’8 settembre: è di questo che si deve parlare quando si discute dell’equiparazione di combattenti di Salò e di partigiani e non della retorica di fedeltà all’alleanza con la Germania nazista o di cuore e orgoglio patriottico. E’ anche per questo che la sfida lanciata ai parlamentari del centro-sinistra e almeno in parte della stessa maggioranza dagli irriducibili del neofascismo può essere battuta soltanto con una convinta battaglia di civiltà e di cultura ispirata alla consapevolezza dei valori che allora si contrapposero e che oggi ancora rappresentano i connotati distintivi di una cultura politica democratica.
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